Bisogna proprio dirlo: un piccolo grande concerto. Come è già capitato di vedere al Circolo degli Artisti, gli show di band poco conosciute ma piene di entusiasmo riempiono di sostanza l’intera sala e colorano la notte. Gli Handsome Furs sono arrivati molto prima delle dieci, l’inizio del concerto. Si sono fermati al bancone del bar a chiacchierare con i ragazzi del pubblico, e tra una birra e l’altra, hanno detto che sarebbe stata la loro migliore data romana. “Perché ormai” – ha detto il cantante Dan Boeckner – “abbiamo trovato la giusta forma da dare alla nostra musica”. Detto fatto.
Dan si è presentato sul palco con un look molto punk: maglietta nera strappata con su scritto smile e pantaloni cadenti infilati dentro stivali scuri, imbracciando una chitarra dal colore un po’ scrostato. Sua moglie Alexei Perry dietro al mixer e al sintetizzatore, aveva i capelli rossi laccati che tirava da un lato e dall’altro, e i piedi nudi. Perché, sì, gli Handsome Furs sono un duo, e una coppia, fresca di matrimonio. Vengono da Montreal, dove è già, come dicono loro durante il concerto, fucking freezing. Vederli calcare il palco fa pensare che la loro alchimia esista soprattutto su un piano animale: si guardano, si urlano in faccia, lei dice a lui che vorrebbe farselo sul palco. Ma parallelamente, si vede quanto fragile romanticismo i due mettano nella loro musica, una musica che magari è nata in un momento di intimità, creata insieme, e quindi scarna, genuina, semplice, diretta. Il nuovo disco “Sound Kapital” l’ha fatta da padrone: sono stati eseguiti quasi tutti i pezzi. Rispetto al primo disco “Plague Park” (2007) ancora acerbo, e al secondo “Face Control” (2009) dove la presenza delle chitarre e dei synth era equamente ripartita, in quest’ultimo lavoro c’è praticamente solo elettronica, beat e riverberi. La chitarra è ormai un semplice ornamento utilizzato per eseguire distorsioni. Il concerto è stato aperto proprio da “When i get back”, la prima traccia di “Sound Kapital”: tutto il nuovo disco è stato ispirato dai recenti viaggi effettuati dai due in oriente e sud-est asiatico, e risente delle impressioni confuse di tali esperienze. Riflessioni, quindi, sul viaggio, sul significato di casa, sulla vita e sulla politica (anche se Dan ha detto che pensare che questa o quella canzone abbiano un significato essenzialmente politiche sono solo bullshit…just a bit they’re political, maybe…this one for example is about a big drinking moment in a foreign country, where you shouldn’t do it cause is not allowed…). La musica degli Handsome Furs non ha niente di particolarmente innovativo: i suoni sono un buon mix di synth-pop anni ottanta, unito all’elettronica moderna di gente come gli Lcd Soundsystem. A tratti si può captare qualcosa del Bowie berlinese, a tratti, potenziato, il suono malato dei Suicide. Ma l’interpretazione di Dan e Alexei è molto sentita, nervosa, punk nell’accezione più generale del termine: il canto è sempre molto vicino al microfono, la bocca sputacchia sulle prime file del pubblico, muovendosi sotto l’effetto di scariche elettriche . I movimenti vibranti del corpo di Dan fanno pensare che abbia quasi imparato a memoria il live dei Clash allo Shea Stadium, tanto nei movimenti di gambe di Mick Jones quanto nell’ondeggiare frenetico della faccia e le spalle di Joe Strummer. Alexei non è da meno: si nasconde dietro al suo mixer, poi si tira su di nuovo, alza la gamba all’indietro, si copre il volto con le dita aperte, quasi stesse soffrendo il battito dei suoni che rimbalzano sul suo corpo; freneticamente, cerca in ogni attimo i giusti movimenti teatrali per accompagnare la musica. Ogni tanto si avvicina a Dan e lo bacia teneramente, senza imbarazzo per la scena forse troppo “borghese”: ma quello che si vede è tutto genuino, quindi perché dovrebbe essere imbarazzante? Poi di nuovo smorfie con la bocca e testa su e giù per seguire il ritmo veloce e potente. Electro-punk, senza dubbio. Trattasi di elctro-punk genuino. Tutti i pezzi sono piacevoli, e l’esecuzione dei due è proprio buona. Vengono snocciolate “Damage”, “Bury Me Standing”, “What about us”, “Serve the people”, potenzialmente piccoli inni indie. Vengono eseguiti anche un paio di vecchi pezzi. Dan ogni tanto va dietro le quinte e torna con un cocktail non meglio definito, ma forse è vodka pura. Alexei dice che bisogna continuare fino alle sei del mattino, e alla fine di ogni canzone ringrazia genuinamente battendosi la mano sul cuore. Grazie, thank you, grazie. Dan scende tra la folla sotto al palco portando con se il microfono ondeggiando, come un crooner malaticcio. Sorride a tutti, li abbraccia, come a dire: sono uno di voi, mi voglio divertire con voi. In effetti sembra essere tornato alla bontà d’esecuzione dei vecchi tempi dei Wolf Parade, quelli di “Apologies to the Queen Mary”. Un gruppo a misura d’uomo, si direbbe, un gruppo che sa che non diventerò mai famoso come i mostri sacri antiche e moderni della musica. Sotto al palco ci sono una cinquantina di persone al massimo? Non fa niente: gli Handome Furs danno loro (parole di Alexei) la migliore serata che si possa ricordare. Dan gronda sudore: “I’m sweating…how is in italian? “Sudato” – urla qualcuno. ”So…i am very..sudato!” – ribatte lui.
Gli Handsome Furs chiudono il concerto tra i beat e le schitarrate malsane. Il ciuffo di Alexei torna a posto; lancia un saluto bambinesco e lascia il palco insieme alla moglie. Si chiude così il concerto più gradevole che è capitato di vedere da un bel pezzo a questa parte. Dopo il concerto riesco a scambiare due parole con Dan. Gli faccio i complimenti, soprattutto per l’approccio vero e senza maschere verso la musica e il pubblico. E’ contento, perché è proprio quello che vogliono mostrare, mi confida. Bisogna divertirsi tutti, seguendo il ritmo, le gambe, la testa, il cuore. Mentre me ne vado, scherzando, gli dico che forse lui e Alexei sono la migliore coppia rock di tutti i tempi. Dan coglie l’attimo, e, nonostante l’alcol l’abbia teletrasportato da qualche altra parte, fa appena in tempo a dire ridendo: “Forse tra le prime cinque, amico.”
Handsome furs. Belle pellicce del cavolo. Perché no, perché no…