Eva Mon Amour + Le Mura live @ Circolo degli Artisti (testo di Flavio Centofante, foto di Marco Triolo)

Gran chiasso, al Circolo degli Artisti, sempre perso nei meandri della Casilina da tanti di quei meravigliosi anni che quasi non me ne ricordo l’inizio. Appena entrati, c’è tanta gente nel giardino a bere e chiacchierare; ma molti sono già dentro, a vedere il gruppo spalla degli Eva: Le Mura. Band notevole ed interessante, molto coreografica, che vale la pena di essere approfondito (http://www.myspace.com/ lemuraspace).
Appena finiscono c’è uno che dice: “Ah, ma questo era il gruppo spalla? Ma come! Questo era quello
bono!”

…si sarebbe ricreduto presto.
La saletta è piena e il brusio sale improvvisamente quando entra Emanuele Colandrea sul palco, accompagnato da chitarra acustica e barba media. Lo seguono Corrado alla chitarra elettrica (che si posiziona accanto ad una tastiera un po’ vintage) e Fabrizio che alla batteria.
Il concerto parte. Tutti i ragazzi delle prime file sanno ogni parola di ogni canzone. Ed è importante, perché sia nei pezzi più lenti, che in quelli più dinamici, i testi degli Eva Mon Amour sono l’onnipresente colonna portante della loro musica, De Gregori, Rino Gaetano e un altro pugno di eroi italiani, ma unendoci il loro personalissimo tocco, Emanuele e soci hanno costruito con lo scalpellino tante canzoni che sono ormai dei meravigliosi classici nel panorama cantautoriale underground. Senza scordarsi che il concerto è anche un ottimo compendio di musica: la chitarra ritmica di Emanuele è la base sulla quale Corrado si diverte con la sua elettrica, alternando arpeggi d’atmosfera a sferzate pesanti lungo tutto il manico. La batteria è incredibilmente precisa e robusta, e con una gran personalità. Insomma, i ragazzi
suonano bene e non disdegnando lunghi inframezzi strumentali.
Vengono eseguiti pezzi sia da Senza niente addosso, sia dai vari EP e dall’ultimo La doccia non è gratis.
Canzoni a grappoli, insomma: Stimoli, Ore di straordinario, Prometto, Randagi, La doccia non è gratis, Ho
perso il tuo cane a poker
, Indi, In mezzo al petto, Sempre più spesso, E diventano anni, Bolle di sapone, See
you soon
, Odio le tue risposte brevi e le stronzate che ti bevi, In cantina…
Dunque, la cosa bella da sottolineare è l’approccio dei ragazzi al concerto: sembrano sinceramente divertiti, si scambiano occhiate e sorridono, e in un paio di misunderstanding tra batterista e chitarrista per chiudere il pezzo, si limitano ad alzare le spalle. Non sono, probabilmente, molto diversi da quando adolescenti
imbracciavano pieni di voglia i loro strumenti. Sono solo più bravi, adesso, e padroneggiano perfettamente l’atmosfera da concerto. Filtrano l’adrenalina, ricamano la poesia. Sul palco, i microfoni sono fissati bassi;
i due chitarristi piegano la testa un po’ in giù, socchiudono gli occhi (figheria “indie”?, forse no) e cantano.
Poi si avvicinano a metà palco per guardarsi negli occhi mentre suonano, quasi strusciando i ponti delle chitarre. Si danno un paio di testate leggere. Ad un tratto arrivano dei palloncini lanciati dal pubblico.
Emanuele fa un paio di palleggi e lo rimanda sulle teste che cantano; Corrado addirittura lo alza di tacco e
poi lo calcia da qualche parte, appena in tempo per far partire l’assolo. Quando un pezzo sta finendo, tutti
si avvicinano alla batteria, colonna portante del gruppo, e aspettano il movimento di chiusura. Si divertono
i ragazzi, si divertono proprio. Sorseggiano un mojito, poi si rivolgono di nuovo al pubblico con parole che
ben conosce: sono le loro canzoni, canzoni che parlano di piccoli o grandi sistemi, e che in alcuni passaggi e accostamenti di suono e linguaggio creano sussulti piacevoli in chi li sta ascoltando.

ho pensato nevica
ho pensato
pensa se ora nevicasse
basterebbe questo a farci stare più tranquilli
ho pensato nevica
ho pensato
pensa se ora nevicasse
ma se tutto quanto ad un tratto
diventasse di un colore solo
avrei difficoltà a trovarti
ma se tutto quanto ad un tratto
diventasse di un colore solo
avrei difficoltà a trovarti

Alla fine del concerto ci si rende conto che i ragazzi hanno suonato pura musica italiana, influenzata sì da ascolti stranieri come è giusto che sia, ma con quella scintilla, quell’ingrediente segreto che è tipicamente nostrano. Tutti i cantautori, e i gruppi rock (pochi) della nostra storia erano nella gola di Emanuele, nelle
dita di Corrado, nei polsi di Fabrizio. Insomma, perché cantare in inglese come fanno in tanti in Italia? Ci sono gruppi, come gli Eva, che cesellano bellissimi testi, che valorizzano quanto bella possa essere la nostra idea di poesia, e ci dipingono sopra arrangiamenti mai scontati, semplici solo all’apparenza.

Sì, il pubblico era contento, alla fine del concerto. Si vedeva dai loro sorrisi. Anche il tizio a cui
piacevano Le Mura sorrideva.

CLICK per le foto degli Eva Mon Amour live di Marco Triolo


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