Peckinpah, Noise Outside, Piano for Airport, Jarman @ Contestaccio – Semifinali Italian Wave Love Festival (testo di Elisa Seri)

Contestaccio, Roma; 25 minuti per arrivare alle finali regionali il 14 Aprile alla Locanda Atlantide.
Il primo ad esibirsi è un bluesman fiorentino trapiantato a Roma: Peckinpah, sembra di ascoltare un menestrello dai ritmi sincopati e troppo rigidi per una voce tanto anonima. La sua musica lo completa e lo inebria tanto da dare l’impressione che si sia convinto di stare suonando nella sua stanza, non curandosi affatto del contatto con il pubblico, cullandosi sul suo sgabello a seduta girevole (prendendo anche qualche sonora stecca). Il tutto intrammezzato da sketch dallo humour poco comprensibile; i testi sono in inglese ma la pronuncia è da scuola elementare, dai temi comuni ed affrontati con troppa serietà per poter risultare piacevoli.
Lo sappiamo tutti che “il blues non paga” (neanche se contaminato da kazoo) ma forse Peckinpah si è ridotto a fare un appello per il sostentamento monetario delle spese per l’incisione del suo disco perchè intrappolato in una società che non lo vuole e non lo accetta; Peckinpah è un eroe, è l’eroe di tutti noi universitari incatenati nel radical-chic che è la cultura oggi. Peckinpah è il tentativo maldestro di una generazione di voler emergere.
Dopo un veloce cambio tecnico salgono sul palco i Noise Outside: quattro ragazzi dalle strane pettinature e un lieve sapore grunge nell’aspetto dalla provincia di Frosinone. Le sonorità si percepiscono da subito pulite e traboccanti di tecnica, i loro movimenti sul palco trasmettono sicurezza e padronanza della situazione, come se fosse tutto sotto controllo, come se non avessero mai fatto altro nella vita, come se non ci fosse per loro altro da fare per la vita, o forse è solo spacconeria.
Sono molto attenti l’uno all’altro ma si sente tutto il loro divertimento nel suonare insieme, fondendo passioni e passati. I testi sono proprio del PunkRock: rabbiosi e pieni di aspettative ma carenti di prospettive. La presenza scenica, soprattutto del bassista, è travolgente come la vorticosa escalation musicale che prende i piedi e poi sale velocemente come un brivido lungo la schiena per arrivare fino alle spalle. Testi orecchiabili e di facile interazione scritti sulla falsa riga dei successi anni ’90. La scelta della scaletta è da grande concerto: con un inizio in crescendo, poi la stabilità di pezzi più morbidi e infine l’esplosione conclusiva con un pezzo pregno di energia, costituito di dinamite pura. Sorridono.
Ricordano molto i Foo Fighters ma più “socialmente disillusi” e maledettamente melanconici come i Nirvana di Nevermind. Ammirevole la scelta di dare ampio spazio al basso che pecca un pochino in velocità, se venisse suonato con il plettro sarebbe ancora più piacevole la complessa contestualizzazione degli intrecci sonori che non risultano mai caotici come una sovrapposizione di strumenti che eseguono note diverse. Sono l’emozione che non ti aspetti da tanta minuzionsità.
Dopo un ungo tempo tecnico ecco salire su palco i Piano for Airport, 4 ragazzi dei castelli romani dalle sonorità accattivant i ed ardite. Dopo un inizio incerto e teso probabilmente per la tensione che scatenava la situazione stessa l’impeto del batterista ha permesso a tutto il gruppo di tornare a suonare con la stessa forza di sempre, facendoli smettere di saltellare sgraziatamente di lá e di qua per ingannare la tensione. La nuova importanza riservata alla voce è importante more la distensione del brano, come se gli permettesse di vibrare di nuova e ritrovata leggiadria. A metà del primo pezzo riconosciamo sul palco i soliti Piano for Airport, quelli che suonano per loro stessi, che si divertiti e si scambiano sguardi di intesa, che risplendono della loro stessa passione; la super energetica performance del batterista ha conferito a tutti loro la forza di fregarsene della situazione scomoda e di tornare a divertirsi, fregandosene dell’ansia da prestazione, nutrendosi di ogni singolo applauso.
Presentano 5 brani, 3 presi dal loro primo CD another sunday on Saturn del 2010 e 2 nuove creature: piccoli bocconcini stuzzichevoli del prossimo lavoro già in opera da qualche tempo; allontanandosi poco a poco dall’indie elettronico che li contraddistingue si intuisce una profonda crescita personale oltre che musicale, i testi sono piú strutturati e i temi più carichi; da non sottovalutare affatto è la crescita del gruppo come insieme di elementi, infatti la complicità e la completezza sonora è un crescendo di sperimentazione musicale affinato e delicatamente racchiuso nelle battute matematiche, strumenti e note che educatamente si accompagnano e danzano insieme senza mai pestarsi i piedi. A questo punto non ci rimane che aspettare trepidanti il “fine lavori” per gustare tutto il pasto al completo, intanto ci possiamo accontentare del primo singolo che uscirà il 20 aprile (scaricabile dalla pagina facebook) presentato al Circolo degli Artisti.
Concludono la serata i Jarman, dall’aspetto accattivante (soprattutto per la scelta della bassista donna), dalla molta tecnica…decisamente troppa!!! La musica è soppesata e calibrata, suonata esclusivamente con il plettro, si sono ritrovati ingabbiati nelle stesse maglie di spartiti che si sono tessuti addosso auto-limitandosi così creatività e sregolatezza; il basso infine tende a scomparire dietro la prima chitarra che si è presa forse troppo spazio, il secondo chitarrista  sembra alle volte distratto o troppo impegnato a occupare il palco e dietro il batterista che in maniera misurata regge le fila di questo strano quartetto a mio modesto avviso un pochino troppo cresciuto per il tipo di competizione. La musica, l’arte in genere, non hanno età e non è mai troppo tradì per voler sognare di essere una rock star o per tentare di diventarlo, ma credo ci siano strade diverse da percorrere… 
“it’s a long way to the top in you wanna rock’n’roll”


_\m/


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