Nel Nome Del Rock presenta la terza serata del programma in un sabato dal caldo torrido, salutando immediatamente gli Unkle Frank che per motivi familiari non hanno potuto prendere parte alla manifestazione, ovviamente anche Relics manda i migliori auguri da parte di tutto lo staff e dei suoi lettori con un caldo abbraccio.
La prima band ad esibirsi sono i Plutonium Baby, prendono il nome da un epico horror di Ray Hirschman e suonano un Garage elettrico dallo stile Rock ‘n Roll davvero trascinante. Il trio è formato da Daniela Black Guitarra (voce, synth ed ovviamente chitarra), Federico Feith Da Grave (batteria) e Filippo Fil Sharp (voce, synth e chitarra anche lui), la prima proveniente da un precedente progetto chiamato Motorama, mentre i restanti, ex Cactus.
Ritmi sostenuti si intervallano a schitarrate tra il Punk ed il Rock più classico, il tutto perfettamente legato da approcci elettrici di un synth che ha tutta l’aria di un vecchio Moog anni settanta riadattato a sonorità più moderne. Molto interessanti e divertenti gli scambi di strumento che vedranno alternarsi tra synth e chitarra, una Black Guitarra dal look notevole ed un Fil Sharp concentratissimo che chiede ai compagni di suonare qualcosa mentre accorda la chitarra tra un pezzo e l’altro, raccogliendo solo un silenzio e le facce divertite dei suoi compagni, come a dire “Rilassati Fil!”. Il trio ha pubblicato il primo lavoro lo scorso settembre, sotto Ghost Highway Records, un vinile in edizione limitata di soli 340 esemplari (Margaret Doll Rod/Plutonium Baby). Voce dotata e squillante, ritmo ed acido, che altro chiedere? Salutano dal palco dopo essersi divertiti ed averci stupito, difficilmente le band di apertura hanno tanta qualità come a Nel Nome Del Rock, specialmente in questa edizione.
Un energumeno tutto pancia, barba e mutande che torreggia di fronte alla folla che nel frattempo si è ammassata sottopalco, tanto per assistere da vicino a quanto sta accadendo. Costui, oltre ad essere pazzo marcio, se ne sta a fissare la folla con la cattiveria che solo il caro Magneto (il cattivo degli X-Men n.d.r.) potrebbe eguagliare, poi improvvisamente parte la musica, e giù che si esibisce in una sorta di danza thrash tribale che ha vagamente del leggiadro (ma molto vagamente!).
Un accostamento assurdo tra musica (un hardcore macchiato di blues) ballo (peserà almeno cento chili ma non si ferma un attimo) e voce (un growl a squarciagola tipico di un hardcore estremizzato all’ennesima velocità), incantando quanti hanno riempito l’area concerto per gustarsi lo show. Proprio quando l’accordo sta raggiungendo l’apice, la band si blocca improvvisamente, un taglio netto per dare voce al proprio frontman “La pasta era fantastica, mentre sugli Hot Dog avrei aggiunto un pizzico di cipolle” ripartendo nuovamente in quarta con la stessa rapidità, lasciando tutti di stucco e guadagnando la prima vera ovazione della serata. Stacca il microfono dal cavo continuando a cantare ora dal cavo, ora dal microfono, ed ovviamente non esce alcun suono, poi scende dal palco e bagnandosi la mano, ci benedice tutti come farebbe il papa, passando la mano “benedicaendi” sulla fronte di tutto il pubblico in prima fila (me compreso).
Tutto nasce dalla fusione di idee di David (ex Nativist), Boa (già con Mrs.Fletcher) e Giova (May I Refuse) portate quindi in studio con il recente album intitolato Lords of Tagadà (Sons of Vesta & To Lose La Track, 2012) ed eseguite infine su questo palco che ovviamente valorizza al massimo chiunque vi metta piede. La loro esibizione è energica quanto basta da richiamare l’attenzione di parecchia gente sottopalco, lasciare un ottimo ricordo della loro potenza e del loro sound ed ovviamente raccogliere una seconda ovazione al saluto finale.
Il loro sound è compattissimo, studiato e potente, probabilmente si prendono sul serio molto più di quanto non diano ad intendere. Completano la formazione Jacopo Gigliotti (basso), Alessandro Guercini (chitarra) e la straordinaria potenza di Alessio Mignoli (batteria). Aimone si sbrodola, scende più volte dal palco per ballare e pogare con il pubblico, s’arrampica alla struttura del palco arrivando in alto, molto in alto, quasi fino alla copertura, poi scende e corre giù tra la folla, sparendo dalla vista del pubblico, per tornare armato di un bambino preso chissà dove (uno dei figli di chi ha organizzato l’evento n.d.r.) che deposita sul palco per farlo ammirare a tutti, infine scoppia in un discorso che convincerà il pubblico a partecipare in modo ancora più attivo “Questo festival si chiama Nel Nome Del Rock, e mannaggialcazzo voglio vedervi saltare!”
Brani come Lei, Copernico o Gusto (di cui impazza sul web un videoclip divertentissimo) attirano il pubblico come api sul miele, e se prima era leggermente restio a partecipare allo show, ora salta a ritmo e c’è ormai dentro con tutte le scarpe.
La serata si chiude con il DJ Set improvvisato per coprire i minuti lasciati vuoti dalla mancata esibizione degli Unkle Frank, Dj Turtle Flavour si colloca al centro del palco con la sua console, neanche il tempo di realizzare cosa stia accadendo e già si balla a ritmi trance-dub ottimamente mixati.
Una conclusione insolita per Nel Nome Del Rock, anche se tutti sembrano apprezzare e divertirsi, che sia il primo post live di un certo tipo?