Le Radici del Rock @ Golf Club Viterbo (testo di Stefano Capolongo, foto di Andrea Rossi)

Il Rock Progressivo italiano, è innegabile, sta vivendo una seconda giovinezza. Genere mai definitivamente morto, trovò nel nostro paese una fucina di talenti che avrebbero detto la loro entro i confini nazionali e soprattutto all’estero. Sono passati 40 anni dall’uscita di album storici come Ut (New Trolls), B.M.S. e Darwin (Banco del mutuo soccorso), Uomo di pezza(Le Orme), Storia di un minuto e Per un amico (PFM) solo per citare gli esempi più famosi e sull’onda delle celebrazioni e della riscoperta nostalgica e neoclassicista di tali album nasce la rassegna Le Radici del Rock ospitata nella cornice bucolico-Woodstockiana del Golf Club di Viterbo. L’area è completamente immersa nel verde e appena entrati si può respirare l’ambiente disteso e informale che accoglie lo spettatore ad ogni evento di questo genere, in mezzo alla gente si possono vedere i componenti dei vari gruppi che si concedono alle richieste degli spettatori appena accorsi: una foto con Francesco di Giacomo, un autografo da Rodolfo Maltese, una chiacchierata con Luciano Regoli.
Tra i banchetti di vinili, t-shirt e cd (non dimenticando quello con l’opera pittorica di Regoli) spicca senza dubbio il container dedicato a Paul Whitehead, storico illustratore ed autore di copertine dei Genesis, VDGG, Aldo Tagliapietra e tanti altri, presente in loco a lumeggiare le sue tele ivi esposte.
Intorno alle 19 inizia finalmente la musica: gli Analogy, introdotti da Carlo Massarini (che sarà l’intrattenitore della serata), tornano ad esibirsi dopo 40 anni dallo scioglimento del gruppo. A parte una ruggine naturale formatasi in tutti questi anni, gli Analogy offrono una buona performance, sia vocale (Jutta Nienhaus) che strumentale (Martin Thurn-Mithoff, Mauro Rattagi, Scott Hunter) alternando il classico prog anni ’70 ad arrangiamenti blues davvero gradevoli.
Il tempo concesso loro è veramente ristretto, “avremmo voluto suonare molto di più” dichiara infatti Martin alla fine dell’esibizione, ma come sempre in questi casi il tempo è tiranno.Un veloce cambio di palco dà il la alla comparsa di un Luciano Regoli in forma smagliante: jeans chiari stretti, giaccotto bianco di pelle proveniente direttamente dalla collezione di Freddie Mercury, petto nudo e linea invidiabile. L’alfiere di quella che fu la storica Raccomandata con Ricevuta di Ritorno presenta dal vivo il nuovo progetto denominato Nuova Raccomandata con Ricevuta di Ritorno che vede una line-up completamente nuova (eccezion fatta per Nanni Civitenga al basso). I primi brani proposti sono estratti dal Pittore Volante, lavoro del 2010 della nuova formazione: Le anime, Raoul, Il fuoco sono la fotografia di un progressive che di certo non è quello degli anni ’70, bensì più vicino al rock classico italiano condito da sprazzi di tastiere (Maurizio Pariotti), sax (Alessandro Tomei) e di un’ottima batteria (Andy Bartolucci). Non possono certo mancare all’appello i classici della vecchia RRR, quella che quest’anno compie 40 anni: l’esecuzione di Per…un mondo di cristallo spalanca le porte all’idillio dei 70s che oggi siamo qui a celebrare. Sublime esecuzione che ci regala una voce, quella di Regoli, intatta e cristallizzata nel tempo come i personaggi delle sue tele.
Il sole cala e la temperatura si abbassa repentinamente (non siamo a Roma, deo gratias), il vento fresco accoglie Gianni Belleno, Claudio Cinquegrana, Alessandro Del Vecchio, Maurizio Salvi, Fabrizio Chiarelli e Andrea Perrozzi: guai a chiamarli New Trolls, loro sono semplicemente UT. La loro esibizione snocciola i brani dell’omonimo album che vede in questo periodo il suo quarantennale. Studio, Nato adesso, per toccare l’apice con C’è troppa guerrache meriterebbe un capitolo a parte solo per la carica, la foga e la credibilità con cui è stata suonata. Belleno è l’anima pulsante e ritimica di questa band e non pecca certo di superbia quando all’affermazione di Carlo Massarini “Pesti ancora come un dannato su quei tamburi!” risponde “No, sono loro che mi tengono giovane”, riferendosi al pubblico, in particolare a una fetta di scalmanati accorsi lì proprio per loro. Più di

quarant’anni di storia, esibizioni da fare invidia a dei ventenni e un nuovo album in cantiere, a questo punto non possiamo che augurare almeno altri quarant’anni di carriera agli UT.
Il palco cambia di nuovo e, dopo una breve parentesi di scambi tra Massarini e Marco Galia (autore del volume Prog 40), ecco gli Osanna di Lino Vairetti. Un tuffo al cuore nel vedere le facce pitturate della band, come in quel video del 1971 (incredibilmente a colori perchè su Capodistria) in cui eseguivano L’uomo. Quaranta è un numero che stasera ricorrerà molte volte, anche per loro infatti è tempo di festeggiamenti: nel 1972 usciva Preludio, tema, variazioni, canzonameglio conosciuto come la colonna sonora del poliziottesco Milano Calibro 9. Proprio da qui inizia l’esibizione della band che subito porta il pubblico all’interno di quel groove tipicamente anni ’70, caratterizzato da un progressive caratterizzato da spunti (in particolare nelle esibizioni live) free-jazz e fusion tanto cari alla tradizione partenopea. La proposta è di livello ed eseguita da musicisti all’altezza;

Vairetti scherza ora con la chitarra acustica ora con l’armonica, oltre che con la voce e sembra muoversi benissimo in ogni ambiente in cuoi si trovi. Oltre agli ottimi Gennaro Barbaalla batteria, Nello D’anna al basso e Sasà Priore al piano spicca la figura di Irvin Luca Vairetti, figlio di Lino, alle tastiere. Dopo Milano Calibro 9, la performance cambia registro e si entra in una spirale di allegria condita da un pizzico di follia: arriva Gianni Leone con il suo incedere da diva e la solita raffica di parole. In men che non si dica comincia a picchiare come solo lui sa fare sulla tastiera, mescolando brani del suo Balletto di Bronzo a linee melodiche di suoi pezzi da solista: dieci minuti da one man show. Il resto del live è l’esaltazione dell’allegria, con Vairetti che fotografa Leone mentre suona, con l’esecuzione di brani estratti dai lavori più recenti degli Osannacome Suddance, tracce meno prog e in cui emerge la bravura dei due chitarristi Fedele e Capobianco, ma soprattutto omaggi continui a Napoli che negli anni in cui uscivano i capolavori che stasera siamo qui a ricordare, forniva talenti a iosa. Meravigliosa la classicissima L’uomo proposta in versione moderna, molto hard rock e insaporita dagli inserti del riff di Stairway to Heaven e di una strofa di Purple Haze di Jimi Hendrix.
Il penultimo gruppo in scaletta sono i The trip, che tagliano il traguardo dei quarant’anni con l’album Atlantide (The trip e Caronte sono rispettivamente del 1970 e del 1971). La performance di stasera, nonostante la grinta dimostrata, porta la morte nel cuore a causa della scomparsa (a Marzo per la precisione) dello storico bassista e fondatore del gruppo Arvid Andersen. La formazione di stasera vede dunque il duo seminale formato da Joe Vescovi alle tastiere e voce con Furio Chirico alla batteria accompagnati da Fabrizio Chiarelli (chitarra anche degli UT) e Angelo Perini al basso. I brani proposti sono dei classici immortali come Caronte, Two Brothers, Ode a Jimi Hendrix, Ora X e giungono a noi con un vestito più duro nel senso melodico del termine, fornendo una performance di livello superiore. Dalle retrovie è incessante il battere incessante di Chirico sui piatti, che mette il suo marchio di fabbrica su ogni pezzo e su ogni passaggio, salutandoci

con un assolo meraviglioso che vale il prezzo del biglietto.
La passerella finale è tutta per il Banco del Mutuo Soccorso, sul quale è inutile soffermarci troppo. La solita prestazione di livello per Di Giacomo, Nocenzi e co. che dipingono il quadro della loro carriera partendo da brani come R.I.P. e 750.000 anni fa, l’amore? (rispettivamente da B.M.S. e Darwin che spengono quest’anno quaranta candeline), passando per Non mi rompete, Il ragno o Metamorfosi e La conquista della posizione eretta. Mai una sbavatura per il Banco, solo qualche problema tecnico alla postazione di Nocenzi, rapidamente risolto. Il Banco ci ha preso per mano quarant’anni fa e ancora continua a farci sognare: il segreto di cotanta longevità lo spiega Francesco Di Giacomocon una metafora calcistica rispondendo alla medesima domanda posta da Carlo Massarini: “Sei come Maradona… anche se hai la pancia, il cappelletto dal sette lo togli comunque”. Ancora un paio di brani di encore e tutto finisce: cinque ore di musica, cinque ore di nostalgia e di amicizia, cinque ore di trasporto a dimostrare tutta la passione che c’è dentro il mondo progressive del nostro paese.
Se si vuole tracciare un bilancio della serata, esso risulta decisamente positivo sia per quanto concerne la location, tranquilla e perfetta per ascoltare musica, sia per quanto riguarda l’offerta musicale che ci ha permesso di ascoltare con un sol colpo una buona fetta del rock progressivo storico italiano. C’era indubbiamente il
sapore della prima volta, ma
l’organizzazione si è dimostrata all’altezza, tanto che confidiamo di venir presto a conoscenza di un seconda edizione de Le Radici del Rock, magari accompagnata da una maggiore affluenza di pubblico.
Un ringraziamento speciale a Vulcano Project Prog per averci ospitato durante questo evento


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