Mimes of wine – Memories of the unseen (Urtovox, 2012) di Flavio Centofante

Disco dai confini molto labili, dove i tempi e gli spazi possono dilatarsi all’infinito o dove basta una stanza piccola piccola per contenere tutto. Da una parte i contrappunti e le voci degli strumenti che arrangiano alla perfezione, corposi o essenziali a seconda del momento; dall’altra il piano e la voce della bolognese Laura Loriga, meravigliosamente obliante, che canta in inglese. I Mimes of wine nascono come progetto solista di Laura nel 2006, un modo per fissare su disco le sue intuizioni e gli umori delle tante città dove ha abitato:  Bologna, San Francisco, Parigi, Los Angeles. Ad affiancarla…

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Disco dai confini molto labili, dove i tempi e gli spazi possono dilatarsi all’infinito o dove basta una stanza piccola piccola per contenere tutto. Da una parte i contrappunti e le voci degli strumenti che arrangiano alla perfezione, corposi o essenziali a seconda del momento; dall’altra il piano e la voce della bolognese Laura Loriga, meravigliosamente obliante, che canta in inglese. I Mimes of wine nascono come progetto solista di Laura nel 2006, un modo per fissare su disco le sue intuizioni e gli umori delle tante città dove ha abitato:  Bologna, San Francisco, Parigi, Los Angeles. Ad affiancarla durante il cammino musicisti soprattutto italiani, fino ad arrivare alla formazione attuale che ha arrangiato e registrato questo album (il suo secondo): Luca Guglielmino (chitarra), il polistrumentista Stefano Michelotti (fisarmonica, salterio, ghironda e molti altri), Matteo Zucconi (contrabbasso), Riccardo Frisari(batteria). L’album è stato registrato nel 2012 a “La Casa nel vento Studio” da Enzo Cimino dei Mariposa, arricchito dal contributo di altri preziosi musicisti, tra cui Helen Belangie al violocello e Tiziano Bianchi a tromba e flicorno, collaboratore di Capossela. Per certi versi, le sonorità create dalla voce di Laura sono del tutto personali, e in questo sta la bellezza del disco: una voce potente e fragile allo stesso tempo, incredibilmente sorprendente. Echi di altre voci comunque se li porta appresso: gli esperimenti di Joanna Newson, i picchi scheggiati e perlacei di Lisa germano, la maestria di Tori Amos e Cat Power, frammenti di Beth Gibbons, oltre alla delicatezza e il romanticismo di Julie Delphy e Feist.

Gli strumenti che la accompagnano, più che creare una base solida, costruiscono nuvole sonore: le percussioni, gli archi, i fiati sono discreti, non disturbano, badano solo a fornire trame sospese, piacevoli, un poco sghembe. Il piano di Laura è sulla stessa linea, pochi accordi, molte note singole a goccia solo quando necessario. A completare il tutto, talvolta, alcuni effetti di rimbombo o di polvere, leggeri, in sottofondo. Sono cantilene sussurrate quelle che escono dalla bocca di Laura, che parlano di passato, di ritorni, di amore, ma anche di scene capite male o forse mai avvenute: memories for the unseen appunto, cioè le trame che erano nascoste dietro certi momenti, la speranza e l’immaginazione.  Il disco è tutto pervaso da sensazioni molto europee, specchio forse di alcune delle città dove ha abitato, magari un pizzico di Amelie di Yann Tiersen; ma si percepiscono anche tipiche trame di songwriting americano, la creazione di quelle “distanze” umane e spaziali cioè, che danno un senso di nostalgia e spaesamento all’ascoltatore. Non è una voce troppo acuta quella di Laura, ma neanche affine alle tinte maschili: è piuttosto in grado di muoversi da un’ottava all’altra a seconda dell’evenienza, senza mai strafare con lo sfoggio di tecnica: in realtà pare più togliere, che aggiungere. Il piano è il compagno di viaggio ed è tutto: personalità, discrezione, acuto trillare, sinfoniette romantiche o oscure. Si sentono anche tinte marziali di Dead Can dance, però ammorbidite, più eteree. Potrebbe essere tanto un disco per i colori della primavera quanto per le brezze dell’inverno. I brani sono uno più bello dell’altro: le progressioni ciondolanti di “Aube” e “Altairs of rain”; la patina antica di “Auxilio” e “Teethmaker”, il capolavoro memorabile e obliante de “Lincantatore”, la grazia semplice di “Charade” e “Yellow Flowers”, la voce e la chitarra di “I Will Marry You”. Le sonorità di questo lavoro sono un poco diverse dal disco  “Apocalypse sets in” del 2009, qui il risultato è più asciutto e diretto, più corposo e meno onirico. La formazione stabile che ormai accompagna il progetto permette il totale bilanciamento di strumenti e di voce, di chiari e scuri. E’ quando i ricordi e le intuizioni e la loro trasformazione in musica si muovono sullo stesso piano, che un disco può permettersi di raggruppare una lunga serie di bellissimi brani. Per di più, fa piacere sapere che questo è un progetto interamente italiano, nonostante la pronuncia inglese di Laura sia perfetta. In realtà, lasciatemi dire, questo è più di un disco: è una proclamazione di vita, con tutto ciò che ne consegue.

Tracklist:
1.Under the lid
2.Altars of rain
3.Yellow Flowers
4.Charade
5.Auxilio
6.Teethmaker
7.Ester
8.Silver Steps
9.I will marry you
10.Aube
11.Lincantatore
12.Hundred Birds

 


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