Deerhunter @ Bolognetti Rocks (Foto di Mara Mignani, testo di Andy Hash)
Pubblicato da Stefano Capolongo
in Live
29 Giugno 2013
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Non so che tempo faccia in Georgia ma di certo non ci sono 20 gradi a fine giugno come oggi a Bologna. La causa? Probabilmente è il Marshall di Bradford Cox che appena salito sul palco del Bolognetti Rock per il soundcheck ha stravolto il meteo per le correnti create. Mi devi un orecchio vorrei urlargli a metà concerto ma alla fine sono i Deerhunter bisogna ricordarsi di portarsi i tappi da casa! La prima fila viene spettinata, calpestata, triturata, masticata da queste onde medie assordanti che affossano Pundt, Broyles, Mckay (rispettivamente i due chitarristi e il bassista) e perfino Archuleta che vede scomparire la sua batteria come se Cox avesse la bacchetta, anzi scusate, il pedale magico, al suo tocco rimane solo lui, o meglio la
sua chitarra, perchè nello stupro del suo suono nemmeno la voce si sente più, è un urlare in silenzio, sono spasmi senza suono. Questo mi viene in mente se ripenso al concerto dei 5 ragazzi d’Atlanta, prima ancora dei brani, della scaletta, di quell’aria un pò depressa che sembra contagiarli sul palco, e quando prima di
Desire Lines Cox appoggia la chitarra e si occupa solo di cantare tutti siamo sollevati. Sentiamo!! Sentiamo!! E tutto il Bolognetti si scioglie sul riff dolce delle due chitarre che fa sognare e trasporta via. Il concerto è iniziato oramai da 20 minuti, e non sono bastati i 15 euro a far desistere i fan ad accorrere a questo evento, nemmeno il rischio di prendere della gran acqua, siamo tutti qui, per farci guidare e condurre dal pifferaio magico, che con voci e chitarre psichedeliche (come in Blue Milk) ci riportano tutti un pò nel passato, quando gli acidi e gli allucinogeni erano come aperitivi da happy hours. Monomania, l’ultimissimo album, non sembra così tanto sponsorizzato come di solito si fa con l’ultimo lavoro, anche se son proprio Neon Junkyard e Monomania ad aprire e chiudere il concerto, con T.H.M. a fare da spartiacque tra un classico e l’altro (Don’t Cry e Revival su tutti) segno che qualcosa forse non ha funzionato, o non convince a pieno, anche perchè i
suoni sono del tutto diversi, sono più sporchi, più aggressivi, sembra che sia più interessante fare del casino che non essere fedeli alle cose fatte in studio, è una ricerca ossessiva-compulsiva che sfonda nel shoegaze,e forse nemmeno Cox è pronto a maturare, ad avere un suono più appoggiato, più disteso, siamo ancora nell’era “sfondiamo i coni”, ma questo al pubblico piace, ed è il giusto compromesso per continuare, anche perchè da quel primo ” Turn It Up Faggot ” ne è passato di tempo, ma i Deerhunter paiono ancora in palla come pochi.
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Andy Hash Bolognetti rocks Deerhunter Mara Mignani recensione Relics controsuoni 2013-06-29