Relics e il mostro di carta: Sanremo, perché no? (di Silvia Protano)

Nel 1987 i Depeche Mode rivolgevano il nuovo album, con una certa dose d’autoironia, a masse che presto avrebbero iniziato ad amarli, ma di certo ancora non li ascoltavano. Parafrasandoli e citandoli con amore, Relics inaugura la sezione “Relics for the masses”, che raccoglierà una serie di editoriali per osservare, ascoltare e riflettere sul panorama musicale di ieri, di oggi e su tutto ciò che lo circonda, senza tralasciare le manifestazioni e le conseguenze che porta sulla cultura popolare di ogni livello. All’obiettività abbiamo sempre tenuto molto, in tutti i nostri articoli: abbiamo cercato di renderci quasi impersonali e di dare ai gusti e alle preferenze personali di ognuno di noi il compito di sorreggere il giudizio piuttosto che di condizionarlo. Questo, al contrario, sarà il regno delle opinioni e delle visioni personali. Quindi, poiché sto per citare qualcosa di quasi innominabile nell’ambiente alternativo, dovrete prendervela direttamente con me.

01Abbiamo detto musica e cultura popolare? Allora non potevamo che iniziare con lui, lo spauracchio, presenza ingombrante, pesante e a tratti raccapricciante: Sanremo! Confesso immediatamente di vederlo tutto e tutti gli anni, perché lo trovo interessante sotto diversi punti di vista e perché appartiene alla rara specie protetta degli eventi musicali in tv (a meno che non si abbia la fortuna di godere della splendida programmazione di Sky Arte). E’ ormai passata qualche settimana dall’edizione 2014, ma poco ci interessa perché qui si vuole parlare di Sanremo, non di questo Sanremo. La necessità e la fretta con cui tutti tendono a precisare, in quei giorni, che Sanremo non l’hanno visto è piuttosto fastidiosa, come se non vedere Sanremo fosse garanzia di capirne qualcosa di musica. Ma i giudizi non si formano guardando e ascoltando? In ogni occasione, ma tanto più in queste, sarebbe bene conoscere e approfondire, prima di affermare che il proprio programma televisivo è la nebbia degli apparecchi non sintonizzati. Lo spirito di Relics, d’altronde, è “orecchie aperte”. Quindi, ecco i cinque motivi per cui sarebbe il caso di fare meno gli snob quando si tratta di Sanremo:

1. Il Festival è sempre ricchissimo di soluzioni musicali mediocri, quando non insultanti: “sanremese” non è di certo un complimento, e ci terrei a ricordare che, tra gli altri, Povia ha calcato quel palco, perciò nessuno può credere che Sanremo sia bello. Qualche settimana fa Elio, esemplare magno delle personalità che quel palco l’hanno reso degno in tempi recenti, ha trovato le parole perfette: “Il Festival è oggettivamente brutto, ma gli voglio tanto bene. Io voglio più bene alle cose brutte perché penso sempre “poverino” […] No, non è trash, è proprio brutto. E’ brutto in generale, diciamo: è un brutto bello, altrimenti perché uno fa il matto per andarci ad ogni costo? In Italia si fanno canzoni brutte da tanti anni”. Ecco, esatto: Sanremo andrebbe amato proprio in ragione della sua indiscutibile bruttezza.

2. Sanremo non è la manifestazione assoluta della musica: porta in scena una tipologia musicale declinabile in molte varianti,02 spesso dimenticabili ma a volte interessanti; comunque non la musica in toto o il genere migliore di tutti. E’ una manifestazione nata oltre sessant’anni fa, quando la musica era indubbiamente diversa da quella che ascoltiamo ora, e pertanto andrebbe osservato tenendo conto del suo essere assolutamente relativo, non assoluto.

3. A Sanremo c’è un’orchestra, ed è stupido pensare che questo non influenzi la composizione e  la scelta dei brani. I commentatori non professionisti amano ergersi a musicofili, ma il grande lavoro strettamente sonoro che sta dietro all’impianto spettacolare viene (quasi) sempre ignorato, o dato per scontato.  Che poi i musicisti siano spesso costretti a suonare cose rivedibili è una questione ulteriore. Gli artisti che lì riescono a mescolare generi musicali diversi o addirittura lontani, unendoli alle sonorità dell’orchestra, sono doppiamente bravi, ma mai potremo aspettarci di vedere brani da Dream Theater o Kraftwerk, per quanto lo desidereremmo. Ancora una volta, uno sguardo al contesto renderebbe il giudizio più accurato.

4. E’ innegabile: guardare Sanremo per commentarlo e criticarlo con gli amici è una delle cose più divertenti del calendario 03musicale annuale. E alla fine, comunque, ogni anno si arriva alla conclusione che nel mare di cose brutte, di attese, fatiche e mediocrità qualcosa di buono c’è: su quel palco sono salite anche tante belle canzoni e altrettante che hanno fatto la storia, e anche se è impossibile stilarne una lista unanimemente accettata è innegabile che ce ne siano state in sessantaquattro anni di musica, seppur leggera. Ospiti di altissimo livello hanno partecipato alla manifestazione negli anni, spesso alzando la qualità media di quanto ascoltato, ma soprattutto: proprio la scena underground e alternativa italiana ha guardato di frequente a quel palco, portandovi spesso gruppi e personalità molto più che rispettabili. Ma questo il commentatore medio e integralista di turno spera di dimenticarlo.

5. Come tutte le grandi manifestazioni che sottintendono il lavoro di tante professionalità diverse, Sanremo è anche uno specchio dell’attualità del paese: nelle canzoni, ovviamente, ma anche nell’estetica, nelle riflessioni e nello stile. Rimanere aggiornati ed essere sorpresi da qualche nuova scoperta che è possibile fare solo in assenza di pregiudizi ma col giusto spirito critico: perché no?

Chissà cosa pensava Francesco di Giacomo del Festival, se lo osservava con l’occhio tecnico del musicista, con quello critico di uno dei più importanti musicisti progressive mentre osserva qualcosa che tutto è tranne che progressivo, o se non lo guardava affatto. A lui, che ci farà compagnia nell’immagine di copertina per tutto il mese di marzo, molte delle persone che animano Relics devono almeno una fetta della loro passione per la musica. Da Relics, ciao Francesco.

Silvia Protano


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