St.Vincent – St.Vincent (Loma Vista/Republic, 2014) di Mario Cutolo

St_Vincent_artworkNon so se possiamo chiamarlo un trend della musica contemporanea ma  è un fatto che molte delle cose più originali degli ultimi anni siano venute dalle donne. Potrebbe non essere una sorpresa e nemmeno un fatto originale, ma la lista delle artiste che prendono in mano le redini dell’innovazione musicale e primeggiano nei rispettivi generi si fa via via sempre più lunga. Sebbene quando si parla di “Arte” si dovrebbe non parlare di competizione, è bene ricordare che anche il rock ha una sua misoginia costruita intorno al mito dell’artista maschio, e per una donna trovare lo spazio giusto non e’ mai una cosa così semplice.
In questo contesto, il nuovo album di Annie Clark a.k.a. St. Vincent, ha il gusto del trionfo. La sua ascesa da componente dei Polyphonic Spree prima e della backing band di Sufjan Stevens poi, fino ad intraprendere la carriera solista cominciata nel 2007 con l’album Marry Me, fa capire quanto la Clarke sia una di quelle artiste con una visione chiara di quale fosse la sua strada. Il successo quasi casuale arrivato con il secondo album Actor e la consacrazione come una delle voci più’ originali del pop con Strange Mercy, ha portato alla collaborazione con una delle menti più’ lucide del rock, David Byrne, nell’album Love This Giant del 2012, aumentando esponenzialmente la sua esposizione al grande pubblico. Per molti artisti, quello sarebbe potuto diventare il picco di una carriera, ma l’omonimo album uscito in questi giorni dimostra come Annie Clark abbia fatto tesoro di quell’esperienza realizzando un disco che supera di una spanna il precedente e mette il dubbio che forse Love This Giant poteva essere un disco migliore senza la presenza di Byrne e non viceversa.
Quello che si ascolta in “St. Vincent” e’ una musica che colpisce tutti i sensi, un equilibrio perfetto tra intelletto e passione che stimola e coinvolge nell’ascolto ripetuto dei brani che sono un susseguirsi di sorprese senza mai, nemmeno una volta, cadere nell’ordinario. E’ un disco sperimentale dentro i confini dell’accessibilità, dove le canzoni si sviluppano in coloratissimi arrangiamenti che mantengono il livello di attenzione di chi ascolta sempre alto. Sebbene Digital Witness sia il brano che ricorda più da vicino Love This Giant, nel contesto dell’album prende le sembianze di una delle tante capacità di questa artista straordinaria di prendere, digerire e trasformare in originale le lezioni prese altrove.
“St Vincent” e’ uno di quei dischi da cui e’ difficile estrapolare un brano che superi in maniera evidente gli altri. Non a caso Annie Clark cita come una primaria fonte di ispirazione Prince, e in canzoni come Rattlesnake o Psychopath le citazioni sono evidenti. Ma gli accostamenti sono del tutto inutili di fronte alla bellezza dell’intera opera. Forse meglio di tante spiegazioni basta ascoltare come Huey Newton si trasforma in un pezzo dal finale completamente diverso rispetto a come la canzone si snodi per i suoi tre quarti. E’ qui che  le affinità’ con Prince sono più’ evidenti: non nel fatto che la Clarke ne copi la musica ma piuttosto nel metodo di sperimentare dentro la canzone.
Insomma, per quanto ci riguarda, “St. Vincent” ha stabilito, e presto, lo standard con il quale fare i conti per il miglior album dell’anno e forse per il resto del decennio. Brava Annie, e benvenuta nell’olimpo dei grandi.

Tracklist:

1. Rattlesnake
2. Birth In Reverse
3. Prince Johnny
4. Huey Newton
5. Digital Witness
6. I Prefer Your Love
7. Regret
8. Bring Me Your Loves
9. Psychopath
10. Every Tree Disappears
11. Severed Crossed Fingers


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Stefano Capolongo

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