Clubvoltaire – The Escape Theory (Lafleur, 2014) di Riccardo Pro

Parliamo di canoni. Il così detto 'british sound' (che sia rock, ma più pop nel caso dei Clubvoltaire) deve riflettere in maniera assiomatica un modo di sentire di coloro che ci vivono, in qualche modo, nella terra d’Albione. Traslare quella imagery in un contesto culturale/climatico diverso può essere un’operazione molto interessante. Oppure fallimentare. A volte si corrono rischi di manierismo, cui si espongono soprattutto gli estimatori di ogni landa al di qua della Manica. Quindi: i cieli che si aprono all’azzurro con elegante parsimonia; paesaggi agresti e movimentati viali urbani che si offrono alla luce con altrettanto delicata cupidigia;…

Score

CONCEPT
ARTWORK
POTENZIALITA'

Conclusione : Urbano

Voto Utenti : 0.46 ( 8 voti)

club-voltaire-musica-the-escape-theoryParliamo di canoni. Il così detto ‘british sound’ (che sia rock, ma più pop nel caso dei Clubvoltaire) deve riflettere in maniera assiomatica un modo di sentire di coloro che ci vivono, in qualche modo, nella terra d’Albione. Traslare quella imagery in un contesto culturale/climatico diverso può essere un’operazione molto interessante. Oppure fallimentare. A volte si corrono rischi di manierismo, cui si espongono soprattutto gli estimatori di ogni landa al di qua della Manica. Quindi: i cieli che si aprono all’azzurro con elegante parsimonia; paesaggi agresti e movimentati viali urbani che si offrono alla luce con altrettanto delicata cupidigia; pomeriggi che si perdono in riflessioni ora struggenti ora funamboliche dietro vetri di finestre troppo piccole per inquadrare la magnificenza di una pioggia oceanica; ritmiche e linee melodiche che eruttano inaspettatamente verso altezze di magistrale originalità, freschezza e potenza. I Clubvoltaire a volte mantengono queste promesse/premesse (l’ispirata There is No Sound, la divertente, Midnight Chance; l’intensa, plumbea Words Don’t Cover), altre volte meno (Back in Time, una perfetta “C side”, povera di potenza espressiva; Friday 3 am, perfetto caso di grigio manierismo menzionato poc’anzi). Si, di voci in bilico tra Lennon (Pieces of Beach e Rendez-vous, con tanto di gorgheggi sfacciatissimi, coretti sixties e clarinetti brit-retrò) e Liam Gallagher se ne sentono un po’ troppe ultimamente nelle province italiane e il sottoscritto si domanda se sia frutto di una selezione naturale – chi scopre di averla decide all’istante di intraprendere la carriera indie e il fenomeno “modaiolo” è del tutto incidentale – oppure la selezione è sistemica, industrialmente discografica, anche se si tratta del piccolo e tribale mondo alternativo nostrano. Ed in questo caso, sono più restio a perdonarli. Sia chiaro: niente contro il fatto di essere italiani dal momento che persino gli Embrace azzeccano un ottimo pezzo ogni sei. Ma rispetto a tanti altri colleghi di filiera, in più c’è un ancheggiamento tutto soul sotto le pieghe di The Escape Theory, come nel caso di There is No Sound e Weller, (straordinaria prova vocale, pianoforte rock’n’roll discretissimo e micidiale, glockenspiel saggiamente inseriti). Scrittura intelligente? Senz’altro. Ti fa venire voglia di comprare occhiali a specchio, salire al secondo piano del bus per una fumatina illecita e salutare sorridendo perfetti estranei sul marciapiede, esultando intimamente per ogni saluto e sorriso ricambiato. Fossi in loro spedirei una copia a RAY DAVIES.

Tracklist:

1. Rising start
2. Kingdom fall
3. There is no sound
4. Don’t!
5. Pieces of beach
6. Weller
7. Back in time
8. Rendez-vous
9. Friday 3 AM
10. Midnight chance
11. Words don’t cover


Commenti

Stefano Capolongo

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