Left in Ruins – Ghost (Epidemic Records, 2013) di Daniele Dominici

a0150154604_10Esattamente come nella società comune, anche nell’industria discografica si sono andate creando svariate stratificazioni. Nel corso degli anni è capitato di ascoltare dischi universalmente riconosciuti come trasversali, ovvero in grado di riunire sotto la stessa bandiera palati differenti, magari affini in prima istanza a generi addirittura opposti. Altre volte, come con il disco che andiamo ad analizzare, ci troviamo dinnanzi ad una seconda categoria: band capaci di esprimere il proprio potenziale poetico esclusivamente se collegati ad un casellario tematico ben inquadrato, senza compromessi. Prendere o lasciare.

Il disco in questione (si spera da prendere) è la seconda release del gruppo Raw Punk, Left in Ruins (appena passati alla Epidemic Records), dal titolo esemplificativo, Ghost.

Il lavoro  avrebbe onestamente bisogno di un ipotetico foglietto illustrativo, da consultare acriticamente per una corretta assunzione. Vi risparmieremo l’enunciazione delle varie fasi, riassumendole con quanto segue.

Prima fase: lo studio. E’ necessario, ancor più che per altri lavori, uno studio approfondito del background di un genere musicale intriso di storia e radici urbane, quasi sempre provenienti da paesi anglofoni, ma che possiede forti rimandi anche ai paesi Scandinavi. Gli anni, nemmeno a dirlo, sono i primi ‘80.

Non basta quindi fossilizzarsi sul ceppo Punk per analizzare progetti Raw Punk, come non basta citare l’Heavy Metal per parlare approfonditamente di Thrash o Black. Consigliamo una bella full immersion.

Perché direte voi? Per prepararsi alla fase due. Lo studio stilistico.

Anche ad un’occhiata superficiale, salterebbe all’occhio la durata esigua della tracklist (15 min ca), quindi del componimento. Ma tranquilli! E’ tutto condensato, non c’è bisogno d’altro. Repetita iuvant: trattandosi di un flusso compositivo ben delineato e portatore sano di strutture nette, precise, tagliate con l’accétta, è auspicabile una preparazione all’altezza riguardo background e quant’altro. Altrimenti anche l’impatto sonoro potrebbe scompigliare idee e capelli.

Impatto, mai parola più adeguata. Un treno in corsa. Stilisticamente un treno in corsa. Un Grunge con gli artigli di Wolverine, un Power con la mazza chiodata, un Punk coi tacchetti d’adamantio.

Immaginate, (se) potete.

Terza fase: ascolto attivo con pinne, fucile e occhiali (o forse in questo caso, giubbotto antiproiettile). Difficile descrivere a parole le dinamiche melodiche, probabilmente sarebbe utile la testimonianza dei protagonisti: Olly alla voce, Piff alla chitarra (deus ex machina del gruppo) Dani al basso e Lorenz alla batteria.

Quattro, numero perfetto per una band. Zero markette, eliminare i fronzoli. Avanti il prossimo pronto ad assaggiare la polvere. D’altronde come recita un vecchio adagio ‘durante le risse, non ci si bacia’.

Mai come in dischi simili a questo, il trasporto, l’immedesimazione, lo stato d’animo, l’immersione, sono elementi sine qua non, per affacciarsi timidamente al mondo che i Left in Ruins vogliono dipingerci. Un ascolto poco attento relegherà questo disco alla categoria pregiudiziale – sempreverde di ‘rumore’, con stroncatura definitiva sia per le parti vocali, sia per quelle strumentali.

Dopo esserci cambiati d’abito ed aver indossato ginocchiere borchiate e para gomiti urticanti, il giudizio vira decisamente verso lidi più ortodossi. Ghost rimane di difficile catalogazione generica (e non la cerca, intrinsecamente già la possiede), tuttavia alcuni elementi stilistici rimangono di valore assoluto, come la carica sprigionata dai riff di chitarra, unico tassello iscrivibile in un panorama mainstream già sentito, quello dei Nirvana. Il ‘tu-pa-turupa-tu-pa’ della batteria a ritmi alti, è ipnoticamente fastidioso, tuttavia nessuno dei protagonisti esce fuori dai binari di un copione tutto sommato ben scritto. La genialità delle partiture non è assoluta, ma nemmeno tanto stucchevole da far uscire il record dall’impalcatura espressiva che si il gruppo ha innalzato sin dall’inizio.0002158367_10

Il viaggio (turbolento) disegnato tra The Heretic Son, Wasted Generation, I’m Bored (di cui è presente in rete il video ufficiale, una sola parola: MALATO) è un’esperienza tematica niente male, un urlo generazionale forse più attuale una ventina d’anni fa (o trenta, alla nascita del movimento), con il suo sprezzo per il tutto tondo perbenistico che la società propina ai prigionieri di un terracqueo ricco di contraddizioni.

Somebody to love è una cover-omaggio ai grandi Jefferson Airplane, riarrangiata in modo da renderla nascosta, quasi irriconoscibile.

Breve cenno per le tracce più ‘melodiche’ del disco, Last Dose e Vicious Cycle, unici componimenti dove si ravvisano le influenze sopracitate e per un breve istante il pogo folle immaginato nelle nostre teste si ferma per una birra al bancone del locale.

E’ giusto invece tributare un plauso al sound, assolutamente di primo piano: l’album è stato infatti registrato all’Hate Studio a all’Anchor Studio (Italia) e curato nel Mastering da Jack Shirley agli Atomic Garden Studio di San Francisco (US). E se è vero che l’internazionalità del Mastering non è sinonimo di riuscita effettiva, una visione che va oltre il proprio orto Tricolore è sicuramente sintomo di apertura d’orizzonti. Bene, bravi, bis.

Se quindi vogliamo tirare le somme su questo Ghost dei Left in Ruins, facciamolo perlomeno con la giusta cognizione. Evitando quindi la prosopopea di chi va a sentire Chopin con il labbro arricciato, è giusto inserire l’album in un’ottica delimitata da giusti paletti stilistici, andando incontro (controvoglia?) ad una delle consuetudini più comuni per arie scritte dopo l’inizio dei cosiddetti anni zero: la ghettizzazione per genere. Non più musica, ma generi di musica.

Stabilite le regole del gioco analitico, i Left in Ruins costruiscono un ‘ottima architettura, memori di una lezione fondamentale, per ogni genere, per ogni artista: non importa se il quadro dipinto non è tecnicamente articolato, basta che comunichi. Comunichi, rimandando, criticando, evocando.
Raw Punk? Ascoltando i LIR viene una gran voglia di pogare con bestioni increstati fino al midollo. Missione Compiuta.

 

TRACKLIST:

1. Ghost
2. Emphasis On Nothing
3. The Heretic Son
4. Death Is All We Have In Commo
5. Last Dose
6. I´m Bored
7. Wasted Generation
8. Decay, Survive
9. Somebody To Love
10. Vicious Cycle


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Daniele Dominici

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