Red Dragon Cartel – Red Dragon Cartel (Frontiers, 2014) di Fab Ippoliti

Album CoverIl mondo ti aspettava, Jake.

Sin dalle tue prime opere con Ozzy Osbourne che ti scelse per sostituire il mai troppo compianto Randy Rhoads nei primi anni ’80 hai dimostrato stoffa, carattere, gusto, tecnica. Hai avvinto il mondo, Jake. Hai vinto! La tua sfrenata passione per un chitarrismo che parte dal blues per arrivare ad un hard rock veramente unico e conquistatore senza paragoni ha vinto. Sto parlando da fan, amici di Relics, lo so! Ma ci accingiamo ad affrontare il ritorno di uno dei Migliori. Uno che non ha innovato la scena magari come riuscì il suo predecessore, ma che ha saputo accendere gli animi con Bark At The Moon e che secondo chi scrive ha consegnato agli annali della Storia del rock un disco gigantesco, eterno come The Ultimate Sin in cui Ozzy & compari riescono a fondere heavy metal, rock con un tocco vagamente glam ma riuscendo a produrre un album che (alle mie orecchie!) non stanca e che resta, sfidando e vincendo il tempo. Jake E. Lee, che assieme a Ray Gillen firma poi 3 dischi veramente intensi col monicker Badlands, avventura purtroppo terminata col sipario finale sul grandissimo singer vinto dall’alcol. Jake, di cui si erano perse le tracce dopo un disco solista e una partecipazione ad un disco dei glamsters Enuff ‘z’ Nuff che non era risultata troppo convincente… Jake è tornato!
RED DRAGON CARTEL è un disco che presenta un songwriting che riesce ad assurgere a livelli di spettacolarità che il mondo si aspettava da lui. Un disco in fiamme per moltissimi versi, con JAKE alla guida che dà ossigeno a chi aveva bisogno di lui. Sarà che magari The Ultimate Sin si incastra con la mia giovinezza ma tuttora non riesco a trovarne difetti. Sarà che forse i Badlands saranno stati un po’ derivativi, ma pulsavano di emozioni e grondavano di feeling di sicuro.
RED DRAGON CARTEL è un disco che presenta – per quanto uno voglia proprio essere positivo – diverse ombre, non è del tutto riuscito per un motivo che vi anticiperò: se fosse stato un disco di Jake E. Lee sarebbe probabilmente potuto risultare più accettabile, ma Jake ha deciso di tirare su una band. E questa decisione – secondo chi vi scrive – sebbene sia un tentativo per dimostrare la sua umiltà e la voglia di non prendersi tutte le luci della ribalta e abbia funzionato alla perfezione nei Badlands dove era circondato di musicisti stellari (alla sua altezza e quindi in grado di contribuire in maniera adeguatamente equilibrata alle parti degli strumenti) nei Red Dragon Cartel questo non funziona, purtroppo… E ve lo scrivo davvero con l’amaro in bocca, credetemi.
Innanzitutto partiamo con un’analisi strutturale del disco: in 4 delle 10 tracce troviamo alla voce degli ospiti, che fanno la loro discreta figura, e che mi viene abbastanza intuitivo ritenere come brani di “rottura”. Rottura da cosa? Dal cantante, principalmente. Un tizio a cui Jake deve volere molto bene, e che anche se magari in studio risulti avere delle idee interessanti, sembra un incrocio tra un David Lee Roth pompato, Ozzy (nessun aggettivo, Ozzy è Ozzy) e in qualche caso Joe Elliott – non unendo esattamente le caratteristiche vincitrici dei suoi totem. Jake, caspita ci avevi viziato con dei fuoriclasse e ti sei andato a prendere un clone. Un clone che tra parentesi dal vivo riceve delle critiche lapidanti e che anche secondo me non rende, anche perché la setlist prevede dei pezzi di Ozzy e Gillen, che non sono esattamente proprio roba amatoriale (specialmente Ray).
4 brani che vedono alla voce Robin Zander, Paul Di Anno, Maria Brink e Sass Jordan, che danno un tocco di varietà al disco.
Red Dragon Cartel è alla fine un Grandissimo Signor Disco, ma che presenta molti difetti. Il suono di batteria, oltre la voce: ma perché così compresso e amplificato?! Che bisogno c’era? Evidenziare le doti del batterista? Purtroppo non è che siamo alla presenza di un grandissimo strumentista, con delle peculiarità personali che abbisognano di un’attenzione in più. E’ un bravo mestierante, che non eccelle in stile e che fa il suo lavoro. Lavoro che viene pompato oltremodo, però, mettendo a nudo la mancanza di un musicista che magari con un po’ più di gusto fuori dalle righe avrebbe dato un corpo più intenso al disco. Il bassista non perviene, non risulta, non buca, non si prende la scena, non spicca. A questo punto la domanda che ti rivolgerei carissimo Jake, da persona che ti adora: ma perché tirare su una band di gregari?

Ad ogni modo la vera spina dorsale di Red Dragon Cartel resta proprio e sempre lui. Lo aspettavano in molti, me tra i primi… Quindi poniamoci la domanda e arriviamo assieme alla risposta: JAKE E. LEE CE L’HA ANCORA IL MANICO (terminologia avanzata di evidente derivazione tecnico/musicale)?
Partiamo con Deceived, il cui riff iniziale scalda direttamente i cuori degli ascoltatori del chitarrista dalle origini orientali. IlJake-E-Lees-Red-Dragon-Cartel pezzo è diretto, aperto, potente col ritornello il cui cantato ricorda tanto mr Osbourne ma non riesce a deludere e risulta grossomodo essere un’efficacissima sintesi tra Bark At The Moon e alcune vibrazioni della title track di The Ultimate Sin: EFFICACE.
Shout it out è un pezzo con una cadenza più lenta, in cui il suono bombastico copre la sufficiente ispirazione della base ritmica che comunque con degli azzeccati stop ‘n’ go riescono a far gasare l’ascoltatore: STOMP!
Feeder: il primo pezzo con un guest, Robin Zander dei Cheap Trick che su un lavorìo egregio di basso in evidenza lascia le chitarre volare e nel complesso mette la firma ad un buon pezzo nel quale Jake cita se stesso con un assolo direttamente preso dal 1986 che però risulta veramente kickass: VIBRAZIONI!
Fall From The Sky è il lento che spezza un po’ il tiro del disco, nel quale D.J. Smith mette su la gola del cantante dei Def Leppard riuscendo comunque ad essere abbastanza evocativo da dare emozioni alla canzone che contiene uno tra i più bei solo che mi è capitato di sentire ultimamente: ti fa volare nel cielo, nel blues dipinto di blues: PELLE D’OCA.
Arriva Paul Di Anno dai lontani anni ’80 a dare un groove inaspettatissimo alla (autobiografica?) Wasted: non me lo sarei aspettato, sinceramente… Riesce ad infilare un brano bello tosto e a conferire un tiro fantastico al pezzo che anche se semplice funziona alla grande: ROCCIOSO!
E a questo punto, Ladies & Gentlemen, si colloca il pezzo che infesterà le vostre orecchie. Slave è una cannonata, tutto il gruppo (anche David Lee Roth alla voce ah-ah) è in stato di grazia e mr.Lee sfodera un riff semplicemente gigantesco che sottolineato dalla doppia cassa di Jonas Farley fa da tappeto alla voce che infila una bella strofa e porta al solito assolo schiacciasasso (ma con sentimento) dell’ex cotonato 6 corde. IRRESISTIBILE.
Big Mouth vede dietro ai microfoni la cantante degli In This Moment Maria Brink che ci rende molto partecipi nel mood abbastanza oscuro del pezzo con la sua voce che riesce a carezzare e graffiare, non la conoscevo ma mi pare una cantante ben dotata. RIUSCITA.
Il vero neo che risulta dissonante con la classe del disco è War Machine… Capisco l’amore incondizionato per i Black Sabbath ma sono contrario alle cover mascherate da pezzo originale: serve molta stoffa per renderle al top e questo non è il caso. D.J. riesce infine a conferire un tono al pezzo, ma per me è da skip. NON PERVENUTA.
Sass Jordan arriva alla voce ed è tempo di Redeem Me. La vocalist che ricorda per alcuni versi Tina Turner riempe bene, un pezzo con un’apertura dalle vibrazioni molto positive nel ritornello e che arriva a concludere le tracce cantate del disco, che termina effettivamente con Jake al piano in Exquisite Tenderness, una piccola gemma che mi ricorda molto da vicino il sorriso del chitarrista… Un delicato BIJOUX.
Nel sul complesso torno a ribadirvi la validità del debutto dei Red Dragon Cartel ma soprattutto in virtù del talento stellare del chitarrista che però non ha – a mio avviso – né trovato dei compari di fregata all’altezza né assemblato un prodotto completo. Cerco di spiegarmi meglio: su 10 pezzi abbiamo: 1 mezza cover, 4 pezzi cantati da altri e un pezzo di solo piano. Molto probabilmente non è un disco fatto sotto pressione, lo interpreto così, ma di sicuro a chi piace un cantante di carattere che contraddistingue una band (come nelle precedenti collaborazioni di Lee) in questo disco troverà poco, magari chi vuole canzoni più fumanti e letali sarà parzialmente accontentato. Chi apprezza un rock vario di sicuro gradirà, ma personalmente – come concepimento del lavoro – mi sarei aspettato qualcosa di più. Resta in ogni caso *SENZA DUBBIO ALCUNO* l’impronta da maestro che sa caratterizzare con un fantastico lavoro a 6 corde, capace veramente di far drizzare i peli, che garantisce il bisogno di ripetere gli ascolti di questo debut che spero vivissimamente sia il nuovo capitolo di un Grandissimo Chitarrista. Si: ce l’ha ancora il manico.

Jakelee

Tracklist:
1. Deceived
2. Shout it out
3. Feeder
4. Fall from the sky (Seagull)
5. Wasted
6. Slave
7. Big mouth
8. War machine
9. Redeem me
10. Exquisite tenderness


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Fabio Ippoliti

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