Zen Circus live @ Black out, Roma (di Stefano Panetta, foto di Simone Giuliani)

_DSC5759 copiaTre Allegri Zen Circus Morti.

Perché tre? Perché sono in tre.

Perché allegri? Perché nonostante il nischilismo e la severa critica sociale che fanno sorridono comunque.

Perché Zen Circus? Perché stiamo parlando di Andrea Appino, Ufo e Karim.

Perché morti? Ora ve lo spiego.

Venerdì undici Aprile gli Zen Circus hanno suonato al Black Out Club di Roma portando live il loro ultimo “Canzoni contro la natura”, disco uscito all’inizio dell’anno facendo a meno sia di un’etichetta che dell’aiuto di un fonico. Il gruppo con queste scelte ha cercato di accompagnare al meglio il processo creativo, mantenendo una coerenza maggiore con l’idea iniziale; infatti questa volta l’esperienza live è stata più vicina all’atmosfera dell’album. Queste canzoni contro la natura in realtà tornano ad una naturalezza del suono, un suono ripulito, il più rock possibile senza compromessi. I dischi degli zen sono sempre stati “contro” qualcosa; questa volta sono anche contro il processo canonico di creazione e produzione di un album.
Il nome dell’album è preso da una famosa intervista fatta ad Ungaretti, dove su una spiaggia avvolto dalle sue fragili mani, racconta con dolcezza al microfono di Pasolini la situazione permanente dell’uomo, ossia il suo essere, anche involontariamente,_DSC5622 sempre contro natura. L’uomo nascendo diviene contra naturam. Gli Zen hanno sempre cantato dei processi (auto)distruttivi dell’uomo singolo e della massa, puntando sempre il dito verso le istituzioni corrotte e il debilitante capitalismo del mercato. Ora non ci sono dita puntate, c’è analisi e accettazione, non c’è un errare da parte dell’individuo; il processo identitario individuale è intrinsecamente un andare contro natura. Siamo tutti anormali, siamo tutti contro natura.

Il live di venerdì è stato particolare, a mio parere ho assistito al primo live della nuova era Zen. Il Black out era così pieno che entrati all’interno si poteva fare al massimo un metro e già si stava nel mezzo della ressa. Il pubblico era estremamente variegato, quasi impossibile stabilire un’età media. Di solito i fan più sfegatati stanno nel centro in cerca di spintoni, salti e capriole, stavolta tutta la massa trasudante spingeva, saltava e capriolava.
L’anno sabbatico preso dal gruppo ha portato i suoi frutti. Gli Zen erano molto carichi, era palpabile la voglia che avevano di suonare di nuovo assieme, ed era altrettanto palpabile l’eccitazione del pubblico nel rivederli sul palco suonare tutto il loro repertorio.
Il 30 Novembre 2013 sempre al Black out ho visto i Tre Allegri ragazzi morti. Situazione surreale, locale pieno fino in fondo e tutti intonati a seguire in coro Toffolo. Quella volta ebbi la sensazione di avere davanti un gruppo oramai totalmente emancipato dal suo passato e dal panorama indipendente contemporaneo. Un gruppo che fa e che ha numeri diversi. Un gruppo in un certo senso secolarizzato, iridato, consacrato. Infatti il 2013 è stato l’anno dei tre allegri, tantissime date, un disco studio (bellissimo), un disco live, e il tour con Jovanotti.
_DSC5651Quella sera ho colto in maniera più profonda il loro essere tre allegri ragazzi MORTI. Penso che la crescita sia come un filo che si tende da un punto ad un altro, al quale sono appesi dei piccoli ami a cui noi affidiamo ricordi, momenti, dolori, piaceri; insomma immagini. Quando ascoltiamo della musica e scorgiamo quel filo è perché ancora riusciamo a creare una silenziosa assonanza tra noi e chi la fa. Ho visto tantissime volte i tre allegri e solo quella sera ho capito il senso di quella maschera, di quello svuotamento, del perché dello scheletro. Non c’era alcun filo. Arrivati ad un certo punto rimane solo lo scheletro. Da un certo punto in poi certi gruppi si separano dalla spensieratezza implicita della musica indipendente e si secolarizzano. Crescono. Tre allegri zen circus morti è una definizione che ho coniato con dolcezza e affetto, sono contento di vedere il percorso che hanno fatto, meritano la consacrazione, meritano la diversificazione. Ricordo tutti i fili che ho intimamente intrecciato tra la mia crescita personale e la loro crescita come gruppo. Quando dico che sono morti non dico che non comunicano, oppure che si siano venduti a qualcuno o qualcosa e non penso che alle origini fossero migliori. Sono morti in quanto non parliamo più di Appino che ci racconta la sua vita o la vita degli altri accompagnato da due suoi carissimi amici. Ora parliamo, finalmente, di un Circo Zen.


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Stefano Capolongo

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