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CONCEPT
ARTWORK
POTENZIALITA'
Conclusione : thesingerisdead
Formazione italiana, di base a Milano, The Singer Is Dead arriva al proprio esordio in studio con questo ep omonimo di sei tracce, autoprodotto. Uscito il 24 febbraio scorso, l’Extending Play segna già chiaro il gergo dei ragazzi lombardi, segnato dai chitarroni spessi e inscalfibili e da una sezione ritmica impeccabile. Mezz’ora di rock aggressivo, ma non eccessivamente grezzo, meditativo ma non patetico. Troppo basso il minutaggio per parlare già di una nuova certezza, già abbastanza per testimoniando di una scrittura ispirata, di idee chiare e lucide.
The Singer Is Dead, non si può essere più chiari di così. Ed infatti nelle sei tracce non c’è la minima traccia di un cantato, tutta la composizione è affidata alla solida polpa e ai ricami delle sei chitarre. Se le architetture sono sempre convincenti, ben definite, le atmosfere suggellano il tutto al meglio, raccontando di decadenza e desolazione, ma senza cadere nella banalità più irritante. Mai eccessivi, mai narcisisti, sempre frizzanti, i riff chitarristici rimangono evidentemente il punto di fuga della composizione per l’intero lavoro. Il fil rouge che lega le sei tracce e che evita all’ep di sfaldarsi presto è la miscela di energia, vigore, inquietudine e momenti riflessivi. Tutto, cioè, come nella migliore tradizione post-rock, quella che destruttura le trame mantenendo un approccio vigoroso e rockettaro. Ma a sentire la netta influenza dei generi più spinti, come il math e in (rari) passaggi l’hardcore, si potrebbe allargare ancora il campo, fino ad arrivare proprio al post-hardcore, ad esempio. L’alternanza di strofe compatte, strutturate, accurate e rigorose con la quiete di alcuni bridge è sovente azzeccata, seppure alcune decorazioni risultino piuttosto ampollosi. Non che sia sempre un difetto, va detto. Anzi, per il linguaggio dei Singer Is Dead spesso è anche un dovere, ma l’eccessiva pesantezza in alcuni brani diventa indigeribile. Altro punto debole dell’Ep è che considerato il lavoro nel complesso mancano passaggi in grado di far saltare il banco, mancano veri e propri gioielli; e quest’assenza pesa, seppur i brani siano tutti apprezzabili, e sulla pista lunga di un album può tediare l’ascoltatore.
Dopo la breve Intro, ad aprire le danze ci pensa Houston, We Have A Band!, manifesto perfetto del genere suonato dai quattro milanesi. Un saliscendi di intensità, un continuo avvicendarsi di crudezza e essenzialità, che culmina con una melodia docile nel finale. Tutto molto bello. Poi Brainwash Before A New Born, più eclettica della precedente, più varia e imprevedibile, vuoi per l’influenza punk/post-punk, vuoi per la maggior cura della trama. Il tutto a scapito della linearità della composizione. Con The Last K’in, Your Head Is Going To Explode si scavalla la metà, con la traccia più dura del lotto, in cui riecheggiano, nel bene e nel male, suoni anni ’80, in cinque minuti di preparazione all’esplosione, così come da titolo. Segue Spiderman In Outer Space, ancor più saliscendi di umori e vigore, in un continuo sovrapporsi di chitarre, senza che questo porti alla confusione. Chiude tutto The Story Of A Heart Landing, di gran lunga la più pacata e, passateci il termine, pop, ma probabilmente anche la migliore in scaletta. Alla fine dei trentun minuti rimangono impressi i riff lucidi e accavallati e la solidità delle basi, ma soprattutto tanto, tanto appetito per il futuro.
Tracklist:
1. Intro
2. Houston, We Have A Band!
3. Brainwash Before A New Born
4. The Last K’in, Your Head Is Going To Explode
5. Spiderman In Outer Space
6. The Story Of A Heart Landing