Avenged Sevenfold @Postepay Rock in Roma 2014 (di Daniele Dominici, foto di Luigi Orru)

4Ci sono quei gruppi che per un motivo o per un altro, scatenano la curiosità dei non addetti. A volte perché l’impatto di pubblico è talmente grande da non poter rimanere indifferenti; a volte perché il riscontro a cui sia accennava poco prima non è di pubblico (nonostante anche quello non manchi), ma emotivo, in tutte le declinazioni che il termine possa far sciorinare.
È il caso degli Avenged Sevenfold (M. Shadows alla voce, Zacky Vengeance alla chitarra ritmica e cori, Synyster Gates alla chitarra solista, pianoforte e cori, Johnny Christ al basso e Arin Ilejay alla batteria), fenomeno Alternative Metal dei primi anni 2000, arrivato a calcare i palchi del Rock in Roma giovedì scorso come tappa per l’ ‘Hail To The King Tour’.
Partiamo con un dato oggettivo, riconducibile in qualche modo alla passionalità incondizionata di cui abbiamo già fatto menzione: un’età media del pubblico decisamente bassa. Trovare un capello brizzolato è stato più difficile che individuare uno sprazzo asciutto nel parterre falcidiato nei giorni precedenti da acquazzoni come pochi se ne ricordano in quel della Capitale. Le primissime file (tra le quali figurava anche il sottoscritto), si sono rivelate terreno fertile (e umido) per la proliferazione di groupies e quindicenni d’ogni sorta, in fermento durante tutta la durata dell’evento. Il dato, tuttavia, rimane una semplice statistica da organizzatori d’eventi. Nel computo finale dei pregi dell’esibizione dei ragazzi Californiani, l’omogeneità del pubblico davvero non risulterà influente.
Altra componente oggettiva (non statistico) che è saltato subito agli occhi, è stata invece la manifestazione fattuale3 dell’amore che questo gruppo scatena nella cerchia di aficionados che hanno popolato i posti in piedi della manifestazione Romana, tra striscioni, neanche fossimo al Maracanazo, e continui cori d’incitamento, utili tra l’altro ad auto intrattenere i fan durante la lunga attesa che ha accompagnato il pubblico all’entrata della band ( apertura porte ore 19.00, 21 e 45 inizio concerto ndr).
Nonostante dubitiamo si sia andati oltre le 4000 unità paganti, l’entrata in scena del gruppo capitanato dal vocalist M. Shadows (aka Matthew Charles Sanders) ha ulteriormente acceso gli entusiasmi, sfiorando per alcuni il culmine dell’estasi.
Ed effettivamente anche i semplici appassionati generici avranno apprezzato il dinamismo che contraddistingue gli Avenged nello spostarsi in moto perpetuo per tutta la larghezza dello stage (il bassista, nonostante le pose marpione, è stato uno spasso dall’inizio alla fine) mettendo in crisi i fotografi che avrebbero volentieri usufruito del Bullet Time che si usa nei videogiochi; oppure saranno rimasti rinfrancati dalla semplice (e buona) abitudine del frontman di dialogare con il pubblico e renderlo partecipe in maniera spontanea delle proprie sensazioni: indimenticabile a tal proposito la domanda rivolta al pubblico: ‘Cosa pensate di Milano?’, utilizzata come espediente per far cantare a squarciagola il ritornello della granitica This Means War.
Parlando di scaletta, poche ma succose le sorprese. Oltre ad un inizio corposo influenzato inevitabilmente dal ‘nuovo’ album Hail To The King (il primo dalla tragica morte del batterista fondatore James “Jimmy” Owen Sullivan, in arte The Rev, uscito nei negozi circa un anno fa), che ha originato l’adrenalinica opener Sheperd of Fire, è bastata la tripletta Critical Acclaim – Bat Country – Doing Time per attestare la prima mezz’ora su canoni godibilmente bollenti. 1Nel mezzo il must da radio Hail To The King, che vale da solo come prova tangibile dell’ottima ricezione del materiale recente della band (Doing Time personalmente è tra i primi 5 pezzi della band).
Il resto della seppur breve scaletta, ha incarnato fedelmente lo stile della band, con brani molto veloci conditi da riff di chitarra funambolici, che si interrompono improvvisamente per lasciare spazio a sezioni melodiche al limite del melenso, neanche si trattasse delle hit di una boy band da classifica (quesito: e se fossero il corrispettivo Metal delle boy band da classifica?). Nonostante un’acustica a tratti dispersiva, brani cult come Nightmare e Beast and The Harlot sono risultati apprezzabili grazie alle doti scenico – coreografiche dei 5 componenti sul palco (tra cui il chitarrista solista Brian Elwin Haner Jr., al secolo Synyster Gates, idolo delle folle, soprattutto della parte femminile e sotto i 16 anni di età) e ad una più generica carica espressiva dei pezzi che quando non vengono infestati da ritornelli catchy e bridge scontati, appaiono fortemente convincenti.
E a questo schema gli A7X rimangono ancorati anche nella parte finale, rinunciando a suddividere l’esibizione in due parti, una più raccolta ed una più movimentata; i pezzi si rincorrono senza soluzione d’omogeneità  ed addirittura uno dei due encore alla fine del concerto è stato riservato alla song più sperimentale contenuta nell’ultimo album, quella A Little Piece of Heaven che può essere apprezzata soltanto per la capacità di non ripetere uno schema precotto da Quattro Salti in Padella, ma che altrimenti risulterebbe incatalogabile. Una sorta di misto tra Operetta e Metal Melodico, il cui unico merito sottointeso rimane quello di vestire i panni della concept – song, richiamando i successi contenuti nel record Nightmare (incentrato sul racconto noir di un ragazzo e delle sue esperienze da ‘incubo’).
Nel mezzo della setlist una delle sorprese più gradite, quella Fiction che rimane ancora oggi il testamento artistico del compianto Sullivan: è sua la paternità del brano (come la straordinaria base di pianoforte che l’accompagna) che molti per anni ha fatto credere ai fan custodisse un criptico messaggio premonitore riguardo la tragica dipartita del 2batterista (per un arresto cardiaco ndr).
L’effettiva chiusura è invece un ritorno alle origini con la screamatissima Unholy Confessions (secondo album ndr) che riconcilia i non fan con il piano regolatore che i Sevenfold avevano in mente in principio per il proprio progetto musicale. Qui la carica scenica e la violenza esecutiva si fondono donando al concerto una dolce conclusione, anche per chi è già maggiorenne da qualche decade. This is the REAL, New Way of American Heavy Metal.
Raccontato in questo modo, lo spettacolo offerto può apparire come un gioiello mirabile soltanto da pochi eletti. Che lo si voglia o no, il prodotto proposto dai Sevenfold si è fatto sempre meno trasversale con l’andare degli anni.  Il caso del gruppo Californiano, tra l’altro potrebbe essere oggetto di studio nell’ambito dell’evoluzione delle logiche commerciali nel mondo discografico: nel loro caso, a melodie più orecchiabili non sono affatto corrisposte vendite direttamente proporzionali.
Nonostante questi presupposti, buona parte dell’adolescenza di un certo target di ragazzi passa, volente o nolente, per i Sevenfold. E ciò è dimostrato dall’affetto e dall’abnegazione che viene tributata, per ogni tappa italiana, al gruppo di Huntington Beach. Nella fresca notte di metà giugno che abbiamo appena raccontato, si è potuta respirare quell’atmosfera pregna di dolci insicurezze che caratterizza una gioventù allo sbando, innamorata oggi come ieri del sogno Americano, fatta di skater, ampi cappelli a visiera e maglie larghe NBA. L’emulazione di questi fenomeni oltreoceano non credo ci riguardi, poeticamente potremmo dire: basta che si torni a sognare da questa profonda nebbia di disillusione. Rimanere indifferenti a questi fenomeni generazionali sarebbe un deprecabile errore, farsi trascinare una sciocca caduta di stile. Un po’ come vale per qualsiasi genere musicale. Nel complesso, quindi, una buona uscita per gli Avenged Sevenfold nel nostro paese, condita dall’ottima organizzazione del RIR che da quest’anno ha introdotto i tornelli elettronici dove vidimare i biglietti ed ha incrementato il numero degli stand con vendita di consumabili, arrivando a perfezionare una macchina già ben rodata.

Setlist:

Shepherd of Fire
Critical Acclaim

Bat Country

Hail to the King

Doing Time

Buried Alive

Fiction

Nightmare

Beast and the Harlot

Guitar Solo

Afterlife

This Means War

Almost Easy

Encore:

A Little Piece of Heaven

Unholy Confessions


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Daniele Dominici

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