Mogwai live @ Luglio Suona Bene – Auditorium Parco della Musica, Roma (testo di Simone Vinci, foto di Stefano D’Offizi)

Mogwai07webCominciamo dalla fine:

Coda dell’ultima canzone, Batcat. Un uomo sulla quarantina tre file dietro di me, in avanzato stato di ebbrezza, si alza in piedi ed urla a squarciagola la sua intenzione di masturbarsi, il tutto rafforzato da vari aggettivi riguardo il Padreterno. Rispetto al resto del pubblico dell’Auditorium, era solo più disinibito, ma in un certo senso è stato un po’ il portavoce di tutti.

Ora ripartiamo dal principio:

Chi ha già visto i Mogwai, mi ha messo in guardia avvertendomi che “suonano come il cd”, conoscendo la mia avversione verso tale modus operandi, ma comprendendo la complessità di questo genere, non ho messo le mani avanti e non ci ho pensato fino al momento in cui non ho messo il culo sul sedile e si sono spente le luci.

Tre note di Heard about You Last Night per capire che effettivamente suonerà come sul disco, prima botta sul rullante per capire che sto ascoltando, forse, la migliore amplificazione di una batteria nella storia della musica: secca, decisa, piena e sullo stesso livello di volume degli altri strumenti. Già all’inizio di Friend of the Night, capisco che l’unico modo per godersi un concerto dei Mogwai è questo. La loro massima espressione arriva dal riprodurre ogni suono sul palco come nel disco. Un suono pieno, avvolgente, paradossalmente caldo e freddo allo stesso tempo.Mogwai00web

Fissare il palco per un’ora e quaranta ininterrottamente è una cosa che chi guarda un qualunque concerto, non concede nemmeno al suo gruppo preferito; perchè ti giri a chiacchierare, o a guardare una tizia, o un tizio… Ieri vicino a me sarebbe potuto esserci anche il Dalai Lama, non l’avrei degnato di uno sguardo. Non avevo la più pallida idea di chi ci fosse nei quattro posti intorno al mio. L’Auditorium, sicuramente, è il miglior posto dove concedersi il lusso di guardarli: perchè non è musica da zompettare, non è musica da pogare, è tutta un’altra cosa. Si sta zitti, composti, seduti, come se si fosse all’Opera. Senza nessuna testa davanti e senza nessuna chiacchiera superflua. Non c’è bisogno di interagire col pubblico  per coinvolgerlo; così, il microfono sul palco, a parte le tre frasi di Take Me Somewhere Nice, viene utilizzato da Stuart Braithwaite solo per dire “Grazie mille/Thank You, Cheers!”, sì perchè il “cheers” è un elemento fondamentale nella carriera dei Mogwai
Mogwai11webHanno bevuto un quantitativo di alcool importante. Braithwaite col suo bel calice di vino, Dominic Aitchison con una pinta piena di un liquido marroncino, palesemente senza bollicine. Ma sono scozzesi, se vai a vedere, quindi è la loro cultura popolare ad imporgli di farlo. Tiri avanti a fissare il palco al punto da accorgerti dei particolari… Tipo attaccare un pezzo con le tastiere spente, o quando si è spento un ampli e un fonico si è fatto in quattro per riaccenderlo. Oppure rendersi conto che i 3 esagoni luminosi sospesi sopra le teste del gruppo di Glasgow, si accendevano solo sulle canzoni tratte da Rave Tapes, l’ultimo album.

Poi loro se ne approfittano, perchè lo sanno che tu fissi il palco… Ed attaccano con una Fear Satan molto più delicata del solito, quasi impercettibile. Fino al momento in cui il muro di suono esplode. C’è gente che dallo spavento si è alzata in piedi… Io personalmente quasi finisco in braccio a quello dietro. L’unico che si è divertito era un bambino di circa due anni che urlava “Ancora ancora fatelo ancora”. Bambino, lo vedi che i signori grandi hanno gli occhi fuori delle orbite, ti pare il caso? Ma soprattutto, bambino, che ci fai al concerto dei Mogwai?

Poi il bis: Helicon 1 e Batcat, col tizio onanista…

Il vero peccato è che sia durato solo un’ora e mezza e non un giorno e mezzo.

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Simone Vinci

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