Aldo, Giovanni e Giacomo in un vecchio film tirarono fuori niente di meno che Platone con il mito della mela, l’essere perfetto con quattro mani e quattro braccia. Non perchè non crediamo nell’anima gemella, ma a noi – forse – a scuola, era rimasta un più impressa la storia della biga tirata da un cavallo bianco e uno nero, diretti uno verso la spiritualità e l’altro verso la concupiscenza. Non sappiamo se nelle ore di filosofia i Sorry, Heels prendevano più appunti di noi. Immaginiamo però che hanno sempre fatto il tifo per il destriero più scuro. Nati dalle ceneri dei Chants of Maldoror e di altre band di Frosinone che abbiamo sempre apprezzato come gli Ill Will, il quartetto si mantiene aggrappato ad una componente radicalmente tenebrosa, ma con venature friabili e zoccolo di gnu che potrebbero anche scivolare allo stesso tempo verso il pop emozionale delle Organ e l’epicità dei Cult. Se la copertina ci ricorda paradossalmente il seminale Carpe Diem dei Will Haven, per il suono i Sorry, Heels rimangono indiscutibilmente legati all’estetica e le ambientazioni di Joy Division e primi New Order. Il basso di Carving a smile per esempio, pare cominciare come quello di Peter Hook, ma poi nello sviluppo della trama del pezzo i quattro cercano di confrontarsi con un suono più personale. Last day on earth è sicuramente uno degli episodi migliori e allungano con una coda molto emozionale certe intuizioni pop dei Deerhunter, confinandoli in una sorta di shoegaze cupo e squillante. Da segnalare la cover di N.I.B. dei Black Sabbath. Alla fine del disco ci sentiamo come il cameramen de A torinói ló di Bela Tarr, che dopo aver girato vorticosamente attorno al cavallo nero pece in corsa del protagonista si concede una pausa di 39 minuti e 30 secondi di Unknown pleasure.
Tracklist:
1. Lights end
2. Carving a smile
3. Passing through
4. Last day on Earth
5. In love with Silence
6. Fragment
7. Bruises, not scars
8. Not the way