REAL RELICS #7 – Queen live @Wembley Stadium, Londra (di Mirko Porcari)

real queen1Five minutes? Five-ten minutes?

Londra, luglio 1986, il Wembley Stadium è il centro del mondo. Freddie Mercury chiede quanto manca all’inizio dello show, saltellando comincia con il riscaldamento vocale, accompagnato dagli acuti di Roger Taylor. Cronaca di una giornata memorabile, impressa e registrata sotto ogni forma con l’intento di donare alla storia la magia di un evento. Telecamere, fotografi e giornalisti per immortalare i Queen che tornano a casa: “Abbiamo suonato ovunque” spiega un emozionato Brian Mayma quando lo fai nel tuo paese, a casa tua, hai maggiori pressioni addosso. E questo un po’ spaventa…
Eravamo al top, ci sentivamo alla grande” le parole di Brian May che si erano trasformate in numeri impressionanti: palco immenso (“servirebbe un golf kart per percorrerlo tutto…” Roger Taylor riguardando i venti metri di lunghezza), tredici camion (una follia per l’epoca) a disposizione per l’attrezzatura e gli allestimenti, diciannove limousines, decine e decine di membri dello staff pronti a soddisfare l’attesa della band e del pubblico. “È come dar da mangiare ad un mostro” la confessione di Gerry Stickells, tour manager impegnato a quantificare la differenza tra “i tour degli anni ’60 e ’70, per i quali entravi in macchina ed andavi a suonare da un posto all’altro” e la magnificenza di un mondo che stava cambiando, dove “tutti hanno cominciato ad usare i computer e la visione è molto più legata al business“.real queen6
Affari di cui Harvey Goldsmith, promoter del tour ed istituzione nel mondo della musica, prova a dare una spiegazione concreta elencando le tappe che avevano portato ad una doppia serata nello stadio capitolino: “Avevamo in programma una serata a Wembley ma i 72.000 biglietti sono andati esauriti in pochissimo tempo. Così ne abbiamo aggiunta un’altra ed è stata la stessa cosa. Per questo abbiamo pensato a Newcastle e Manchester (prima e dopo la doppia data di Londra) ed anche là sono andati esauriti i 38.000 ed i 35.000 posti. Tutto questo in due ore, una cosa che non avevo mai visto. E quindi abbiamo aggiunto una data alla fine per suonare al parco di Knebworth, dove ci saranno 120.000 persone. Sembra che i Queen abbiano un mercato senza fine!
Nel caldo del catino londinese, il pubblico ruppe la monotonia dell’attesa ascoltando tre gruppi di supporto, gli Inxs, The Alarm e gli Status Quo: “It’s amazing” l’unica cosa che riuscirà a dire Rick Parfitt, chitarrista dei Quo e compagno di scorribande di Roger, dando uno sguardo alla maestosa compattezza del pubblico. Un anno dopo i Queen erano di nuovo là, questa volta da protagonisti assoluti: l’adrenalina della performance al Live Aid scorreva ancora, la forza e la vitalità acquisite dai venti minuti del “mega juke box” avevano regalato al gruppo una nuova visione del futuro.real queen3
La pioggia di venerdì 11 luglio non aveva disturbato più di tanto Mercury e soci: la voce del frontman non era al meglio, periodicamente doveva fare i conti con alcuni noduli alla gola che minavano sensibilmente la modulazione delle note e per uno spettacolo di quella portata c’era la necessità di spingersi al massimo. “Devi fare i conti con il ruggito di Wembley” sorride Taylor nel ricordare l’impegno profuso per rendere fantastico quel week-end, memorie che coinvolgono anche May: “Il 1986 è stato un anno molto importante per noi. Eravamo in grado di suonare davanti ad un pubblico molto grande e Freddie era il punto di connessione tra noi e la gente. Riusciva ad entrare in grande sintonia con gli spettatori.
La pioggia – “this fucking rain” –  non turba troppo la band, il concerto va avanti nell’euforia generale, una sorta di warm up prima del main show del sabato: questa volta il clima è molto più clemente, il sole accompagna il processo di riempimento dello stadio mentre nel backstage si mettono a punto gli ultimi dettagli. Tutto comincia con ONE VISION, singolo tratto dal nuovo album, mentre il pubblico si scatena ecco partire il riff tagliente di TIE YOUR MOTHER DOWN, due canzoni per nove minuti di pura energia.
real queen4Il salto negli anni’70 continua con la versione acustica di IN THE LAP OF THE GODS…REVISITED, pezzo in cui la voce di Mercury offre il meglio di sè: “Nei primi dieci minuti devi assordarli ed accecarli” Taylor prova a spiegare così la costruzione di un concerto, puntando molto sull’impatto iniziale, mentre è Brian May ad approfondire la composizione di quella che chiama una “parabola” musicale: “Si deve iniziare forte per poi provare a smorzare i toni, una parte centrale in cui puoi anche proporre dei medley. Tutto ciò per preparare il pubblico al climax finale.
Gli anni ’80 catalizzano gran parte dello show, una scelta che in tanti non gradiscono a causa di tagli più o meno funzionali ai successi dei primi dischi: TEAR IT UP riporta il rock nel cuore dello stadio prima di passare al mix di luci e scenografia (i quattro membri sotto forma di pupazzi giganti che vengono fatti volare nei cieli della capitale londinese) di A KIND OF MAGIC, al termine della quale c’è il duetto di Mercury con i fans ; lo step successivo è UNDER PRESSURE (la stampa dell’epoca riporta di un mancato accordo con David Bowie per un’apparizione ad hoc sul palco) mentre ANOTHER ONE BITES THE DUST e WHO WANTS TO LIVE FOREVER trasportano verso la parte centrale del concerto.
È in questo frangente che Freddie Mercury prende la parola, mentre May si prepara nell’insolita veste di tastierista, il cantante fa il punto della situazione senza tralasciare nulla all’immaginazione: “Ci sono stati dei pettegolezzi riguardo una certa band chiamata Queen. Dicono che vogliamo scioglierci” indicando il sedere al pubblico, la risposta è una sola “parlano da qui! Lasciate stare i pettegolezzi, noi staremo insieme fino alla dannata morte.
IMPROMTU apre la via verso l’assolo di chitarra del BRIGHTON ROCK SOLO, la potenza di NOW I’M HERE accompagna il pubblico al momento più soft dello spettacolo: LOVE OF MY LIFE pizzica le corde del sentimento, con il timido May che ringrazia i fans – “Non ho molto da dire se non grazie di essere qui ed aver reso questa la tappa più bollente di un tour che questo paese abbia mai visto. Vi amiamo” – mentre il sole comincia a calare. IS THIS THE WORLD WE CREATED…? chiude il cerchio dell’intimità, il salto alle radici del proprio passato è tutto nella scelta di quattro  cover: (YOU’RE SO SQUARE) BABY I DON’T CARE, HELLO MARY LOU (GOODBYE HEART), TUTTI FRUTTI e GIMME SOME LOVIN, attingono a piene mani dal repertorio classico del rock, una decisione che non troverà l’approvazione unanime degli appassionati dei Queen ma che, per stessa ammissione dei membri, “rappresenta un ritorno alle nostre origini, quando ci trovavamo per suonare e ci divertivamo a rifare vecchi pezzi che ascoltavamo da ragazzi.
real queen5Dietro le parole ci sono i fatti, uno studio approfondito di come, cosa e perché delle canzoni possano funzionare: prendere nuove canzoni e mixarle con i successi di sempre, cercando il giusto equilibrio dopo 14 tournée ed un armadio pieno di composizioni fantastiche. “Prima di un tour devi decidere cosa suonare tenendo conto di tante cose” prova ad analizzare May “devi considerare il pubblico, la forma e le aspettative. Qualsiasi cosa scegli, comunque, devi portarla avanti con tutte le tue forze.
Con BOHEMIAN RHAPSODY si corre verso la fine del concerto: HAMMER TO FALL, CRAZY LITTLE THING CALLED LOVE (“Questa chitarra di merda non suona mai come vorrei” dice Mercury sorridente “conosce solo tre accordi e vediamo cosa viene fuori“), BIG SPENDER e RADIO GA GA sono da vivere tutte d’un fiato. Si chiude con WE WILL ROCK YOU, FRIENDS WILL BE FRIENDS (“non ricordavo l’avessimo messa in scaletta” dirà molti anni dopo un perplesso Brian May) e WE ARE THE CHAMPIONS con il manto rosso di ermellino ed una corona che simbolizza la maginificenza del gruppo sulle note di GOD SAVE THE QUEEN.real queen7
I fan più ortodossi hanno spesso puntato ad un revisionismo nei confronti della performance di Wembley, con gli anni e la maggiore accessibilità regalata da internet si sono moltiplicati i confronti tra la qualità del Magic Tour e quella delle tournée precedenti: nonostante le evidenti mancanze nella scaletta (una su tutte, Somebody to love) e gli aggiustamenti da post produzione, l’immaginario collettivo ha legato per sempre il concerto londinese alla grandezza dei Queen, cancellando ogni dubbio sulla forma dei quattro membri e sulla scelta dei pezzi da proporre. “Mi piace che la gente se ne vada da un concerto dei Queen soddisfatta, divertita…Credo che le nostre canzoni siano pura evasione, come quando si vede un buon film. Gli spettatori possono andarsene e dire che è stato grandioso prima di tornare ai loro problemi.” Sarà così per sempre, Mr. Mercury.real queen2


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Stefano D'Offizi

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