REAL RELICS #11 – Deep Purple @Osaka/Tokyo, Japan (di Stefano D’Offizi)

led1Correva l’anno 1972, il Rock Britannico continua a sfornare una quantità impressionante di band che hanno lasciato le proprie tracce indelebili in un mondo in cui la Musica è probabilmente protagonista a tutto tondo; Pink Floyd, The Rolling Stones, The Who, Led Zeppelin, Black Sabbath e Deep Purple tanto per fare alcuni nomi celebri. Il pubblico di questo periodo non è certo dei più semplici, il Rock ha subito molti cambiamenti non solo in ambito musicale, l’ondata Peace&Love ha ormai imboccato il viale del tramonto e le orecchie collettive hanno bisogno ormai di un cibo diverso. Libertà di espressione ed originalità diventano un must, troppo lontano dalle proposte discografiche delle major in ascesa, in sostanza niente di troppo differente da quanto accade oggi. I Deep Purple si imbarcano in un tour in Giappone per promuovere il nuovo album intitolato Machine Head, disco che li vede consacrati alla storia del Rock, probabilmente il più famoso della loro lunga carriera che li vede ancora oggi calcare i palchi più prestigiosi del mondo. led5La band conta tra le proprie file la voce inconfondibile di Ian Gillan, la chitarra altrettanto unica di Ritchie Blackmore, Roger Glover al basso, Ian Paice alla batteria e Jon Lord alle tastiere, ed è con questa formazione che passerà definitivamente alla storia con uno dei dischi live più belli e famosi della storia, conquistando dapprima il Giappone, per poi raggiungere il pubblico mondiale con questo album epico dal titolo Made in Japan.
Del tour Nipponico vengono scelte soprattutto le tre date principali: 15 e 16 agosto al Festival Hall di Osaka e 17 agosto al Nippon Budokan di Tokyo. Tutto il materiale registrato verrà mixato dal tecnico della band Martin Birch, con la supervisione diretta di Paice e Glover. Nel dicembre del 72 viene rilasciata la prima versione successivamente integrata nel 1998 con l’aggiunta degli encore (Black Night, Speed King e la cover Lucille).
Una breve introduzione in cui Lord prova qualche accordo del suo Hammond fa da apripista ad Highway Star, brano impreziosito dai repentini e continui cambi di marcia, dove si può apprezzare la gran forma di Gillan e di Paice, il tutto a far da cornice al magistrale lavoro di Blackmore che diverte e si diverte in un assolo carico di tremolo e velocità. led2Sono passati circa sei minuti e già si assapora l’eclettica sostanza di una band che da il meglio di se dal vivo, ed a ragion veduta si passa alla successiva Child in Time, il brano che forze maggiormente rappresenta i Deep Purple (tolta ovviamente Smoke on the Water); una poesia interminabile di ben dodici minuti, in cui la voce di Gillan rincorre la chitarra di Blackmore e così via, in un limbo di note multicolore che prende il via da da due accordi e si trasforma in un’opera immortale. Fin qui due canzoni, due cavalli di battaglia, palla al balzo ricevuta e punto messo a segno: Smoke on the Water! led3Inutile dire che l’apoteosi è raggiunta nel momento stesso in cui Blackmore intona il riff principale, che di fatto ancora oggi riesce a coinvolgere anche chi per il Rock non ha il minimo interesse. Come accade di solito con brani straconosciuti dal pubblico, viene eseguita senza troppa attenzione alla durata, sette minuti e mezzo per conquistare un pubblico già pago di virtuosismi, salite e discese, fino a raggiungere un assolo di Lord accompagnato dalle rincorse di chitarra Blackmoriana. Strange kind of Woman, suoni caldi e puliti, ritmo incalzante tra Paice e Blackmore, il tutto in una perfetta armonia, come se si trattasse di una semplice studio session; fraseggi improvvisati di chitarra si alternano alle strofe cantate fanno risaltare l’incredibile talento di un vero artista delle sei corde. L’intero album mette in evidenza l’estro e la tecnica di una band resa immortale dai suoi componenti, passando per Lazy, dove Gillan passa all’armonica a bocca donando un retrogusto country. Chiude la scaletta Space Truckin’ dove ancora una volta si assiste ad un’esecuzione impeccabile. led4
Naturalmente si tratta di brani estratti da tre differenti date, e la scelta è sicuramente ricaduta sul meglio delle possibilità di registrazione, sebbene in molti negli anni sono riusciti a trovare imperfezioni sul mastering audio e quisquiglie simili. Punti di vista, o di ascolto se vogliamo, resta comunque da dire che ancora oggi si parla di questo live come del migliore mai registrato, forse non per la qualità dei suoni (che comunque trovo eccellenti) ma sicuramente per la potenza e l’enfasi dimostrata sul palco, resa ancora più ricca col l’edizione del 1998, un’ora e diciassette minuti di Rock allo stato puro.


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Stefano D'Offizi

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