#LAGUERRADIPIERO: Ero un giovane vecchio tra l’amore, la morte e tutte le sciocchezze possibili (di Piero Guerra)

“D’amore di morte e di altre sciocchezze” esce nel 1996. Guccini dedica questo disco a due amici scomparsi prematuramente: Victor Sogliani (bassista del gruppo Equipe 84) e Bonvi (fumettista, creatore di Sturmtruppen). Il disco si apre con uno dei brani, a mio parere, più belli che siano mai stati realizzati, una sorta di “lettera” (il titolo, appunto) scritta da uomo maturo, che filosofeggia e fa il punto della situazione, tra desideri andati e certi ricordi ancora da assimilare. All’epoca avevo 16 o 17 anni e un amico, parecchio più grande di me, trovò strano questo mio attaccamento al brano, dal momento che a parlare, era un uomo per così dire “vissuto”. Era una mia particolarità il fatto di essere un “ragazzo vecchio nelle mie scarpe” (giusto per citare un brano del medesimo periodo degli Smashing Pumpkins), che non significa essere maturo (chi mai matura nella vita?), ma solo di “vestire” certi panni in maniera diversa rispetto alla propria età.
Nel disco sono contenuti brani che saranno spesso riproposti live e di grande impatto come “quattro stracci” o “Cirano”, quest’ultimo è una personale trasposizione in musica di un classico letterario, com’è capitato in altre occasioni con brani tipo “Bovary” o “Don Chisciotte”.
Un disco che nella mia adolescenza ha iniziato a farmi capire e amare la bellezza della parola (anche cantata) e l’emozione che da tutto ciò può nascere. Francesco Guccini è stato forse il migliore “artigiano” della parola nella musica italiana ed io ero e sono fiero di essere ancora un suo ammiratore. Rimane il disco cui probabilmente sono più legato. D’estate, al termine della scuola, lavoravo in una fabbrichetta vicino a casa, in cui, attaccato a una macchina, ripetevo lo stesso gesto in continuazione. Per far passare il tempo cantavo, a volte mentalmente e a volte sussurrandole appena, canzoni come “lettera”, “quattro stracci” o “Cirano”. Anni dopo mi capitò la stessa cosa durante delle corse a piedi particolarmente lunghe, con il fine di pensare ad “altro”, rispetto a quello che stavo facendo. Insomma, un brano come “lettera” è divenuto per me, con il passare degli anni, una sorta di preghiera con cui rivolgermi a me stesso e che mi ha fatto capire che le situazioni e le esperienze che viviamo forse sono tutte uguali, la differenza sta solo a come noi le vogliamo comprendere.
Alla prossima, vostro Piero…


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Stefano D'Offizi

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