Interpol – Marauder (Matador, 2018) di Paolo Guidone

Due anni di lavoro in studio di registrazione, una nuova e celeberrima produzione, un piccolo riassetto all’interno della band: un disco attesissimo.

Marauder, l’ultimo album degli statunitensi Interpol, è probabilmente il loro più bel disco dai tempi di Antisc (2004) ma, purtroppo, non ancora il più bello che resta il loro capolavoro d’esordio Turns on the bright lights.

Il singolo di lancio The Rover è molto rappresentativo dell’album, con le sue atmosfere aperte, evanescenti, ipnotiche, supportate da un ritmo duro, sincopato ed incalzante di chitarra e batteria che ad esse si contrappongono creando un efficace contrasto, o meglio un “incastro”, di sensazioni sospese tra l’onirico, l’epico ed una rabbia repressa, angosciata, che vorrebbe esplodere senza riuscirvi del tutto.

Il termine “incastro” non è casuale, poiché questa volta l’esperimento di sovrapposizione di questi due registri espressivi non sembra pienamente riuscito per gli Interpol, i quali appaiano a volte forzare un po’ le cose ma senza avere il coraggio né di riproporre del tutto il loro tipico stile né di gettarsi verso qualcosa di realmente nuovo a cui sembrerebbero, però, aspirare.

Probabilmente l’importante produzione di Dave Fridman, già produttore dei Mogwai, ha contributo a comprimere ed indurire i riff delle canzoni, con il basso di Dengler a volte un po’ troppo appiattito sulla linea di batteria, con inevitabili ripercussioni sulla carica emotiva del ritmo e sulla resa generale dello spleen plumbeo a cui gli Interpol ci avevano piacevolmente abituati e che ci saremmo aspettati anche questa volta.

Meritevoli di menzione, altre al citato singolo The Rover, sono sicuramente anche i brani It probably matters e la ballad If you really love nothing che strizzano l’occhio alle origini e riportano il basso al ruolo che gli compete.

Il risultato generale appare come un album “abbastanza tipico” degli Interpol se non per quel ritmo più asciutto, duro ed incalzante che insegue la voce tesa ed inarrestabile di Banks. Senza grossi elementi di novità ma neppure di tradizionalità sonora, Marauder è forse molto più semplicemente un album che paga (ancora) il confronto con il  capololavoro d’esorio degli Interpol, che lanciò la band statunitense nell’olimpo della musica post-punk /new wave di inizio millennio.

Un disco piacevole dunque, che però avrebbe potuto, e forse dovuto, offrirci di più viste le leggende che lo hanno realizzato e le premesse che lo hanno anticipato.

Tracklist:

  1. If You Really Love Nothing
  2. The Rover
  3. Complications
  4. Flight of Fancy
  5. Stay In Touch
  6. Interlude 1
  7. Mountain Child
  8. Nysmaw
  9. Surveillance
  10. Number 10
  11. Party’s Over
  12. Interlude 2
  13. It Probably Matters

 


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Paolo Guidone

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