Rotting Christ – The Heretics (Season of Mist, 2019) di Alessandro Magister

“I do not believe in the creed professed by the church…my own mind is my own church”. Queste sono  le parole pronunciate da Sakis Tolis nel brano Heaven and Hell and Fire e iniziamo da qui perché sono la cosa che più è rimasta impressa nella mente di chi scrive dopo numerosi ascolti. Inutile girarci attorno. L'idea di chi scrive è che la band greca, guidata dai fratelli Tolis e capace di conquistare critica e pubblico coi superbi Non Serviam e Triarchy of the Lost Lovers, fosse andata ampiamente in confusione già tra la fine degli anni '90 e l'inizio del…

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I do not believe in the creed professed by the church…my own mind is my own church”. Queste sono  le parole pronunciate da Sakis Tolis nel brano Heaven and Hell and Fire e iniziamo da qui perché sono la cosa che più è rimasta impressa nella mente di chi scrive dopo numerosi ascolti.

Inutile girarci attorno. L’idea di chi scrive è che la band greca, guidata dai fratelli Tolis e capace di conquistare critica e pubblico coi superbi Non Serviam e Triarchy of the Lost Lovers, fosse andata ampiamente in confusione già tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio ma, fortunatamente, erano stati capaci di risollevarsi contro ogni aspettativa e regalarci l’ispiratissimo Theogonia, col quale piegavano verso sonorità più epiche del passato.

Già il precedente Rituals ci aveva lasciato sostanzialmente indifferenti e ci siamo approcciati a questo album con dubbi e pregiudizi inevitabili. In definitiva questo The Heretics, un concept album dedicato a una serie di personaggi del passato catalogati, appunto, come eretici, si pone come erede delle sonorità e dello stile già ascoltati nel 2016: suono pesante, cerimoniale, cori a iosa, salmi, lingue sconosciute, urla, song-writing e drumming ripetitivo.

Ovviamente tutto questo rappresenta una scelta pensata e, come tale, va rispettata. Impossibile, invece, non apprezzare il lavoro in termini di mixing e produzione, opera del chitarrista George Emmanuel che ha, però, da poco comunicato l’abbandono della band. Il disco è volutamente un percorso narrativo che si snoda attraverso i brani in modo uniforme e, ogni tanto, si concede qualche parte di chitarra più energica o qualche bel solo, senza però mutare nulla di sostanziale. L’ascoltatore, tra un urlo e un altro, spera sempre che il disco esploda finalmente ma quel momento non arriva. Darà sicuramente un parere diverso chi ha apprezzato gli ultimi lavori della band greca, band che da l’impressione di essere stanca e svuotata, nonostante l’indubbio talento. Non può bastare l’interessante il solo, seppur interessante e ben costruito, filone narrativo dato che non stiamo leggendo un libro. Resta da sperare che la trasposizione in sede live doni nuovo valore a quest’opera. Peccato.

Tracklist:

1. In The Name of God
2. Vetry Zlye (Ветры злые)
3. Heaven and Hell and Fire
4. Hallowed Be Thy Name
5. Dies Irae
6. I Believe (ΠΙΣΤΕΥΩ)
7. Fire God And Fear
8. The Voice of the Universe
9. The New Messiah
10. The Raven


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Alessandro Magister

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