Angel Olsen – All Mirrors (Jagjaguwar, 2019) di Paolo Guidone

Capita, a volte, di essere conquistati da qualcuno al primo sguardo, altre volte, invece, ci accorgiamo della sua bellezza solo dopo un po' di tempo. Potrebbe essere, questa, una buona chiave di lettura per comprendere l'artista statunitense Angel Olsen, che con il suo quarto album All Mirrors ha stupito e non poco anche chi la conosceva dai tempi del suo debutto. Olsen infatti ha esordito con un genere di musica colta, testi ricercati ed introspettivi, dalle sonorità calde di ispirazione folk, sicuramente non interessata ad accedere alle grandi classifiche commerciali. La scelta della piccola etichetta indie Jagjaguwar, specializzata in…

Score

Artwork
Potenzialità
Concept

Voto Utenti : 3.75 ( 2 voti)

Capita, a volte, di essere conquistati da qualcuno al primo sguardo, altre volte, invece, ci accorgiamo della sua bellezza solo dopo un po’ di tempo.

Potrebbe essere, questa, una buona chiave di lettura per comprendere l’artista statunitense Angel Olsen, che con il suo quarto album All Mirrors ha stupito e non poco anche chi la conosceva dai tempi del suo debutto.

Olsen infatti ha esordito con un genere di musica colta, testi ricercati ed introspettivi, dalle sonorità calde di ispirazione folk, sicuramente non interessata ad accedere alle grandi classifiche commerciali.

La scelta della piccola etichetta indie Jagjaguwar, specializzata in un genere di musica assai ricercata e di nicchia, ne era la prova.

All Mirrors segue la scia innovativa del terzo album dell’artista, My Woman (2016) che per la prima volta la proiettò sulle scene internazionali, portandola al massimo livello.

I brani dell’ultimo disco della cantautrice Angel Olsen, infatti, appaiono introspettivi, riflessivi, ma mai banalmente malinconici, con un’esecuzione di grande talento e sperimentazione.

Ciò che impressiona sin dalla prima traccia, infatti, è la capacità della Olsen di integrare vari registri musicali assai diversi tra di loro senza mai fonderli o commistionarli né, tanto meno, snaturandoli.

I testi sono molto introversi e parlano, con grande stile espressivo e letterario, di un cuore ferito da abbandoni e delusioni, ma non più sanguinante; di riflessioni sui propri errori del passato e della difficoltà di tener fede alle proprie promesse di non ripeterli più.

Ci si aspetterebbe dunque una musica cupa e carica di tensione emotiva, invece no.

All Mirrors è un eccellente esempio di uso contemporaneo della musica orchestrale, con strumenti ad arco che riempiono con perizia tecnica e delicatezza espressiva ogni spazio comunicativo della canzone, senza entrare in conflitto con il testo, anzi esaltandolo.

Troviamo accanto all’orchestra d’archi anche delle tastiere che, con sapiente discrezione, sanno apportare quel leggero tocco di elettronica, a volte quasi impercettibile ma che fa la differenza, così come batteria e chitarra acustiche che rimandano alle origini folk della Olsen.

Tutto è perfettamente bilanciato, pur nelle suddette diversità espressive, in una sapiente atmosfera di spazio aperto, oseremmo dire quasi etereo che, in contrappunto all’introspezione dei testi, ne amplifica il messaggio: – se davvero riesci a guardare dentro te stesso, lo spazio che ti circonda si amplia e si chiarisce – sembra dirci l’autrice.

La voce dell’artista è generalmente di tonalità bassa, una sorta di contralto, ma raggiunge picchi di potenza e pulizia notevoli, amplificati dal gusto di lasciare sempre un leggero riverbero di sottofondo.

Tale scelta rende senz’altro il cantato più solenne, ma freddo e distante, e probabilmente la scelta non è casuale: l’artista forse vuole in tal modo esprimere al meglio il concetto di ricerca interiore, quel luogo in cui siamo assolutamente soli, come in una casa vuota, e dove vi è l’eco freddo delle nostre parole e movimenti.

La presenza elettro si fa notare in tutto l’album, ma in brani come All Mirrors raggiunge addirittura sonorità chiaramente ripescate dagli anni ’80, con tastiere ed una batteria che pesta ritmi regolari e ipnotici.

Nel bel brano Endgame Olsen rinuncia del tutto al riverbero, e con voce calda pare sussurrarti all’orecchio, creando l’illusione di una forte intimità con l’ascoltatore.

Il pezzo finale Chance è un capolavoro della tradizione cantautorale statunitense di impronta folk, con una voce che danza non sopra, ma assieme, ad un piano e ad una batteria sul lento e cadenzato ritmo di 2/4, con gli archi dell’orchestra che paiono fare da corona – quasi una folla di spettatori – a quel lento, ballato dalla bellissima voce di Angel Olsen.

L’album All Mirrors, in definitiva, non è un ascolto facile e richiede un po’ di attenzione e sensibilità all’ascoltatore, si potrebbe infatti azzardare che per certi versi ricordi lo stile di Bjork e per altri i National, almeno per l’introspezione e complessità interpretativa, ma vale la pena impegnarcisi un pochino.

Se non vi innamorerete al primo ascolto, dunque, non temete: certi amori hanno bisogno di qualche incontro prima di accendere il cuore.

Bel disco, davvero.

Tracklist:

  1. Lark
  2. All Mirrors
  3. Too Easy
  4. New Love Cassette
  5. Spring
  6. What it is
  7. Impasse
  8. Tonight
  9. Summer
  10. Endgame
  11. Chance


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Paolo Guidone

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