Portico Quartet – Memory Streams (Gondwana Records, 2019) di Paolo Guidone

Un portico, un po’ di pioggia e quattro amici appassionati di musica. Una scena vista migliaia di volte nel mondo, ma solo raramente degna di essere raccontata e conosciuta, ed il Portico Quartet è una di quelle storie speciali. L’anno è il 2009, i quattro amici sono inglesi ed il portico è uno dei tanti della città di Bologna, sotto il quale il quartetto si riparò da un forte acquazzone, a margine di uno dei loro primissimi concerti in Italia: l’atmosfera magica creatasi sotto quel portico ispirò, infatti, il futuro ed attuale nome della band. La musica è, ovviamente,…

Score

Potenzialità
Artwork
Concept

Voto Utenti : 3.65 ( 1 voti)
Un portico, un po’ di pioggia e quattro amici appassionati di musica.

Una scena vista migliaia di volte nel mondo, ma solo raramente degna di essere raccontata e conosciuta, ed il Portico Quartet è una di quelle storie speciali.

L’anno è il 2009, i quattro amici sono inglesi ed il portico è uno dei tanti della città di Bologna, sotto il quale il quartetto si riparò da un forte acquazzone, a margine di uno dei loro primissimi concerti in Italia: l’atmosfera magica creatasi sotto quel portico ispirò, infatti, il futuro ed attuale nome della band. La musica è, ovviamente, il jazz.

I quattro amici negli anni sono cresciuti e l’hanno fatto anche dal punto di vista musicale, cimentandosi in un percorso evolutivo interessante anche se dalle alterne fortune.

Il loro ultimo lavoro s’intitola Memory Streams e, non a caso, è un tentativo di ritorno alle loro origini nu jazz più primordiali, dopo alcuni approcci all’elettronica non sempre molto apprezzati dalla critica.

Caratteristiche principali del disco sono i richiami alla musica ambient, amplificati dall’uso dell’hang lo strumento metallico simile a due conche sovrapposte e suonato con leggeri colpetti delle dita – e l’uso della batteria in controtempo, con l’hit-hat ed il rullante che sembrano friggere sotto i colpi delle bacchette, nonché da apparizioni fugaci, ma efficaci, di sax e tastiere.

L’elettronica assume un ruolo di secondo piano rispetto ai precedenti lavori quali Living Fields (2014) e Art in the Age of Automation (2017), i quali avevano fatto storcere il naso ad alcuni fans per un eccessivo uso dell’elettronica e per un passaggio, forse non ancora sufficientemente maturo, ad una nuova formula espressiva.

Nei brani Way of Seeing e Dissident Gardens appiano con più coraggio le tastiere di Nick Mulvey ed il sax di Jack Wyllie che sono infatti generalmente eclissati dall’inarrestabile batteria di Ducan Bellamy e dal basso elettrico di Milo Fitzpatrick.

Pur nella qualità generale del disco, non se ne percepisce però una vera carica innovativa né, tanto meno, originalità e variazione tra i brani, che troppo spesso appaiono simili tra di essi, appiattendo l’intera opera.

I brani d’apertura e chiusura del disco, rispettivamente With, Beside, Agaist ed Imediately Visible rappresentano egregiamente l’album Mirror Streams, palesando il tentativo dei Portico Quartets di fare un piccolo passo indietro nella loro ricerca di una nuova via espressiva, una sorta di ritirata strategica potremmo azzardare, in vista di una nuova fase artistica che già bolle in pentola.

È cosa nota che i cambiamenti radicali son sempre molto difficili da effettuare, e lo sono ancor di più quando tentati in un lasso di tempo ristretto: ogni evoluzione ha bisogno del suo tempo per dare i propri frutti.

I Portico Quartet sono davvero bravi e hanno già mostrato di saper realizzare della valida musica nu jazz, ma proprio per questo forse era lecito aspettarsi qualcosa in più da questo loro ultimo lavoro.

Tracklist:

  1. With, Beside, Against
  2. Signals in the Dust
  3. Gradient
  4. Ways of Seeing
  5. Memory Palace
  6. Offset
  7. Dissident gardens
  8. Double Helix
  9. Imediately Visible


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Paolo Guidone

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