Intervista a Gaetano Nicosia per Relics Controsuoni

È uscito il 25 febbraio l’album “Senza Storia” di Gaetano Nicosia che, in ordine cronologico, rappresenta l’ultima opera punk rock del panorama musicale, come ironicamente ci ricorda l’artista.

Abbiamo incontrato Gaetano sulle pagine di Relics per farci raccontare questa esperienza punk, fuori dal comune e fuori dalle “regole” dell’attuale panorama musicale italiano, ecco cosa ci ha raccontato:

 

Ciao Gaetano, benvenuto su RELICS. Parlaci di “Senza Storia”. Come è nata l’idea di un progetto punk?

Sinceramente non so dire se Senza Storia sia nato come progetto punk. È un album che ha avuto una lunghissima gestazione, quasi 10 anni. Questo è avvenuto per una serie di motivi, difficoltà dei progetti musicali, mortalità delle band e non da ultimo il fatto che per vivere faccio un altro mestiere.

Fatto che inevitabilmente dilata temporalmente ogni percorso musicale.

L’embrione di Senza Storia è nato sull’onda indefinita di una identità vagamente garage. Poi si sono tentate contaminazioni tecno, fino a sconfinare nel reggae.

In Six Million per qualche giro indugiamo sul levare per poi entrare in una fase piuttosto psico-prog.

Questo dipendeva anche dalle persone con cui suonavo. Per me comporre significa entrare in sala, portare un’idea e vedere cosa ne fanno gli altri.

Se il batterista mi fa un ritmo calypso, e giuro è successo, su giri pestati di chitarra, mi piace, perché è qualcosa che non ho sentito prima. Di sicuro io ho un qualche cosa che musicalmente mi tira verso il punk, anche perché è un genere di musica che puoi suonare anche se tecnicamente non sei eccelso.

Insomma è forse il genere più democratico: compri una chitarra, metti in distorsione, fai tre accordi picchiati, ci stoni sopra e hai fatto una canzone.

Come dire, nato per rompere, paradossalmente il punk è il genere dell’indulgenza. Spesso dico: dovrei migliorare sul cantato e mi rispondono: per il genere che fai tu, va bene.

Però sono quelle cose difficili proprio perché semplici. Prova a suonare un pezzo dei Clash con la loro intensità e ti accorgerai che il punk è tutto tranne che facile.

Non so se ti ho risposto, la verità è che il punk risuona in me, senza che lo debba andare a cercare.

Raccontaci qualcosa di MEMO SAMI il protagonista dell’album…

Memo Sami è un ragazzo come chiunque altro. Vive immerso nel suo mondo, incapace di guardarsi da fuori, come ognuno di noi. Memo è un ragazzo che ha sofferto molto e con la sofferenza ha inciso in modo indelebile la sua vita.

Memo Sami è estremamente fragile, come ognuno di noi. Ha vissuto un’infanzia drammatica, la mamma se n’è andata via di casa con un altro uomo, lui è rimasto da solo con un padre violento, facile che fosse pure alcolizzato, non so devo ancora decidere. Memo per salvarsi si aggrappa al suo talento. Non si lamenta, non si piange addosso, non recrimina. Ma non perché sia meglio di tanti altri. Solo perché quello è stato ed è il suo mondo e lui ci si adatta, come ogni bambino, come ogni ragazzo. A volte anche le bombe diventano normali, perché la realtà, anche più assurda, o la trasformi nella normalità o ti schiaccia.

Memo si aggrappa alla musica, la cosa che ama di più e che continuamente gli rimbomba dentro. Non può fare altrimenti. Memo, commette due errori che però lo porteranno al crollo di tutte le sue certezze: ricaccia il passato nelle viscere e assolutizza la sua passione. Memo delira, nel senso letterale, si allontana dalla sua storia e dal mondo presente che lo circonda. Così facendo la musica diventa lo strumento del suo delirio più che della sua salvezza.

Però il deragliare per mezzo del delirio lo riporta incredibilmente sui binari.

Ogni rottura ha una possibilità oppure per avere nuove possibilità dobbiamo rompere. A volte lo facciamo coscientemente, altre volte è l’istinto che ci trascina, per salvarci, per scuoterci. È un po’ questa la dimensione di Memo, l’inconsapevole, l’istinto che per fortuna, a volte, ci trascende, e ci permette di tornare sui nostri passi, nel modo e nel tempo che ci servono.


Ascoltando il disco si notano diverse influenze. Quali artisti ti hanno più ispirato?

Beh, premesso che l’idea nasce da un fatto vero, ossia uno dei batteristi con cui ho iniziato aveva problemi di udito e in sala prove una sera ci disse: “uè ragà, muoviamoci a fare il disco ché il dottore ha detto che l’orecchio mi dura ancora per poco, a breve sarò sordo”.

Questa sua dichiarazione per me è diventata l’idea di opera punk, concept album.

Ovviamente l’ispirazione primaria è venuta dagli Who, anche se musicalmente sono quelli a cui meno mi sono accostato.

Mama l’ho scritta in 5 minuti, musica e testi, e quando ho imbracciato la chitarra pensavo a una sorta di omaggio ai Pink Floyd, ma poi nella composizione non mi sono vincolato all’ispirazione.

You’r wonderful era un tributo ai Clash, evidente nella ritmica della chitarra. In Six Million pensavo a Dylan e Sixto Rodriguez ma ripeto, erano solo punti di partenza.

Senza Storia, il pezzo, ha qualche richiamo ai Nirvana, così come qua e là sono stati anche i Cure ad ispirarmi, i CCCP anche nella versione CSI, i Decibel, Faust’O, le chitarre di Radius che adoro.

In Senza Storia c’è tutto, volutamente, con qualche rischio ma mi interessava condensare. Non mancano nemmeno citazioni alla musica italiana d’autore, Battisti, Bennato, qualche vaga idea di Battiato.

Ma ripeto, non sono cose che necessariamente si ritrovano, sono il mio vissuto di questi musicisti. Sono loro rivisti attraverso la mia chitarra e la mia voce, volutamente e necessariamente grezze, scarne, aggressive. Forse per questo che ognuno ci ha visto il suo.

Mi è capitato che mi dicessero “assomigli a questo o quest’altro”, musicisti che magari non avevo mai nemmeno ascoltato. Mi sono portato dentro e dietro la musica che ho respirato in tutti questi anni, magari senza nemmeno ascoltarla, come se ci fosse una sorta di anima musicale che aleggia in ogni periodo. Ho cercato di metterla a mio modo in questi 9 brani. Ma l’ispirazione non è arrivata solo dalla musica ma un po’ da tutto il mondo di quegli anni, Six Million per esempio è palesemente una grossolana citazione.

Tu che hai vissuto gli anni del punk ed hai “accarezzato con mano” quel periodo storico, che ricordo ne hai?

Per il punk, quello degli inizi, forse ero troppo piccolo. La seconda ondata punk, quella un po’ più edulcorata invece l’ho vissuta in pieno con l’adolescenza. Quante volte la domenica mattina mi sono svegliato con Janie Jones a manetta sullo stereo.

Del primo punk ricordo l’atmosfera generale. Ero piccolo e tutto si mischiava. Ricordo le manifestazioni al sabato, i lacrimogeni, le cariche della polizia, i giovani che disarmati affrontavano l’ordine costituito, per dirla alla Gian Maria Volontè.

E quando vedevo la band che spaccavano il palco, le chitarre, con le facce rigate dai rivoli di sangue, mettevo tutto insieme. I ragazzi che affrontavano senza protezione le camionette della polizia talvolta rimanendoci, ricordo che sotto casa mia fu ucciso Giannino Zibecchi, erano gli stessi che salivano sul palco e spaccavano tutto.

Erano la stessa cosa che vivevo con una sensazione mista fra la paura e il senso dell’epico. Il punk, per me bambino, era qualcuno ripreso in controluce, con i pantaloni a zampa, in una posa plastica, con capelli lunghi, mentre imbraccia una chitarra come fosse una clava un attimo prima di distruggere tutto.

Il punk erano le creste e le facce cattive. Il punk è dissonanza, legittimazione di ciò che altrimenti sul palco non ci sarebbe mai potuto stare.

In questo senso vedo analogie con il trap. Quando si dice che i trapper non suonano e non cantano diciamo la stessa cosa che all’epoca dicevano degli artisti punk tutti quelli che non ne apprezzavano la capacità di rottura, non ne capivano la portata innovativa. Se i trapper avranno la stessa forza e lo stesso impatto di rottura rivoluzionaria, lo vedremo con il tempo.

In un contesto musicale italiano dominato dalla musica pop-indie, “Senza Storia” segna un punto
di rottura con il sistema (ovvero vuol essere un messaggio contro-corrente) o rappresenta unicamente un tuo omaggio al passato?

Senza Storia è il mio punto di partenza “il passato non va dimenticato altrimenti ti torna tutto”, però non deve nemmeno diventare una gabbia. A me piacciono le sonorità forti, i ritmi incalzanti, però poi ascolto anche Joao Gilberto, per dire.

Diciamo che rispetto al contesto musicale non mi pongo tante domande, ho il mio percorso, se è di rottura lo deve dire qualcun altro non io. Io suono solo quello che ho dentro e inevitabilmente, essendo vasi comunicanti, parte di quello che ho dentro è lì per osmosi.

Quello che posso dire è che dell’attuale panorama seguo poco, non lo sento particolarmente mio, allora forse in questo senso può esserci rottura.

Fino alla querelle di San Remo, valutavo che Bugo fosse una new entry, poi mi sono accorto che lo apprezzo dal 2003, quindi sono passati 17 anni, un’era geologica.

Per gli adolescenti di adesso, Bugo è il passato, è un vecchio con i capelli bianchi, per me è quello che mi ha entusiasmato con “mi rompo i coglioni”. Questo mi fa ragionare nei termini in cui non sentire mio il panorama attuale non è per forza una cosa positiva. Per rompere devi essere dentro il tuo tempo, altrimenti rischi l’autoreferenzialità o un atteggiamento inutilmente aristocratico.

Mi sforzo di ascoltare i musicisti che stanno intorno a me. Quando c’è un’idea si sente, non importa sia indie, pop o trap. Se stai comunicando qualcosa gli altri lo sentono. Abbiamo provato pure alcune collaborazioni con giovani trapper, è molto stimolante, loro con il loro linguaggio io con le mie sonorità. Devo dire che il connubio è molto interessante. Loro hanno dentro quella cosa lì, io no e lo stesso in senso inverso. Io penso che per guardare avanti questo serva tantissimo.


Progetti futuri? La “Storia” avrà un seguito?…

Senza Storia avrà sicuramente un seguito ma non so se il prossimo album sarà il volume due dell’opera Punk Rock che ha come protagonista Memo Sami. Come dicevo, dopo 10 anni su Memo Sami e sulla sua storia, ho bisogno forse di cambiare un po’ aria, di andare a briglia sciolta.

In questi giorni iniziamo con la band a lavorare sui pezzi nuovi. Abbiamo belle idee, vediamo se saremo in grado di dargli forma.

Stiamo pensando a violini, tastiere.

Ho sempre il mio pallino del marranzano, lo scacciapensieri. Forse ce la faccio a inserirlo in qualche canzone. Quel che è certo è che vogliamo rimanere nel solco tracciato facendo il nostro cammino con un nuovo impasto interpretativo. Vediamo quello che succede, ho bisogno che il tutto lieviti. Per Memo stavo anche pensando di scrivere un racconto della sua storia. Che poi possa diventare musical, romanzo, o rappresentazione teatrale, anche qui non so. La sua storia mi stimola molto ma vorrei che al momento non occupasse il mio orizzonte musicale. Il nostro seguito da oggi in poi sarà portare in giro l’album appena uscito e misurarsi in un progetto nuovo.


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Relics Controsuoni

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