Fast Animals and Slow Kids@ Circolo degli Artisti, Roma (testo e foto di Stefano D’Offizi)

Quando si dice che in Italia non c’è niente… che il nostro concetto di “Live” è morto… che non ci sono spazi da dedicare alle nuove generazioni del Popolo del Rock, e che i giovani non hanno una vera identità e niente da dire…
…tutte cazzate!
Stasera il Rock ha vibrato un gran bel colpo allo stomaco della capitale, tanto per peggiorare la digestione delle arterie intasate dal traffico di una uggiosa serata invernale, in cui la colonnina di mercurio oscilla fra i quattro e gli zero gradi. Tra le varie proposte della serata (devo dire davvero numerose) RELICS ha infine scelto di dedicarsi all’avvenire del Popolo del Rock, di quella fetta di pubblico che rappresenta la prossima generazione, non ancora disillusi dal grigio mondo che cercherà di inglobarli, ancora troppo energici per lasciarsi convincere dalla stanchezza del prossimo eventuale tram tram fatto di noia e quotidianità.
Scegliere è stato davvero arduo, ma la quantità e la qualità, hanno portato l’ago della bilancia verso il Circolo degli Artisti, che per l’occasione ha ospitato La tua fottuta Musica Alternativa, una sorta di festival a puntate in grado di proporre diversi nomi fra neoemergenti e promesse mantenute.
Nel cartellone di questa sera ci sono molti nomi che attirano attenzione, e la sala principale del Circolo degli Artisti appare vestita a festa, con addirittura un secondo palco improvvisato di rimpetto a quello principale, tanto per ospitare numerose performance tutte abbastanza differenti fra di loro. Ad aprire la serata, un duo Garage tutto Romano, The Wires, chitarra e batteria in un Rock n’Roll di fattezze aggressive, distorsioni graffianti e ritmi sostenuti, un bel mix di energia e Rock puro, in soluzioni minimal davvero d’effetto, il tutto ben caratterizzato da una voce ben intonata, ed un’esibizione movimentata. Ottima prova d’apertura, direi di tenere d’occhio questi ragazzi, sono sicuro che si faranno risentire molto presto.
Spente le luci sul palco principale, inizia l’esibizione di Simone Olivieri, già incontrato in passato nei Dolcevena, con i quali ha suonato per abbastanza tempo da decidere di avviare il proprio percorso solista. Un sentiero che passa per anni di registrazioni periodicamente accantonate per essere poi riprese e riarrangiate, arricchite da nuove idee e suoni resi più maturi da una esperienza coltivata col tempo. L’ottimo suono di una chitarra acustica è così avvolgente da accettare di venire accompagnato solo dalla voce dello stesso Olivieri, testi in inglesi e melodie ben congeniate, in una sorta di Folk (che qualcuno addirittura targa come IndieFolk). I brani che caratterizzano maggiormente l’artista sono sicuramente Look good, No help, e She went forever, arrangiamento di versi di Edward Lear da A Book of Nonsense and More Nonsense.
Terminata anche questa esibizione, è il momento di una delle band più attese della serata, una vecchia conoscenza sia per il Circolo degli Artisti che per i suoi avventori abitudinari: i Sad Side Project .
Il loro stile è inconfondibile, raffinatamente garage, per quanto possa sembrare un paradosso senza precedenti. Per chi non li conosce, si tratta di un altro duo garage blues, e potrebbe sembrare l’ennesimo, anche se, soprattutto nel territorio della capitale (ma non solo) sono riusciti a ritagliarsi uno spazio ben delimitato, facendosi spazio a suon di live (per altro molto seguiti ed apprezzati) e coltivando un proprio numeroso seguito.
Per l’occasione speciale, oltre a stirare il vestito buono, hanno potuto ospitare Roberta Sammarelli (Verdena) al basso, potenziando ulteriormente gli ultimi brani del loro repertorio, regalando un groove da puro headbanging. Pubblico scatenato e senza alcun freno, fermati solamente dalla fine della loro esibizione, una delle migliori band romane, ormai abbastanza affermati da non venir più considerati emergenti.
Cambiando nuovamente lato, si può assistere alla performance di Gionata Mirai.In una veste del tutto insolita rispetto a quelle indossate fino ad ora, il pilastro de Il Teatro degli Orrori e Super Elastic Bubble Plastic, si trova al centro del piccolo palco di fronte a quello principale, seduto comodamente su uno sgabello e con in mano una bellissima chitarra folk a dodici corde.  Il nuovo disco Allusioni, è uscito recentemente, una lunga ed interminabile esibizione di fronte ai microfoni, la chitarra e le sue mani, niente di più. Arpeggi frenetici e melodie incalzanti, sempre pronte ad esplodere senza mai farlo realmente se non nella conclusione del tutto. Ascoltando e chiudendo gli occhi, si può godere di quella valanga di note, tanto rapide e scattose, quanto rilassante è il tappeto acustico che si crea, davvero un suono insolito per un’icone del rumore come Mirai. Scelta coraggiosa, apprezzabile ed apprezzata, lo si capisce anche dallo scrosciante applauso al termine della sua performance.
Se è vero che i Sad Side hanno abbandonato l’insegna di band emergente, i Fast Animals and Slow Kids, se ne sono sbarazzati da lungo tempo, seminando il terrore lungo l’intero stivale, facendo inizialmente da semplici comprimari a nomi come Zen Circus e One Dimensional Man.
Stavolta i veri protagonisti erano loro, e dopo aver raccolto adoratori veri e propri (e qui mi metto in primissima fila) in ogni concerto in cui hanno messo piede, hanno finalmente sfornato il loro primo album (senza contare Questo è un cioccolatino, preziosa rarità di cui vado davvero fiero).
Cavalli, il tuo album da colorare, segna per molti, una svolta epocale in cui l’alternative rock di un certo livello, impenna paurosamente, toccando dei picchi davvero spaventosi tra scatenata potenza, rabbiosa grinta, (auto)ironia irriverente e sociopatico cinismo.
Fast Animals and Slow Kids rappresentano probabilmente, tutte le promesse mantenute della loro generazione, qualche gradino al di sopra del massimo raggiungibile dalla media, non solo una marcia in più. Brani di una certa immediatezza come Lei e Cioccolatino suonano come uno schiaffo in faccia appena svegli, estremamente vivaci e lontani dall’impostazione garage di primo pelo che solitamente porge un alone difficilmente districabile sulle band di una simile età.
L’augurio non è quello di vedere i nuovi Ministri, né il proseguo di qualsiasi generazione precedente, costoro hanno una loro precisa identità che continua a raccogliere consensi ovunque mettano piede, e con solida convinzione, sono pronto a scommettere che manterranno un’umiltà capace di tenerli sotto i riflettori per un bel po’, o almeno questo è il pensiero che si ha osservando il simpaticissimo artwork del loro album: siamo noi a prenderci troppo sul serio?


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