Il misterioso disegno degli Style Sindrome (di Stefano D’Offizi)

Negli anni ’80, nascevano da una fusione di elementi provenienti da due differenti formazioni, calcavano la mano sulla scena Rock Italiana dell’epoca, attirando l’attenzione degli addetti ai lavori fino a comparire in alcuni programmi RAI. Il brusco stop impediva alla band di proseguire una crescita fin troppo meritata, lasciando dietro di se solo la speranza che quanto fatto fino ad allora, sarebbe tornato in vita con la stessa magia e con la stessa enfasi. Nessuno avrebbe mai pensato che ci sarebbero voluti ben 30 anni prima di poterli ascoltare nuovamente dal vivo. Relics c’era allora, e naturalmente ci sarà sempre, per questo abbiamo voluto incontrare la band ed approfondire il periodo di buio e raccontare il periodo di assenza dai palchi. Ho incontrato gli Style Sindrome prima del loro ultimo live al consueto INIT Club (che non smetteremo mai di ringraziare), e guardandoli l’impressione che ho avuto è stata quella di una grande famiglia che si riunisce per le feste, affiatati ed allegri, carichi e nervosi come accade solitamente prima di un concerto, ma comunque sempre sorridenti, capaci di metterti a tuo agio e farti sentire parte della famiglia fin da subito. Dopo quattro chiacchiere informali, ci siamo seduti a mangiare un boccone insieme…

Relics: Innanzitutto vorrei partire dal principio; come e quando inizia la storia degli Style Sindrome? Non ho intenzione di interromperti, quindi vai pure a ruota libera.

Anna: La band nasce nel lontanissimo 1980 quando ci siamo trovati io e Stefano Curti, chitarrista/bassista e compositore di quasi tutti i brani che ancora oggi formano il nostro repertorio. Entrambi provenienti dai TM Spa, altra formazione storica dell’epoca che vinse il primo Festival Italiano dedicato interamente alla musica Rock insieme a Lunar Sex, Noia e Scaters. Il premio consisteva nella registrazione di due brani per un disco chiamato Rocker’80, anche se il risultato non fu proprio quello sperato a causa della produzione che premette per cambiare e modellare il sound a loro piacimento, snaturando quello principale e rendendoci poco riconoscibili anche alle nostre orecchie. Dopo quell’esperienza, decidemmo di chiudere con i TM Spa e proseguire per la nostra strada. Fu così che incontrammo Giorgio Mastrosanti (chitarra), Massimo Frezza (Sax), Raimondo Mosci (Batteria) e Germano Falcione (Basso), con i quali fondammo gli Style Sindrome. L’impatto con loro fu subito splendido, le atmosfere più raffinate, la cura dei suoni new wave e l’intesa, per non parlare del look che comunque aveva la sua importanza.

C’era la convinzione che a Roma non c’era nulla, che la situazione artistica della capitale fosse in un certo senso “bloccata”, come se nulla di concreto potesse venire da questa città. Ricordo che io e Stefano andammo a vedere il concerto dei Siouxsie and the Banshees a Milano e dopo il concerto incontrammo Steven Severin per dargli il nostro demo, l’intento era quello di allacciare contatti con Londra ed il panorama britannico che certamente avrebbe offerto maggiori opportunità. Dopo tre settimane giunse la risposta tramite posta aerea dallo stesso Severin che ci invitava a raggiungerlo a Londra e che aveva particolarmente apprezzato A Mysterious Design, brano che ancora oggi rappresenta uno dei nostri cavalli di battaglia. Naturalmente si trattava di un impegno non da poco e che non tutti i componenti della band potevano perseguire, così tra un intoppo e l’altro, io e Stefano riuscimmo a partire alla volta di Londra solo otto mesi dopo, quando ormai Severin era impegnato su altri fronti per poterci dare retta.

Relics: Dopo tutto questo tempo siete tornati a proporre la vostra musica da dove avevate lasciato, un album di ottime fattezze già in circolazione e diversi live.. che altro bolle in pentola?

Giorgio: Naturalmente abbiamo ripreso a suonare in modo abbastanza regolare, il nostro intento è proprio quello di registrare qualcosa di inedito, abbiamo moltissimo materiale su cui poter lavorare. Siamo ripartiti dal punto esatto in cui avevamo interrotto, come se fossero passati solo quindici giorni, la fine di una vacanza prima di tornare a lavoro. Inoltre abbiamo già iniziato a comporre del materiale nuovo da idee originali di Massimo, alle quali lavoriamo insieme per svilupparle al meglio delle nostre possibilità.

Massimo: Proprio stasera (3 maggio scorso all’INIT Club n.d.r.) proporremo un pezzo nuovo, magari in “versione Beta” perchè appena composto. Quando avremo abbastanza materiale da definire un nuovo lavoro vedremo di organizzare il tutto ed autoprodurci, rispetto a trent’anni fa la tecnologia ci aiuta ed ovviamente preferiamo fare tutto in famiglia anche per non perdere la nostra identità e curare ogni aspetto con le nostre idee.

Relics: Il sound anni ’80 è innegabile, così come la vicinanza con i già citati Siouxsie and the Banshees, soprattutto per il timbro vocale di Anna che in effetti la ricorda molto. Secondo voi si è trattato di un punto di forza o di uno svantaggio?

Anna: Personalmente ne sono orgogliosa, anche se questa somiglianza venne considerata un grande difetto. Somigliare a qualcosa di già esistente veniva giudicato in modo negativo, al limite tra lo scopiazzare ed il prendere ispirazione da; in realtà non era affatto così, lo stesso Steven Severin ci aveva apprezzato per quello che eravamo. La verità era che godevamo di una certa credibilità che ci avvicinava molto a gruppi che avevano effettivamente creato qualcosa di nuovo e probabilmente ci hanno massacrato, mediaticamente parlando, anche per questo (forse anche con un po’ di invidia! n.d.r.).

Relics: La credibilità di cui parli si avverte anche oggi, nonostante lo spettro dei trent’anni passati, e questo è ovviamente un parere personale. Alla luce di questo, tornando sulla scena in un panorama musicale così diverso da allora, cosa avete trovato di differente nel modo di fare musica e di proporla?

Anna: Noi! Siamo cresciuti, maturati, abbiamo sicuramente più esperienza e consapevolezza dei nostri mezzi. Come detto prima, è stato come tornare in sala prove dopo quindici giorni, anche se in realtà sono passati trent’anni. Certo, prima avevamo la sensazione di creare qualcosa di nuovo, di mai ascoltato. Oggi è diverso, è stato già detto e suonato tutto, ed ogni giorno che passa si affievoliscono le possibilità di ricercare qualcosa di nuovo. Naturalmente parlo per gli Style Sindrome, il resto del panorama non mi appartiene abbastanza da poter dare un parere sommario. Ad ogni modo la musica deve restare libera dagli stereotipi, ma allo stesso tempo ogniuno cerca dei punti di riferimento da seguire per tracciare il proprio percorso, forse la cosa più importante è trovare un equilibrio tra queste due forze e metterci del proprio, quest’ultimo è forse l’elemento che potrebbe in qualche modo fare la differenza.

Relics: Avete mai pensato di registrare un vostro concerto per produrre un disco live?
Anna: Certamente, si tratta di uno dei nostri progetti, anche se per il momento siamo concentrati su altri fronti. Registrare un live è un’esperienza impegnativa e per ora non saprei neanche dove immaginare una cosa del genere. Naturalmente stiamo lavorando tantissimo per oliare al meglio l’ingranaggio; riprendere a cantare dopo tanti anni in cui mi sono dedicata a tutt’altro tipo di musica non è stato affatto semplice. Mi sono detta “figurati… che ci vuole”, e posso assicurarti che dare per scontata una cosa simile è davvero un errore imperdonabile.

Relics: Ok, vediamo di alleggerire la chiacchierata: parliamo di aneddoti. Il più emozionante ed il più divertente legati agli Style Sindrome?

Anna: Sicuramente la lettera si Steven Severin è stato un fulmine a ciel sereno. Avevamo riposto molte speranze nel consegnargli il nostro demo, ma poca fiducia. ci eravamo detti “figurati con tutte le cose che ha da fare… neanche lo ascolterà”. Poi quella risposta positiva fu davvero motivo di orgoglio e di ulteriore speranza, una cosa del tutto inaspettata… Incredibile! Il più divertente potrebbe risalire ad una nostra apparizione negli studi RAI. Eravamo stati invitati come ospiti di una trasmissione che s’intitolava Io Sabato, andava in onda il sabato pomeriggio, una sorta di anteprima di quella che poi divenne Domenica In. Era il 1981 ed il tema della trasmissione era “La Sfida”, al nostro fianco i Fango, un’altra band Romana formidabile di cui purtroppo ho perso le tracce e di cui mi piacerebbe recuperare i contatti. A completare il cast c’erano: il pronipote di Giuseppe Garibaldi, Niki Lauda, Carla Fracci ed il calciatore Francesco Rocca che aveva dato l’addio al calcio. Una lista di personaggi che non avevano nulla a che vedere fra loro, per non parlare della sigla finale di Gigliola Cinquetti che venne inquadrata accanto al nostro Massimo che appariva leggermente fuori contesto. Ovviamente ci fecero suonare tutti in Playback senza possibilità di appello, usanza che purtroppo viene spesso utilizzata anche oggi.

Relics: Ultima domanda, se gli Style Sindrome non fossero una band, cosa potrebbero essere?

Anna: Ogniuno di noi è gia qualcosa di diverso, nonostante tutto, se non fossimo una rock band saremmo comunque parte di qualcosa di artistico. La creatività vincerebbe comunque in qualche altra forma, è un nostro bisogno impellente, come abbiamo detto in passato: siamo stati noi i primi ad ammalarci di questa “Sindrome”, e non credo potremmo mai guarire.

Al termine della lunga chiacchierata saluto tutti i componenti della band e mi avvicino al palco per attendere la loro performance e mentre il palco viene allestito, mi viene voglia di prendere la macchina del tempo ed incontrarli trent’anni prima, magari per spronarli a non mollare per non dover attendere trent’anni prima di rivederli su un palco, ma questa è solo fantascienza.

http://www.stylesindrome.it/


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