Joe Lally + The Oscillation @INIT Club, Roma (testo e foto di Stefano D’Offizi)

Attraverso un immenso panorama Rock, spesso si incontrano sfumature particolari che riescono a risplendere di un proprio colore, difficilmente accostabile ad una gamma cromatica già conosciuta, spesso, anche se avvicinato ad un orecchio allenato. Stasera l’INIT offre nuovamente un programma di livello, anche se le due band che si esibiranno, fanno parte di colori completamente opposti, il primo quasi etereo ed astratto, il secondo più che tangibile e solido.
Aprono la serata The Oscillation, band di fattezze psichedeliche che ricalcano l’ottima scena londinese in una nuova chiave post rock. Il loro sound è davvero completo e non nascondo di esserne stato piacevolmente colpito, una di quelle formazioni che riescono ad ottenere un genere assolutamente fuori dal comune, riconoscibile ma non accostabile ad un nome che abbia troppo peso, evitando i soliti “somiglia a…” che molto spesso non hanno molto da raccontare.
Una buona voce, morbida e dolce, lievemente accompagnata in un crescendo di riverberi ed azzeccatissimi delay, il tutto ben legato da eccellenti ritmiche di un basso fantasioso ed una batteria standard che completa abilmente tra tempi sincopati e schitarrate frenetiche. A terminare il lavoro, ci pensano i suoni spaziali di sintetizzatori vecchio stampo, il gradino successivo ai vari mellotron che hanno segnato la scena psichedelica anni settanta da dove evidentemente prende spunto il progetto londinese. I brani che mi hanno sicuramente colpito di più sono Telephatic Birdman, in cui l’anima è sicuramente costituita dalla sessione ritmica che sembra rincorrersi (e le quattro corde dimostrano di avere una marcia in più su tutti), e The 3rd Harmonic, in cui spicca maggiormente il suono isterico di una chitarra sapientemente carica di effetti analogici vecchio stampo. Ottimo suono, ben ritmato e bilanciato, grazie anche all’acustica davvero sopra la media offerta dall’INIT Club.
Mi guardo attorno ed osservo tra uno scatto e l’altro, la prima fila di un suntuoso pubblico, segno che in molti hanno apprezzato la programmazzione abbastanza varia di questa serata, quindi torno ad osservare lo spettacolo, tra luci vivaci, fumo di scena e melodie rindondanti, capaci di rapirti la mente e lasciarti a dondolare a tempo di musica. Una breve pausa in cui il palco cambia faccia, così come anche le luci che lo illuminano, scrollandosi di dosso colori e gelatine ed assumendo le più semplici luci bianche neutrali, una piccola interpretazione cromatica della musica che ci si accinge ad ascoltare fra non molto.
Headliner della serata, Joe Lally, storico fondatore dei Fugazi, stasera si esibisce con la sua band per presentare il suo terzo disco solista: Why Should I Get Used To It. Luci bianche fisse e batteria montata a bordo palco, con chitarra e basso ai lati, in una disposizione atipica, davvero comoda da fotografare, anche se l’assenza di colori rende tutto un po’ piatto. Del tuto differente la situazione ascustica, che sebbene opposta al sound della band precedente, non sembra dimostrare grandi difficoltà in termini di riallineamento in un rapido Line-Check, ed in poco tempo il palco è nuovamente pronto per la prossima esibizione.
Con le spalle abilmente coperte da Elisa Abela e Fabio Chinca, rispettivamente chitarra e batteria già conosciuti tra Assalti Frontali e Brutopop, il nostro eroe, si prodiga in una sorta di social funky del tutto nuovo per sound e tematiche, niente a che vedere con le precedenti esperienze musicali. Solca sapientemente tematiche sociali apparentemente velate, Joe Lally non ha davvero bisogno di chissà quale effetto scenico per attirare l’attenzione. Una virata acustica, in cui lo stesso pubblico, non disdegna affatto il cambiamento di sonorità, mettendosi comodo ed ascoltando i ritmi placidi e tranquilli, come Mistaken Identity e Message from Earth. Di sicuro, chi si aspettava una performance più aggressiva, come spesso accade in situazioni live, non è stato del tutto disilluso, e c’è tempo anche per il ritmo incalzante, sebbene si tratti di un suono piuttosto minimal, tra la qualità del tocco e gli ottimi arrangiamenti acustici, si può assistere ad un’esibizione davvero di livello. Eppure, il buon Lally non dimostra di avere grandissime pretese, nonostante si tratti di un artista internazionale di un certo livello, dimostra un cortese grado di umiltà, sorridendo al pubblico ed alla sua band, mantenendo un minimo di freddezza solamente con il fonico e gli addetti ai lavori. Professionale e concentrato, proprio come il suo ultimo disco.


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