Il Teatro degli Orrori – Il Mondo Nuovo – La Tempesta Dischi 2012 (di Bernardo Fraioli)
Pubblicato da Relics Controsuoni
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27 Febbraio 2012

Erano lì, tutti presenti, tutti ad attenderli fuori la porta.
Chi con le pietre in mano, chi con gli incensi.
E forse i meno preparati erano proprio loro.
Che Il Teatro degli Orrori avesse incarnato lo spirito dei salvatori del rock italiano è un dato di fatto.
Tra figure evocative di nottate etiliche, armamenti rock e poeti assassinati, è bastato lo spazio di due album, uno split con i romani Zu e un ep per guadagnarsi numerosi sold out in varie date lungo la Penisola.
Chi può così tanto oggi come oggi?
Neanche le band originarie dei vari membri del progetto.
Delle quali, poi, qualcuno ne sentiva la mancanza. Ma se Pierpaolo Capovilla ha avuto modo di riabbracciarsi con Giulio Ragno Favero per il quinto album targato One Dimensional Man, Gionata Mirai ha preferito dedicarsi una parentesi solista piuttosto che rivedersi con i Super Elastic Bubble Plastic.
Franz, nel frattempo, ha eventualmente meditato sul proprio futuro all’interno del Teatro e ha così scacciato le voci che volevano una sua dipartita.
Questo l’humus che ha fatto germogliare Il Mondo Nuovo. Lavoro complesso nato da momenti complessi.
Il 31 Gennaio scorso è così scoccata l’ “ora x” del timer della fucina del rock nostrano.
Il lancio, affidato al singolo Io cerco te, ha caricato le canne dei cecchini. Una bella canzone, al posto di un atteso pugno sulle gengive, sorprende senza piacere in un momento in cui tutti erano già accomodati su una rassicurante ripetizione di quanto già fatto.
E quel cantare Roma Capitale, sei ripugnante…, no; proprio non è piaciuto a tanti.
Così già le voci tuonavano verso la gogna, con l’accusa di alcuni, persino, di avere a che fare con quattro musicisti filo leghisti.
Loro, che cantavano il verbo della Compagna Teresa, trasformati in emuli di sostenitori a due ruote del Giro della Padania?
Momenti complessi si diceva…
Il Mondo Nuovo è un lungo ed elaborato concept album steso sul tema dei soggetti migranti.
Attraverso il percorso tracciato da sedici brani, racconta storie di prostitute, lavoratori sfruttati, amori nutriti a distanza e cinismo e disgusto per un’ integrazione che odora di segregazione.
Una portata difficile da digerire.
Un esperimento affaticato e fiacco è il coro della critica.
Eppure la vena per la forma teatro – canzone, mai celata da Capovilla, pulsa più ispirata che mai, cucendo una cerniera tra cronaca dimenticata e fiabe metropolitane.
In entrambe, il lieto fine è materia estranea.
Ricordano così in Ion, momento centrale dell’album cesellato da struggente recitazione e malinconica chitarra acustica, la vicenda dell’omonimo Cazacu, piastrellista rumeno morto a Genova in seguito alle gravi ustioni riportate a causa di un folle gesto di uno scellerato principale.
Dimmi addio accede sul terreno dell’alienazione personale in territori che si presentano ostili, come l’interland milanese, tra immagini di anziane in lacrime e prostitute brasiliane.
Gli Stati Uniti d’ Africa recuperano quanto già citato in A sangue freddo, focalizzando l’attenzione tra ritmi africani, sulla figura di Henry Okah e la resistenza del Delta del Niger alle multinazionali del petrolio.
E’ il tema di un’ immigrazione in doppiopetto, dannosa, indesiderata, violenta. L’altro lato di un’ immigrazione con il volto coperto dalla maschera del mostro fatta indossare dai media nazionali: è Adrian che ci riconsegna il combo nei loro panni più comodi, tetri e sinistri, già vestiti nei loro precedenti capitoli.
Ma Il Mondo Nuovo è nato con un indirizzo diverso, soggiogato all’esigenza di espressione dei testi e dalla necessità di oltrepassare il confine del noise.
Giusta pretesa da parte di musicisti che hanno dimostrato di poter rompere il vecchio steccato, anche a costo di scivolare in aree mainstream.

Ed ecco quindi l’armistizio firmato con gli Aucan e Caparezza in Cuore d’oceano, intrecci tra rap e basi al limite dell’ industrial, per ricordare una storia non così lontana di emigrazioni disperate e disilluse verso Canada e Usa.
Cleveland-Baghdad scopre una dolcezza melodica della band mai assaporata, così come in Vivere e morire a Treviso e Pablo.
C’è anche il tempo delle conferme, offerte già dall’open track Rivendico, brano dal tipico timbro de ITdO che fa il paio con vecchie esperienze per tiro e contenuti con brani come Alt.
Da aggiungere al filone Martino, storia tormentata ispirata da Il Compagno, lavoro di Esenin e Non vedo l’ora, traccia tra le più dirette delle sedici.
Arrangiamenti mai banali, ottima produzione, ricchezza di richiami e sagome calate da un immaginario superiore che esplode nel testo di Doris, dove la vita scorre tra suore che leggono Il Manifesto, pompieri salvati da bambini e netturbini che cantano La Marsigliese.
E’ parte del risultato del terzo lavoro de Il Teatro degli Orrori.
Un risultato meraviglioso e non apprezzato abbastanza.
Colpa forse di troppa bellezza.
Troppa e non capita.
- Rivendico
- Io cerco te
- Non vedo l’ora
- Skopje
- Gli Stati Uniti d’Africa
- Cleveland – Baghdad
- Martino
- Cuore d’oceano
- Ion
- Monica
- Pablo
- Nicolaj
- Dimmi addio
- Doris
- Adrian
- Vivere e morire a Treviso
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