Manchu Eagle Murder – Golden Mountain – Indie 2012 (di Bernardo Fraioli)

Lo stoner rock sta vivendo una seconda giovinezza.
E’ fattore noto: da quando l’industria discografica ha partorito nel 2002 un certo Songs for the deaf, il genere ha trattato con nuovi spazi di espressione.
E se gli autori di tale lavoro si sono (già da allora) spinti verso sonorità sempre più vicine al power rock, ormai, per i nuovi emuli dei Fu Manchu e Slo Burn, la via è stata spianata. Una lunghissima strada incatramata tra le dune dei deserti di spazi dimenticati.
Tanto che gli stessi Kyuss, padrini mai scordati del genere, hanno deciso nel 2010 di ricomporsi, rimettendo in piedi repertorio e un John Garcia in grande spolvero dietro l’asta del microfono.
Da ciò, non solo reunion o nuove promesse dalle coste statunitensi.
Nel basso Lazio, territorio fertile più che mai negli ultimissimi anni, nascono i Manchu Eagle Murder, nome tratto dall’ omonimo film del 1975 di Dean Hargrove.
Il trio, proveniente da Minturno, immerge a pieno i propri strumenti e la propria vena creativa nel brodo primordiale del genere, portando alla luce uno stoner affine a quello dei nomi più rilevanti di Palm Desert.
Così si presenta questo loro esordio battezzato Golden Mountain.
Assaggi, dunque, di sonorità già sposate da gruppi come Red Fang, Orange Goblin e Karma To Burn.
Se non c’è nessuna innovazione nel sound, non esiste neanche la minima intenzione nel proporla: i tre indirizzano la propria musica agli amanti del genere, invadendo l’ascolto con sonorità possenti, “grosse” e febbrili.
Abolita qualsiasi linea di basso pulito da parte di Luca Pignalosa, pompati i fuzz alle chitarre di Giorgio Colavolpe ed esaurite le energie dietro le pelli battute da Davide Vuado: è il classico copione che va rispettato da chi si lascia governare da determinati suoni e che pone, i MEM, in linea a formazioni nostrane come Black Rainbows o Ufomammut.
Il contenuto di questo primo lavoro è nell’ insieme una dozzina di tracce, separate a metà in due tempi distinti e che raccoglie titoli dal tipico stile stoner, quali Desert soldier, Paranoid redstorm e la title track Golden mountain, sorrette all’occorrenza dall’impalcatura del cantato ruvido di Colavolpe.
Tra le dodici spicca la già citata Desert soldier, brano dalla forza dell’espressione di un possibile singolo; la strumentale 4440, richiamo forse non casuale al numero magico ricorrente nelle teorie dell’ astrofisico Giovanni Bignami; Get this, essenziale ed efficace nella sua struttura ridotta all’osso; Rhamsin, il turno psichedelico nel girone di Golden Mountain part II, che si impiega anche a mo’ di intro per la conclusiva Blinded Sand Pits.
Suoni sempre lisergici e rocciosi.
E con un certo animo nostalgico…
Per tutti gli amanti delle produzioni di Chris Goss.
Tracklist:
PART 1:
– Caronte’s Ship
– Zooster (Remains of the decadence)
– Desert Soldier
– Run to Live
– 4440
– Paranoid Redstorm
PART 2:
– Burned Time
– Get This
– Empty Oys to Lose
– Golden Mountain
– Rhamsin
– Blinded Sand Pits


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