Paul Buchanan – Mid Air – Newsroom Records 2012 (di Flavio Centofante)

Chiunque sia appassionato di pioggia o di memoria, o di entrambe le cose, è sicuramente un potenziale devoto di Paul Buchanan e dei suoi vecchi Blue Nile. Gruppo scozzese dal nome evocativo come pochi: gruppo-tartaruga vista la saggezza e la lentezza nello sfornare album (quattro in vent’anni), dovuta soprattutto ai tempi umani del loro leader, che come la pioggia ha sempre bagnato il terreno ma l’ha fatto a modo suo, senza fretta, solo quando gli veniva naturale. Le due gemme che il gruppo ci aveva lasciato negli anni ottanta (A walk across the rooftops dell’84 e Hats dell’89) avevano sapientemente unito secche percussioni elettroniche spogliate al minimo e un gusto elegante per l’aneddoto vocale, per i colori dei ricordi, per le aperture di piano sintetico e per le atmosfere fumose dei bar d’angolo o delle stazioni deserte a notte fonda, quando passa l’ultimo treno fantasma e con lui gli ultimi stracci di memoria. Poi vennero i lavori successivi, meno intensi ma comunque interessanti e accoglienti, proprio perché quella voce era sempre la stessa: un porto franco per chi si trova a percorrere una malinconica stasi giornaliera, velato da mille incertezze. Adesso che le vecchie piogge sono passate, Paul Buchanan c’è ancora e ha realizzato un nuovo lavoro. Non si è discostato molto dai luoghi della mente che era solito bazzicare in passato, sempre quelli, ancora una volta provenienti dalla sua piovosa e malinconica Scozia, con una riserva nascosta di carburante sinfonico e sopraffino da bruciare. Il titolo del disco è Mid Air: dunque nulla è cambiato, siamo ancora né troppo in alto né troppo in basso, piuttosto a metà, sospesi, provando a risalire ma sempre schiacciati dalla gravità. L’uomo in copertina non ha corpo, solo vestiti: che sia l’unico modo per salire su? La leggerezza del silenzio per farcela? Il lavoro conquista subito chi ama e conosce già Paul, ma è un’esca prelibata anche per tutti gli altri, sebbene sia a tratti un po’ ostico: senza percussioni, solo con sottofondi sintetici d’atmosfera, un pianoforte a gocce e quell’inconfondibile voce. Proprio da questa bisogna partire, per raccontare il disco: la voce. Sono passati tanti anni, ma lei non si tradisce minimamente: è sempre la stessa, familiare e profonda, e si muove ancora negli stessi angoli, usando solo quelle particolari note.
E’ dunque la voce a reggere interamente il disco, e questo può provocare nell’ascoltatore distratto una gran noia. Ma come negli ultimi dischi di David Sylvian (altra “sirena” del pop), sta proprio nella “non musica” la chiave del mistero. Basta solo acchiappare una delle barche che galleggiano placide sulla corrente del suono e il gioco è fatto. Ve ne starete sdraiati a guardare le nuvole mentre il fiume vi culla. La ricerca dell’essenzialità da parte di Paul non permette di fuggire troppo dal centro d’equilibrio sonoro prestabilito: proprio nelle poche variazioni espresse risiede l’anima del disco, quei pochi cenni armonici da prendere o lasciare. Più che tante canzoni, pare di ascoltare una lunga linea sonora con guizzi minimi: piccole scosse di uno stesso sogno. Le rare aperture alle trombe, agli archi e ai synth smuovono un poco la campana di vetro del disco, riecheggiando i primi lavori dei Blue Nile, perfino con qualche accenno a passaggi orecchiabili, rompendo leggermente l’incantesimo del silenzio. Gli spigoli dell’accento scozzese non cozzano con l’atmosfera estremamente lenta, che è a tratti incoraggiante, a tratti malinconica. Sono tante le cose che il nostro vuole riportare alla luce, ma lo fa come se fossimo nel dormiveglia: i vecchi amori, la luce nel primo mattino, i sentimenti che legano e muovono le persone, i momenti dai quali pare impossibile uscire, i piccoli guizzi di ottimismo che ci sorprendono a sangue freddo. La title track che apre il disco è uno dei punti più alti del lavoro: piano e voce più pochissimi effetti, come se stessimo ascoltando una vecchia ninna nanna che non si capisce se vuole far dormire bene, o solo dormire: The buttons on your color/The color on your hair/I think I see you everywhere/I want to live forever/And watch you dancing in the air/… Yeah I can see her standing in mid air. Ricordi sospesi a metà nel tempo, nella memoria. Pare che Paul abbia sempre sofferto, che si sia portato appresso una certa tristezza per tutta la vita, e che nella ricerca del silenzio soltanto si trovi il rimedio. Il disco, nonostante la scelte artistica di rallentare i tempi, è compatto e molto gradevole: My true country è la tipica “ethereal song buchaniana”, sempre presente nei vecchi lavori dei Blue Nile, la traccia più rarefatta che doveva dividere un lato e l’altro del vinile. Poi si alternano la dolcezza di Two Children, la sospensione di Newsroom, l’ipnotismo di Summer’s on its way
Molti dei brani fanno dunque tornare alla mente la canzone per eccellenza dei Blue Nile, la splendida From a late night train dall’album Hats, che forse aveva già raggiunto tutto in quanto a bellezza e profondità: pochi cenni di voce e parole in neanche quattro minuti, che esprimevano però più di quanto potesse fare un libro intero. L’album Mid Air segue proprio questa scelta programmatica: muovere la voce su poche linee di pop etereo, aprendo il campo a tinte neoclassiche e noir. Musica per nuvole, sole o pioggia: in fondo ha poca importanza. Anche se oggi, proprio mentre scrivo queste parole, l’acqua cade giù dal cielo con una strana forza magnetica, nonostante sia quasi giugno. Che questa città sia oggi un’altra “raintown” dell’anima? La bellissima traccia finale del disco, After dark, si apre con le parole life goes by e si chiude con un minimale assolo di tromba di una ventina di secondi, contenente la soluzione di tutto ma troppo corto per acchiapparla, anche per lo stesso Paul. Forse sono le vecchie foto della memoria, e tutto quello che verrà dopo. Insomma, un album dalle tinte autunnali uscito però in primavera: questo basterebbe a spiegare tutto. La cosa che fa piacere è che i vecchi artisti, quelli buoni, continuano ad avere qualcosa da dire, e lo fanno con classe e saggezza. Paul è così, anche oggi che ha quasi sessant’anni: canta tanto per fare due chiacchiere davanti a un bicchiere di whiskey al bancone solitario di un bar d’angolo. No, lui non è quello vicino alla ragazza vestita in rosso che parla col barista di Phillies, né quello di spalle col cappello. Lui è più sulla destra, fuori dal quadro.

Tracklist:

01. Mid Air
02. Half The World
03. Cars In The Garden
04. Newsroom
05. I Remember You
06. Buy A Motor Car
07. Wedding Party
08. Two Children
09. Summer’s On Its Way
10. My True Country
11. A Movie Magazine
12. Tuesday
13. Fin De Siècle
14. After Dark


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