Il mio arrivo in anticipo al locale mi da la possibilità di constatare che il pubblico che segue il quintetto americano è composto per lo più da giovanissimi, alcuni addirittura con genitori al seguito (i primi ad entrare corrono ad accaparrarsi i posti in prima fila, con scatti degni di un concerto al Palalottomatica) in buona misura americani ed inglesi. Il gruppo sceglie di vendere solo un certo numero di biglietti e perciò, nonostante il sold out già ampiamente annunciato, alle 22.15 col gruppo sul palco, la Locanda non da l’idea di essere al gran completo.
Superato l’empasse iniziale alla vista del bassista (Payam Doostzadeh) che di primo acchitto mi sembra Sergio Pizzorno dei Kasabian, si entra ben presto nel vivo. Il brano d’apertura è I got, pezzo trascinante e scenico tanto quanto il frontman Sameer Gadhia che vanta un’estensione vocale niente male e che ad ogni ritornello si scatena tamburellando selvaggiamente i piatti della batteria del diligente Francois Cometois. Al brano successivo, Guns Out, la platea in festa è già completamente rapita, trascinata dal carisma del baffuto frontman che tra un battimani e un coro tiene in pugno il pubblico. L’esibizione scivola via allegra alternando pezzi nuovi come Shake, What you get (favoloso arrangiamento dal sapore Blues) e I Wanna, pezzi dell’album come la famosissima Cough Syrup.
E’ proprio questo il momento dell’esplosione del canto feroce del pubblico al quale Gadhia porge spesso e volentieri il microfono. Le ottime doti canore del frontman di origine indiane si palesano in brani più intimi e melodici come Strings, 12 Fingers e Apartment ma pagano spesso lo scotto della ridondanza, facendo sembrare in alcuni casi i brani molto simili tra loro; anche la scarsa libertà di espressione lasciata alle chitarre di Jacob Tilley e Eric Cannata contribuisce a marcare questo aspetto sebbene le ottime performance in St.Walker e Camera ci offrano un saggio delle loro abilità e ne mettano in luce un’anima estremamente variegata: pop, rock, funky e blues e richiami a colleghi quali Strokes, Coldplay e gli stessi Kasabian. L’encore è composto da Islands (con la quale il pubblico si strugge) e My body, scelta perfetta per chiudere data la sua vena festaiola e gioiosa che vede il suo apice con un breve stage diving. L’ultimo “GHAZZIE” di Ghadia ci riporta, dopo tanto saltare, coi piedi per terra e chiude un concerto davvero divertente.
Un bilancio decisamente positivo per i 5 di Irvine che ha sgretolato, con una performance di livello elevato, la mia diffidenza iniziale dopo un primo ascolto dell’album. Questi ragazzi hanno dimostrato ottime potenzialità e se non lasceranno andare il timone verso derive eccessivamente pop, magari oppressi dal peso dei singoli, potranno emergere a pieno titolo e magari anche lasciare il segno.
04. What you get
06. I wanna
08. 12 Fingers
13. My Body