Sole, viaggi e… Suntiago (di Flavio Centofante)

Un’intervista alla band, avvenuta all’interno della Locanda Atlantide poco prima della loro esibizione live descritta in un precedente articolo di RELICS. I Suntiago sono composti da Giovanni Ciaffoni (voce e chitarra), Nahuel Rizzoni (batteria e cori), Stefano Danese (basso), Emanuele Correani (chitarra) ed hanno appena pubblicato il loro Ep 12:34. Durante l’intervista, a base di chiacchiere piacevoli e birra, erano presenti Giovanni e Nahuel. 
Relics: La prima cosa che mi viene da dire è: avete un sound molto originale, personale, che mischia probabilmente una serie di passioni musicali dei vari componenti del gruppo: quanto dei vostri progetti precedenti (Sundowner, il disco solista di Emanuele “Embrione”) è stato portato con voi e quanto lasciato più indietro?

Giovanni: Proprio come hai detto tu, il nostro stile nasce dal fatto di essere passati attraverso altre tipologie di musica e progetti. Con i Sundowner io, Stefano e Nahuel proponevamo sonorità tipicamente anglosassoni, più vicine alla scena rock e indie-rock che a quella pop italiana. Emanuele invece col suo progetto era più orientato alla ricerca musicale. Il suo approccio si è sposato col nostro, portando quella cura per il dettaglio e gli arrangiamenti che ora è parte di noi. Il risultato ottenuto è proprio questo mix di culture… si, parlerei proprio di culture. Poi ognuno ha trasmesso i propri interessi personali al gruppo: il nostro bassista Stefano è cresciuto sulla scia di Flea dei Red Hot Chili Peppers, e quindi abbiamo un’anima anche funky. Nahuel ha invece questo groove che rimanda un po’ al rock ballabile, con una forte componente rock, tipo quella di John Bonham
Relics: Cosa vi ha colpito particolarmente delle vostre rispettive storie musicali per decidere di formare un gruppo tutti insieme?
Giovanni: Il primo impatto con Emanuele è stato umano. Inoltre lui aveva bisogno di promuovere un suo lavoro, non aveva turnisti e ci conoscevamo da tanto, quindi ci siamo messi a provare insieme. Il feeling è scattato subito anche sul piano musicale. Emanuele ha arricchito il nostro modo di fare musica, il nostro indie-rock era più diretto e semplice coi Sundowner. Lui ci ha fatto completare il discorso che avevamo lasciato grezzo, lo ha raffinato.
Nahuel: Emanuele da solo continua a sperimentare, a noi invece ha portato freschezza negli arrangiamenti e un po’ di sano blues: insomma con noi è tornato sulla scena del rock.
Relics: Mi pare che la vostra musica risenta molto del panorama internazionale, ma cercate di filtrarla attraverso un approccio nostrano, soprattutto coi testi in italiano. Il risultato è ottimo. Con i Sundowner cantavate in inglese. Emanuele cantava in italiano. E’ venuto naturale, evolvendo la forma della vostra musica insieme, optare per l’italiano, o è stata una scelta programmata?
Giovanni: Direi che è stata una scelta che inizialmente è venuta naturale, però pensandoci razionalmente in seguito, è diventata una sfida, perchè era interessante portare in un contesto musicale non tipicamente italiano, il testo in italiano. Per esempio tu non sentirai mai una musica suonata sullo stile dei Led Zeppelin e cantata in italiano. In Italia il rock è principalmente malinconico, magari vuole trasmettere un senso di malessere come fanno i Verdena o gli Afterhours molto bene, o come nel caso della scena melodica vera e propria che invece è il massimo della frivolezza. Per noi è stata dunque una sfida mischiare al rock non italiano, la lingua italiana.
Relics: Qual è il vostro rapporto con la velocità commerciale della musica attuale in Italia? Mi spiego: quant’è importante, cioè, rincorrere una piccola oasi musicale di qualità, quando sembra di essere circondati solamente da proposte musicali stile meteore, che appaiono e scompaiono in un paio d’anni poiché la bontà della qualità della proposta diminuisce a scapito di una necessaria velocità commerciale? (penso a tutte quelle bieche operazioni commerciali o quei programmi televisivi che non vogliamo neanche citare).
Giovanni: In Italia purtroppo c’è una grande mancanza di lungimiranza da parte delle case musicali. Un tempo si premiava la carriera di un artista che era davvero un artista, e si aspettava che facesse il terzo o quarto album per far poi riscoprire i primi, per l’esplosione commerciale. Oggi ci sono principalmente meteore, è vero. Si pretende un’operazione musicale rapida che dia indietro i soldi investiti, si cercano gruppi che non creino problemi sul fatto di voler continuare: servono esteticamente, serve la loro apparenza, ma sono come la saponetta profumata data col bel pacchetto che tra un mese è finita. Ovviamente ci rapportiamo a questo provando una sensazione di disagio. Noi cerchiamo solo di rimanere sinceri e freschi, anche perché se ti arrendi, se smetti, hai perso. Lo fai con rabbia, lo fai per la gente che ti può capire.
Relics: Nonostante tutto, molti vostri pezzi non stonerebbero affatto se trasmessi dalle radio anche commerciali. Ora che siete ancora esordienti, e spero per voi che non lo sarete ancora per molto, vi chiedo: fino a che punto si può “sporcare” la propria musica per cercare di raggiungere una maggiore visibilità, ammesso che questo vi possa interessare? Un pò mi avete già risposto, e comunque ho un’idea di cosa ne pensate in generale dopo aver sentito il testo di “Maschere”.
Giovanni: Qui arriviamo al solito discorso del compromesso. Noi ci sentiamo fondamentalmente sporchi. Il risultato delle registrazioni forse un po’ inganna, perché comunque la voce del progetto Suntiago si muove molto sul versante del rock melodico, del rock dolce, insomma del rock-pop. Sai, in Italia la prima cosa che si sente come orecchio medio è proprio la voce. Anche il modo in cui lavorano i discografici in Italia lo dimostra: la voce sta sopra tutti gli strumenti; in Inghilterra non è affatto così. Avendo la nostra voce delle qualità e caratteristiche più pop, possiamo permetterci di sporcare il resto. Noi lavoriamo molto su chitarre, batteria e bassi assolutamente rock, con l’aggiunta però di una voce che potrebbe essere trasmessa dalle radio italiane non per forza indipendenti. Siamo stati anche a Radio Rock, ospiti di Dj Claudia, dove abbiamo fatto un set acustico.
Relics: Le sonorità del vostro brano “In giù” mi fanno pensare un poco all’estate, fresco, liberatorio, e che entra subito in testa, dalle ritmiche leggermente pop-reggae, ma con la voce filtrata come se venisse da altri tempi. Molto ricercato, con bellissimi cori di voci. Quanto pesa nella vostra musica il concetto di viaggio nell’accezione più generale del termine, quindi dentro e fuori di sé? (penso al vostro nome, alle vostre ritmiche che risentono di tutto il mondo, ai titoli e ai testi di certi vostri pezzi tipo “Icaro”)

Nahuel: Già il nostro nome fa venire in mente il viaggio. Suntiago è un gioco di parole. Come potrebbe essere il cammino di Santiago, quello verso il sole, dunque metafora del viaggio. Giochiamo su questo versante. Il nome non è arrivato subito, c’abbiamo pensato per molto tempo. All’inizio era solo un gioco, poi abbiamo pensato che era una buona idea: era proprio la giusta via di mezzo. Non era inglese ma neanche italiano.
Giovanni: Volevamo mantenere l’ idea del sole, come coi Sundowner. Poi ti metti a pensare che questo nome rispecchia il nostro cammino e quello di ogni artista che non è e non vuole essere una meteora, che si fa a piedi il proprio percorso contando solo sulle proprie forze. E’ difficile ma se si arriva alla fine, c’è il premio, in questo caso il sole, la gloria, ma soprattutto il coronamento del proprio percorso umano e professionale.
Relics: Altra cosa che trasmette la vostra musica nei pezzi più lenti è una certa atmosfera evocativa, sognante, sospesa: questo viene raggiunto anche grazie ad uno splendido impasto vocale. Mi pare che diate molta importanza al modo in cui può essere usata la voce. Le corde vocali sono dunque il quinto strumento dei Suntiago?
Giovanni: (ride) Sì, sulla voce c’è da dire che ha risentito molto della formazione musicale che abbiamo avuto, penso ai Beatles, ma molto anche a Jeff Buckley o John De Leo, alcuni tra i miei cantanti di riferimento). E anche un po’ John Lennon: di lui mi ha sempre colpito la sporcizia. Dopo di lui, credo, solo Kurt Cobain. Dunque i Beatles, e in ambito più rock, direi Led Zeppelin ed ovviamente Nirvana.
Relics: Daisy è una canzone stupenda, e ne ho consigliato l’ascolto a molti miei amici. Ma se vi chiedessero di scegliere fra le vostre canzoni quella che vi rappresenta di più, quale scegliereste? E non mi rispondete con la storia che non si può scegliere tra i propri figli, eccetera.. (Stefano, il nostro fotografo, mi guarda male per la battuta).

Giovanni: (ride) Sì, beh, ogni canzone è come un figlio. Che scegliere?
Nahuel: Io direi il singolo del nostro EP, Maschere. Poi per il primo album che stiamo preparando, sceglieremo come singolo Africa. Molto ballabile ma molto sporca, sempre misto di world-music e rock. Noi siamo queste canzoni.
Relics: Mi dovete concedere qualche secondo di quel noioso chiacchiericcio che spesso si fa tra feticisti musicali: voglio citare cioè alcuni gruppi a cui mi avete fatto pensare, ma vi giuro che faccio presto: ovviamente il pop inglese e il rock dei settanta e dei novanta, ma anche gli americani “Big Star”, un po’ di “Pixies”, una spruzzata di Brasile e i più recenti “Vampire Weekend”. Tra gli italiani sento qualche frammento dei “Subsonica”, e cantautori vecchi o recenti. C’ho preso in qualcosa?
Nahuel: Sì, il nostro lato più solare viene dal mondo, come nel caso dei Vampire Weekend. Di cantautori anche c’è parecchio sicuramente, a me fra i nuovi per esempio piace molto Dente, anche se poi spesso pare che questi nuovi personaggi non vogliano osare più di tanto almeno dal punto di vista musicale.
Giovanni:  Pixies e Vampire Weekend sicuramente. Sui Subsonicahai ragione: non cerco di imitare la voce di Samuel, ma di sicuro lo prendo come riferimento, per esempio in Maschere. La cosa è venuta fuori in seguito e ho sentito anch’io delle somiglianze. 
Relics: Per gli appassionati feticisti di Relics, mi dite il vostro disco preferito di ogni tempo? 
Giovanni: Caspita, bella domanda. Per me un disco è come un libro. Quindi ti rispondo Grace di Jeff Buckley, anche se Neverminddei Nirvana credo sia quello che ho sentito di più in tutta la mia vita. Però Grace è un altro discorso, quello te lo ascolti proprio, è quasi un rito, e quando lo fai scopri sempre dei passaggi nuovi, delle sfumature che non avevi notato. Di italiano, direi Grigio dei Quintorigo.
Nahuel: il disco che preferisco è Songs for the Deaf dei Queens of the Stone Age, ma amo molto anche i System Of A Down. Io ascolto veramente di tutto, mi piace il jazz (segue un lungo ed elenco di batteristi jazz n.d.r.) e la musica cubana. Sono interessato all’aspetto ritmico, forse rimanda alle mie radici sudamericane (il padre di Nahuel è nato in Argentina, n.d.r.). Fra gli italiani, qualcosa di Rino Gaetano, Battiato o Paolo Conte, tre artisti fantastici per profondità musicale e inventiva.
Giovanni: E citerei anche Ludwig Van Beethoven (qualcuno s’inchina n.d.r.), non c’è nulla di più rock. Se lui avesse fatto oggi la sua musica, ci avrebbe messo anche un po’ di distorsione. Chissà che avrebbe fatto, magari, se avesse collaborato con i Kyuss (altro inchino, stavolta del fotografo n.d.r.)!
Relics: Terminiamo con la solita domanda banale da notaio: progetti per il futuro?
Nahuel:  Stiamo registrando il nostro primo disco con tredici brani autoprodotti. Ci stiamo dedicando a quello.
Giovanni: Cercheremo di spingere il tutto online, tipo Myspace, ma metteremo il disco in vendita anche su Itunes. Insomma, ci muoveremo sul versante web.

Ringraziamo i Suntiago e restiamo in attesa di osservare la loro performance live che si rivelerà interessante e divertente, una cosa è certa, RELICS li tiene d’occhio!


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