Prima osservazione di questa band inglese dal sound così particolare e composito: fa sognare il fatto che l’eterogeneità della loro musica si rifletta così lucidamente nell’eterogeneità del loro pubblico.. Si tratta infatti di un live diverso dal solito proprio perché diverso è il genere che propongono, e che non può sfuggire ad orecchie un po’ più curiose ed aperte verso nuove sonorità rispetto alla media. Una brevissima considerazione personale è che chiunque unisca l’intelligenza all’amore per la musica dovrebbe avere simili caratteristiche, ma ci troviamo tutti a riscontrare che nella maggioranza dei casi questo non avviene, perciò fa ancora più piacere riscontrare in questo pubblico tutta questa voglia sì certo di divertirsi ma anche di lasciarsi andare al genio creativo di questi tre ragazzi di Sheffield, e provare a capirne le contrastanti ma intense sensazioni che un live così può trasmettere.
Sin dai primi due pezzi, ovvero Sirens e Piano fights, si capisce quanto ci sia di studiato e di curato e dettagliato in questi suoni. Nulla è lasciato al caso, per un risultato che lascia tutti a bocca aperta grazie all’incredibile energia che trasmette. Si tratta, come accennavo, di una commistione di suoni estremamente interessante e che avvicina diversi generi: l’utilizzo del synth, costante ma modulato diversamente a seconda dell’effetto che desiderano ottenere nei vari pezzi,si accompagna in un modo caratteristico, particolarissimo ed estremamente coinvolgente, a chitarre e batterie che spaccano veramente.
A proposito di chitarre, è d’obbligo una piccola nota, perché la performance ne è stata parecchio influenzata durante i primi pezzi, ma soprattutto l’atmosfera generale sotto al palco: già sul secondo pezzo si sente un urlo “popolare” :
“le chitarre le chitareeee” dovuto a momentanei problemi fonici che non consentivano lì per lì di sentire le chitarre in modo forte e potente come tutti si aspettavano e come era previsto nei pezzi di apertura. Per fortuna questi problemi tecnici sono stati dagli organizzatori della serata e più direttamente dai fonici prontamente risolti, e di lì in poi anche il pubblico sembra rilassarsi ed essere pronto a lasciarsi andare, a viversi le sonorità chi pogando chi urlando, chi semplicemente lasciandosi travolgere dal ritmo vorticoso lasciando volare la mente e tutti i pensieri pesanti assolutamente altrove.
Si alternano rimandi prog, ed accenni di pianoforte e violini dal sapore però sempre tendente all’elettronica, che si aggiungono alla batteria, al synth e alle chitarre contribuendo a creare un effetto micidiale, sconfinante sia nel trip sia in momenti di affascinanti assoli elettronici, una sorte di lunga e meditata quiete nella tempesta. Un’impronta un po’ più decisamente techno- dance si ha su Weak 4 ( uno dei più famosi singoli, tra l’altro) e sulla altrettanto nota e trascinante Dancedancedance, titolo peraltro piuttosto eloquente.
Un altro punto che contribuisce a darci un’idea più completa della band è l’origine del loro curioso nome: è ispirato ad un film dal titolo omonimo del regista inglese John Carpenter. In questo film venivano descritti 65 giorni di staticità derivanti da un blocco delle infrastrutture e telecomunicazioni a seguito di un’esplosione. Ma quello che conta per la band non è tanto la causa di questa interruzione forzata, bensì le conseguenze: quello che mirano a descrivere, ed a cui si ispirano, è l’atmosfera surreale che ne è derivata. Un’atmosfera di calma apparente, di bollori sotto le ceneri, di fermento celato dal silenzio che vi invito a provare ad immaginare.
Così come vi invito ad ascoltarli prima di subito, anche perché sono uno di quei gruppi con cui si deve entrare in confidenza con l’ascolto prima di poterne apprezzare le diverse, e numerosissime, sfaccettature.
Grazie al Circolo degli Artisti ed alla Kick Agency oltre che alla band, ed un sentito grazie anche al pubblico così attento e pieno di voglia di entusiasmarsi e perdersi nel suono.
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