A Place to Bury Strangers live @ Traffic live club (testo e foto di Stefano D’Offizi)

Nella stessa serata in cui 35.000 persone (biglietto più, biglietto meno) invadono l’ippodromo Capannelle per gustarsi gli inavvicinabili Radiohead, su un altro palco romano si esibisce una band che ha dell’incredibile, ben più modesti ed umili e sicuramente di pretese meno eccessive, ma non per questo meno validi. Provengono da New York e sono in circolazione dal 2007, anno di uscita del loro primo album intitolato proprio A Place to Bury Strangers. Gli bastano anche solo quattro metri di palco (parliamo della larghezza n.d.r.), qualche effetto artigianale per rendere ancora più graffianti i suoni di basso e chitarra, ed il pubblico giusto, accorso forse non proprio numeroso (si contano circa trecento unità), ma non meno voglioso di un certo tipo di suoni rispetto ai 35.000 di Capannelle. Di fatto, ci si aspettava meno risposta da una data tanto problematica, eppure all’uscita del Traffic live club, ho sentito molte voci concordi nel ritenersi soddisfatte.
Personalmente mi trovo ad essere sulla loro stessa linea di pensiero; quanto ho visto e sentito stasera, mi è bastato per aggiungere una band che già stimavo, ad un livello superiore di ascolto e di attenzione.
Ma procediamo con ordine…

Ad aprire la serata sono i Romani Last Movement, un trio di ottime speranze ed un sound di qualità, non il simbolo dell’originalità forse, e probabilmente neanche gli interessa più di tanto. Sta di fatto che nei primi quaranta minuti, la sala del Traffic è tutta per loro e per il loro postpunk psichedelico vagamente Inglese.
Riverberi pesanti su chitarra e voce (Antonio M.), mentre il basso galoppa libero di sfogarsi (Marzio M.) seguito a ruota dai ritmi di una batteria veloce quanto delicata e precisa, a tratti quasi dance, soprattutto nei passaggi fra rullante e charlie (Andrea A.). Tra i loro brani, sicuramente non passano inosservati pezzi di una certa qualità, come Almost, la claustrofobica Killer Heat Wave o Hey You, brano nettamente più astratto e rilassato, con un giro di basso che mi ha fatto davvero sudare: impossibile stare fermi!
Il trio va dritto al sodo, senza fronzoli e senza intoppi, dimostrando la propria direzione ed il proprio carattere.
Se questa è la premessa, siamo partiti decisamente bene!
Qualche minuto di attesa, mentre il palco viene quasi completamente smantellato, lasciando solo un paio di amplificatori, lontani anni luce dalle spasmodiche manie di grandezza dei Rocker che solitamente ci riempiono le orecchie su questo palco. Premetto che non mi era mai capitato di vederli dal vivo prima d’ora, ma già il fatto che nel loro merchandising all’ingresso, erano presenti anche dei tappi per gli orecchi (anche quelli firmati col nome della band!) la dice lunga su cosa mi sono perso fino ad ora.


Le luci vanno giu quasi completamente, rendendo impossibile vedere quanto stia accadendo sul palco, e solo noi in primissima fila riusciamo ad intravedere la luce di alcuni proiettori (mi pare di averne contati sei in tutto) che iniziano a rilasciare qualche raggio di luce attraverso il fumo di scena.
Saranno quelle le uniche luci in scena stasera, e per quanto fosse praticamente impossibile fotografare, non ci siamo dati per vinti. Peccato solo sia così difficile trasmettere quanto sia stato emozionante e divertente nonostante lo si possa descrivere con parole ed immagini.
Il rock psichedelico del trio NewYorkese è talmente avvolgente e pieno da trascinarci tutti al ritmo di You Are The One, mentre raggi di luce di ogni colore attraversano gli strumenti, il fumo ed i lampi della strobo che va e viene. Le angolazioni inusuali di quelle fonti luminose rendono tutto ancora più surreale, mentre la voce di
Olivier Ackermann (voce e chitarra per l’esattezza), carica di riverbero e delay, spezza in due i suoni acidi della chitarra, pesantemente effettata da un mix di pedali artigianali che non sembrano emettere alcuna vibrazione di troppo. Il pubblico si accalca sottopalco, esagitandosi ad ogni schitarrata, ed ognivolta che il NeoZelandese Dion Lunadon (basso e voce) si avvicina per cantare in uno dei pochi punti illuminati del palco. L’apoteosi si raggiunge quando infine si getta fra la folla, lasciando suonare a caso, le corde del basso dalle prime file di sudatissimi ma irriducibili fan.

Giochi di colori e luci, mentre Jay Space (batteria) non si ferma un secondo, lo si riesce ad intravedere solo in alcuni momenti, mentre la luce bianca viene inondata di puntini colorati che sembrano diventare stelle, e che subito dopo tornano ad essere luce bianca, ed in questo casino irreale ma altrettanto armonico, Ackermann sa perfettamente quale suono sta emettendo, quale nota sta tenendo in feedback da circa un minuto, anche se maltratta una splendida ma vissuta Fender Jaguar.
Tra Leaving Tomorrow ed In Your Heart, si fa davvero fatica a riconoscere i brani, non per l’acustica, che con i tappi ho trovato davvero perfetta, (li consiglio a tutti ancora una volta…) quanto per l’esecuzione a volte quasi improvvisata dei pezzi.
Resta da dire che l’energia di questa band è davvero di qualità, così come l’intera esecuzione di ogni singolo pezzo, sprizzano psichedelia ed originalità da ogni nota, non peccano di presunzione e si divertono un casino.

Se un simile show avesse aperto agli stessi Radiohead, con quell’impianto assurdo e le 35.000 persone ad assistere, probabilmente non avrebbero fatto un soldo di danno, ma di così tanta gente, sono sicuro che molti non sarebbero rimasti ad ascoltare, ed ancora meno avrebbero apprezzato seriamente, come a dire… pochi ma buoni… anzi, Ottimi direi!

Un Ringraziamento speciale a tutto lo staff del Traffic Live Club, che ancora una volta ci hanno ospitato, permettendoci di seguire e riportare questo evento…
…alla prossima!


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