Emanuele Bocci – Un po’ gabbiano – Ed.Petraccola, 2010 (di Flavio Centofante)

Dal myspace di Emanuele Bocci: cantautore, cantastorie, cantattore. Diciamo la verità, quando si parla di dischi italiani post-duemila che ci apprestiamo ad ascoltare per la prima volta, tratteniamo il fiato sperando di aver avuto fortuna nella nostra ricerca musicale. Questo non perché la situazione italiana sia un caso disperato, anzi per chi è un amante della “spulciata dischifera” non mancano mai le chicche e le sorprese; ma è anche vero che sta diventando molto raro trovare un lavoro che si regga su un equilibrio maturo, adulto, ben allenato. Molti dischi magari ci sono apparsi ben fatti, anche se un…

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Dal myspace di Emanuele Bocci: cantautore, cantastorie, cantattore. Diciamo la verità, quando si parla di dischi italiani post-duemila che ci apprestiamo ad ascoltare per la prima volta, tratteniamo il fiato sperando di aver avuto fortuna nella nostra ricerca musicale. Questo non perché la situazione italiana sia un caso disperato, anzi per chi è un amante della “spulciata dischifera” non mancano mai le chicche e le sorprese; ma è anche vero che sta diventando molto raro trovare un lavoro che si regga su un equilibrio maturo, adulto, ben allenato. Molti dischi magari ci sono apparsi ben fatti, anche se un po’ sciapi; altri molto inventivi ma troppo sconclusionati. E poi, accidenti, ci sono quelli davvero buoni, come il disco di Emanuele Bocci. Sono più di due anni che è uscito, ma vale davvero la pena parlarne proprio perché a breve uscirà il suo nuovo lavoro. Di Un po’ gabbiano mi è piaciuta la giusta levigatura delle parti: leggerezza e corposità, freschezza e stabilità. In poche parole, una giusta commistione di sacro e profano, cioè il serio, e lo scherzo. Emanuele è – come si definisce lui sul myspace – un cantastorie, toscanaccio per giunta (la zona è quella di Grosseto, in particolare Casteldelpiano): nel corso degli anni si è fatto notare in diversi concorsi musicali: il Premiodella Critica a “Voci per la libertà – Una canzone per Amnesty nel 2007 e la partecipazione come finalista al “Premio De André 2005” e al “Premio Bindi 2010”. Nel 2009 ha inoltre ricevuto un Premio da parte del Comune di Grosseto per essersi distinto come artista durante l’anno. Nel 2011 ha vinto il “Premio Stefano Rosso”(primo premio e premio per il miglior testo) e la sesta edizione di “Botteghe d’autore”(primo premio e premio per il miglior arrangiamento). Nell’ascoltare il suo disco, restiamo piacevolmente stupiti mentre gustiamo il calderone di note e parole: accettiamo il divertissement, la canzone impegnata, il teatro, le sonorità colte o popolari, le storie di vita quotidiana descritte attraverso una lente surreale e caustica; ma ascoltiamo anche con attenzione le riflessioni profonde, le storie amare e, ovviamente, le belle ricerche musicali che di tali riflessioni sono il tappeto sonoro. Il disco si apre con la contagiosa Non ci sono più parcheggi, descrizione tragicomica a tempo di swing delle città intasate di macchine, un piccolo monumento di canzone umana, che per certe connessioni inconsce rimanda al calviniano Marcovaldo, alle sue sfortune e alle sue vittorie. Al brano collabora anche Paolino Ruffini, con tre momenti comici parlati.

E’ solo il preambolo al tema principale del disco: la surreale situazione della vita moderna, di come gli uomini si comportino ogni giorno e di come tali azioni influenzino l’intero pianeta. Sono un automa viaggia sulle stesse frequenze del brano precedente, sacre e profane, bozzetti divertenti e amari al tempo stesso: in questo brano l’hammond è suonato da Josè Fiorilli. La passione di Emanuele per il jazz, lo swing, ma anche per il folk, l’elettronica e il teatro-canzone è presente in tutto il disco: è questo che rende gustoso questo lavoro. Ogni traccia ha una sua natura particolare e precisa, come se durante la scrittura di un  brano Emanuele immaginasse d’istinto l’ambientazione musicale migliore per quel certo testo, per quella sensazione, per quel quadretto mentale. Per questo motivo sorprende solo per un attimo il brusco passaggio di note portato dall’inizio di Dove era il bosco, con le sue percussioni elettroniche quasi ipnotiche, sovrastate successivamente da immagini sonore provenienti dai balli etnici del mondo: un’altra splendida canzone, che parla di certi ricordi di guerra, di vita, portandosi appresso i veli del tempo e della tristezza: una capsula pressurizzata delle sensazione umane. Sta in tutto questo, nei passaggi umorali e sonori da un brano all’altro, nelle trovate di musica e testi, la bellezza del disco. Provate a portarlo con voi in viaggio, mentre guidate la macchina da una regione d’Italia all’altra, e osservate le colline sfuggire al lato e le strade snocciolare chilometri sotto di voi, scoprendo alla vista sempre un nuovo pezzetto di orizzonte. Ed è sicuro che il gabbiano del quale ci parla Emanuele è sia lui che noi, vogliosi di scoperte e di movimento; ma questo gabbiano è anche un animale che si porta appresso un po’ di malinconia, amarezza: metafora dell’essere umano contemporaneo, forse volerà solo da una discarica all’altra, da un posto grigio all’altro, purtroppo librandosi davvero solo di domenica, come fanno gli uomini nella routine fatta di possibilità mai considerate che li avvolge. In ogni caso, quello che accadrà lo scopriremo alla fine della storia: alla fine del disco, magari. Nel frattempo, i brani mostrano sempre un po’ di speranza, quella che Emanuele, come noi, scorgiamo dietro la maschera meccanica della vita umana: potremmo fare ogni cosa, se solo volessimo. Questa speranza viene espressa attraverso la lente del demenziale, della comicità intelligente e arguta, e fuoriesce dai suoni contagiosi delle chitarre acustiche, dei fiati, delle percussioni e del piano. D’altronde la toscanità di Emanuele non si smentisce (toscanità= mente brillante, risata, poesia, presa in giro, paesaggi verdi, filosofia degli interni, distanze umane avvicinate, musica di gruppo, voglia di vivere). Ed è bello continuare ad ascoltare le storie che ci racconta, che provengono dal suo taccuino curioso: il messaggio ecologista in Al polo nord, il resoconto amaro di tragedie umane quotidiane in “Senza vedere”, la profondità di Gli sfollati e Il musicista. Passiamo attraverso tutte le tracce, tutte le immagini che ci arrivano al cervello. Si vede che questo artista (il termine è quello corretto) è passato attraverso tante esperienze, musicali (Le voci del vicolo) e non, e per ognuna si è segnato una parolina chiave, o una nota. Poi ha riaperto il suo quaderno, e si è messo a comporre. Il giorno che nel mondo ognuno avrà il suo quaderno pronto da aprire sarà un giorno di sole.

Un ringraziamento particolare va ad Emanuele, che mi ha regalato il suo disco con un bel sorriso, in un periodo nel quale è sempre più raro permetterselo (sia il regalare i propri dischi sia i sorrisi) – ma si sa, gli artisti sono così, suvvia.
Prossimamente, in un’intervista ad Emanuele Bocci, si parlerà del suo nuovo disco, e di un altro po’ di robetta gustosa.

 

01. Non ci sono più parcheggi
02. Sono un automa
03. Che pacchia!
04. Dove era il bosco
05. Nunca mais
06. L’avvistamento
07. Al polo nord
08. Gli sfollati
09. Senza vedere
10. Un po’ gabbiano
11. Il musicista
12. Non ci sono più parcheggi (con Paolino Ruffini)


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