Roma Obscura live @ Traffic live club (testo e foto di Mario Cordaro)

Festival di questo calibro a Roma capitano di rado; a parte lo Stoned Hand Of Doom o il più recente Acidfest (a proposito, che fine ha fatto?) non mi vengono in mente altri nomi di eventi che possano reggere il confronto. Evidente, quindi, come questo Romaobscura organizzato dal Traffic live club abbia catalizzato l’attenzione degli addetti ai lavori e ovviamente anche di Relics. In apertura troviamo i Blind Horizon, nome che gira da qualche anno nella Capitale: i nostri propongono un death melodico dove il punto di forza è rappresentato dalle parti più rallentate, in cui i due chitarristi e il bassista danno sfoggio di un eccellente tapping. L’unico appunto è forse una voce a mio avviso non molto adatta al contesto musicale, ma è fuori da ogni dubbio la loro buona preparazione tecnica, nonostante il genere proposto non sia proprio tra i miei preferiti. I successivi Apathia, anch’essi romani, annoverano tra le proprie fila Nefastvm dei Tundra e Manuel Mazzenga dei Der Noir (recensiti qualche tempo fa): il loro stile affonda nel depressive black metal alla Burzum (soprattutto nelle vocals) con qualche passaggio e influenza swedish. Non mi hanno fatto sussultare onestamente, tranne quando uno dei chitarristi ha avuto un mancamento ed è letteralmente svenuto sopra la batteria. Incidente di percorso prontamente risolto e superato comunque. Per il sottoscritto, ormai, le proposte di questo tipo non hanno più molta presa, in quanto le reputo copie delle copie degli originali; giudizio meramente soggettivo in tutti i casi, quindi consiglio agli appassionati del genere di dargli comunque un ascolto. Il discorso sui cloni non si può certo applicare ai Vidharr, in quanto il loro black metal è abbastanza fuori dai canoni classici, e la presenza di due donne in formazione è anch’essa abbastanza inusuale. Ritmiche sincopate, bicorde eseguiti all’unisono da entrambe le chitarre, un’alternanza di scream e growl rendono l’effetto finale sicuramente interessante, ma sembra quasi che le canzoni non abbiano una forma vera e propria. Onestamente non si capisce bene dove vadano a parare; resta comunque il coraggio di aver osato, almeno quello. A questo punto è opportuno fare una precisazione: le prime cinque bands hanno avuto tutte venticinque minuti a disposizione per esibirsi, mentre solo The Foreshadowing, Negură Bunget e October Tide si son potuti permettere set più lunghi (anche se non di moltissimo, essendo otto bands in totale). Gli Shores Of Null sono stati la vera sorpresa di questo Romaobscura Fest: la band infatti era al suo debutto, ed è composta da musicisti provenienti da progetti radicalmente diversi: Zippo, The Orange Man Theory, Noumeno, Mens Phrenetica, Il Grande Scisma D’Oriente. Il risultato di questa collaborazione (e del disco di prossima uscita) è un misto di gothic, doom e death in cui non manca la melodia ma neanche le accelerazioni tipiche del metal estremo. Decisamente coinvolgenti, dovremo sicuramente tenerli d’occhio in futuro.

Setlist:
– Kings Of Null
– Souls Of The Abyss
– Ruins Alive
– Time Is A Waste Land
– The Heap Of Meaning

Il momento di pausa per mente e – soprattutto – orecchie è rappresentato dai Din Brad; Ci muoviamo in terreni neofolk: niente a che vedere con Death In June e Current 93 comunque, in quanto questo trio proviene dalla Romania. Un timpano (e in un’occasione lo xilofono) percosso con ritmo martellante da Negru – batterista e leader dei Negură Bunget – le tastiere simil Tangerine Dream di Adi Neagoe (nuovo chitarrista della band) e le vocals recitate/decantate in rumeno di Alma. Stop. Tutto qui. Ho decisamente apprezzato questo genere di proposta e questi venticinque minuti sono letteralmente volati via.

Setlist:
– Dor
– Doina
– Of, Of, Viata 
 
Cosa dire poi su The Foreshadowing? Sostengo ormai da un po’ di tempo come questa band sia un vero e proprio vanto per Roma. Il loro gothic/doom ha raggiunto oramai vette di eccellenza, e lo dimostra l’entrata in line-up di Giuseppe Orlando dei Novembre, un nome ben conosciuto agli amanti di queste sonorità. Volendo trovare il pelo nell’uovo, a volte le somiglianze con i My Dying Bride sono forse un po’ troppo evidenti ma è una pignoleria, appunto. Spero vivamente raccolgano quello che si meritano, di certo non gli manca nulla per diventare un nome di riferimento in futuro.

Setlist:
– Havoc
– The Forsaken Son
– Fallen Reign
– Departure
– Second World
– Outcast
– The Dawning

La mia curiosità per l’esibizione dei grandiosi Negură Bunget era dovuta anche al confronto con tre anni fa, quando li ho visti per la prima volta; la formazione infatti, tranne il batterista Negru, è stata completamente cambiata: logico quindi da parte mia fare dei paragoni con la volta precedente. Anche se strumentalmente hanno retto bene il confronto, il cantante non è stato però all’altezza della precedente incarnazione della band : era solo il terzo concerto con questa line-up comunque, quindi le cose possono solo migliorare. Per il resto, il loro black/folk riesce sempre ad ammaliarmi grazie a quelle atmosfere evocative e primordiali. Non voglio e non vorrei sfociare nel banale, ma l’origine rumena del gruppo è avvertibile in ogni singola nota emessa; per non parlare poi dell’uso di strumenti tradizionali in legno e del flauto di Pan. Curioso di rivederli quando avranno più affiatamento on stage.
 

Setlist:
– Hora Soarelui
– Pamint
– Norilor
– Dacia Hiperboreană

A questo punto le già poche presenze nel locale si assottigliano (da circa centoventi persone alla metà), e gli October Tide si ritrovano ad esibirsi in un locale mezzo vuoto. Abbastanza strano visto che davanti abbiamo un nome sicuramente underground, ma comunque di una certa rilevanza per chi conosca la scena melodic doom/death degli anni novanta; basterebbe poi la presenza dei fratelli Norrman (entrambi ex Katatonia) a giustificare almeno la presenza. La band comunque non si risparmia, è in forma e mostra anche di aver gradito la serata. La setlist è incentrata soprattutto sul loro nuovo lavoro Tunnel Of No Light, ma non nascondo di aver sentito l’onda dei ricordi all’attacco di 12 Days Of Rain. Momenti passati che non tornano più, ma che fa piacere rivivere. Anche se si cresce, ci si evolve e si matura, non bisogna mai scordarsi da dove si viene. Questi svedesi me l’hanno ricordato, con la loro energia miscelata a quella dose di malinconia che non guasta mai. Non posso fare altro che ringraziarli, e con loro anche tutto il festival organizzato dal Traffic.

Setlist:
–  Our Constellation
–  Emptiness Fulfilled
–  Tunnel Of No Light
–  Blue Gallery
–  Grey Dawn
–  Of Wounds To Come
–  Floating
–  12 Days Of Rain
–  A Custodian Of Science
–  Adoring Ashes


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