Sigur Ros – Kveikur (EMI, 2013) di Simone Vinci

sigur-ros-kveikurNell’anno zero di una speranzosa ”rivincita” musicale portatrice di aria nuova arriva anche il nuovo disco dei rigenerati Sigur Ros. Questo 2013 sta vedendo quello che, secondo il parere di chi scrive, è un Risorgimento della musica internazionale, Italia esclusa (si salva solo Fantasma dei Baustelle). Da quando David Bowie ha dato inaspettatamente alla luce un lavoro come The Next Day, è stato un susseguirsi di album di qualità: Nick Cave, Daft Punk, My Bloody Valentine, fino ai più recenti Boards of Canada, per citarne alcuni. Anche i Sigur Ros non sono stati da meno, per quanto ci avessero già abituato ad una  ottima qualità musicale.
Questo Kveikur (Innesco), segue a distanza di un anno Valtari, forse il disco più spento della loro carriera, che porta il gruppo islandese ad alzarsi dagli allori sui quali si erano adagiati, scrollarsi di dosso un po’ di polvere e ricominciare. Forse anche l’abbandono del tastierista/polistrumentista Kjartan Sveinsson ha dato la possibilità al trio islandese di lasciare da parte certi orpelli. Valtari, infatti, era eccessivamente influenzato da Riceboy Sleeps, l’album di Jonsi Birgisson e del suo compagno Alex Sommers, ma anche da Go Do, l’album solista di Jonsi uscito durante il periodo di inattività dei Sigur Ros.
Gli eccessi onirici ed eterei che avevano reso stantio il suono in Valtari, ora lasciano spazio a favore di una impostazione più aggressiva. Lo si capisce dalla prima traccia, nonché primo singolo estratto, Brennisteinn (Zolfo), in cui l’ “innesco” tipico della prima traccia di ogni album dei Sigur Ros presenta una distorsione molto più marcata e una batteria più decisa rispetto al passato. In Hrafntinna (Ossidiana) troviamo delle crude percussioni e dei campanacci, contrapposti a fiati e archi che creano una atmosfera di tensione umana. Isjaki (Iceberg) ha proprietà decisamente pop mentre con Yfirbord (Oltreconfine) ritornano le atmosfere fredde e sognanti mentre va a chiudersi la prima parte dell’album. Il cambio rispetto al passato è tangibile in questo brano in particolare, dove una batteria elettronica detta tempi serrati e una batteria acustica va a mettere gli accenti, aiutando la chitarra suonata con l’archetto da violoncello di Jonsi a disegnare le parabole di suono tipiche della loro identità sonora.
Stormur (Tempesta) segna la metà dell’album, con un’atmosfera rilassata e il carillon, che richiamano qualche elemento derivato dalla loro esperienza popfolk in Með suð í eyrum við spilum endalaust del 2008.sigur-ros-2013
La title-track Kveikur è un pezzo sublime: crudo, deciso, rumoroso, distorto. E’ l’esempio della svolta che questo album rappresenta rispetto al passato, l’esempio del mantenimento della loro identità musicale proposta in un modo del tutto nuovo, in cui l’elettronica dei sinth si unisce al classico suono della chitarra con archetto. Blàpàdur regala spazio alla voce di Jonsi, che si libera dalla musica per esprimere il suo particolare timbro mentre la batteria marcia velocemente. Van è ultimo brano e chiude simbolicamente i ponti col passato, utilizzando un pianoforte che spegne l’interruttore dell’elettricità dei pezzi precedenti.
Kveikur è un ottimo lavoro, ma resta un gradino sotto ( ), il loro album capolavoro. Rappresenta il cambio di rotta, ma non esprime ancora, in effetti, una nuova identità, è un disco che mette il punto sui primi 19 anni di carriera. Con Valtari, uscito un anno fa, si erano resi effettivamente conto che un ciclo stava per finire ed hanno pensato bene, in meno di un anno, quindi, di inserire elementi nuovi e prendere dal passato quanto di buono avessero seminato.
I Sigur Ros dimostrarono fin da Agaetis Byrjun (Un buon inizio), il secondo album, che la loro evoluzione era, per l’appunto, solo un buon inizio e che bisognava continuare a lavorare. Possono non piacere ai più e risultare noiosi, ma per chi ha un po’ di interesse nell’ascoltare, non solo questo album, ma anche i precedenti, noterà che non sono mai stati fermi sulle loro gambe e gusterà indubbiamente la loro poliedricità, pur mantenendo l’identità sonora. Più nello specifico, nessuno avrebbe mai pensato che dopo un album come Takk (Grazie), sarebbe nato un album come Með suð í eyrum við spilum endalaust (Con un ronzio nelle orecchie noi suoneremo all’infinito). Con Valtari hanno incontrato una battuta d’arresto e questo Kveikur rappresenta il pentimento lampo. Con un climax del genere, non possiamo che restare attesa spasmodica per il prossimo disco.

Tracklist:

1. Brennisteinn (Zolfo)
2. Hrafntinna (Ossidiana)
3. Ísjaki (Iceberg)
4. Yfirborð (Superficie)
5. Stormur (Tempesta)
6. Kveikur (Stoppino)
7. Rafstraumur (Corrente elettrica)
8. Bláþráður (Filo sottile) 
9. Var (Rifugio)


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Stefano Capolongo

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