Magnolia+Soundrise+Ingranaggi della Valle@New Vintage Prog Fest (Testo di Stefano Capolongo, foto di Giovanna Marzari)

P1000799Riqualificazione e rinascita. Questa la parola d’ordine de “Il borgo in arte”, rassegna di arti e culture nata a Castel Gandolfo per volere dell’Associazione Il Borgo di Ascanio che sta raccogliendo sempre più successi e consensi. La domenica è dedicata alla musica, in particolare a quella progressiva che nel nostro paese ha raggiunto nel passato livelli di eccellenza e che, come si è potuto constatare stasera, sta vivendo una terza giovinezza. Nell’ambito del New Vintage Prog Festival si alternano stasera i romani Magnolia e Ingranaggi della Valle e i triestini Soundrise, ivi giunti grazie alla preziosa collaborazione tra Relics-Controsuoni e Radioliberatutti. I concerti, dapprima previsti all’aperto ma poi spostati in interno per le avverse condizioni climatiche, partono con l’esibizione dei Magnolia. Vecchia conoscenza di Relics (https://www.relics-controsuoni.com/2012/06/magnolia-foglie-petali-e-profumo-a-cura-di-laura-dainelli.html), portano sul palco “La zona d’ombra” il loro concept ispirato alla storia del condannato David Hicks, vicenda che torna prepotentemente d’attualità in un periodo come il nostro, così denso di abusi di potere. Le tinte sonore dell’anfiteatro virano subito verso tonalità morbide, tratteggiate dalla bella voce di Chiara Gironi, a tratti lieve ma decisa e lacerante allo stesso tempo. Tutt’intorno una band di livello, su cui spicca la talentuosa Donatella Valeri, istrionica e P1000840sapiente tastierista e in cui trovano la perfetta amalgama Alessandro di Cori e Bruno Tifi (chitarre), Simone Papale (basso) e Claudio Carpenelli (batteria) che costituisce l’unica nota in ombra della serata, non per demerito del bravissimo batterista ma quanto per il suono eccessivamente asciutto della batteria elettronica. Ottima prova del sestetto romano che barcamenandosi tra atmosfere post-rock, prog e a volte gothic metal (forte è il richiamo ai Lacuna Coil) afferma ancora una volta il proprio valore indiscusso.
Il gruppo successivo, i Soundrise, alza l’asticella del volume e dell’adrenalina. Polverizzando totalmente i luoghi comuni sulla freddezza dei triestini, i cinque friulani presentano il loro crossover prog duro e puro  con una verve e una carica d’altri tempi. I brani eseguiti, fatta eccezione per tre trascinanti inediti, sono totalmente estratti dal loro album d’esordio “Timelapse”: si va da sonorità  più spiccatamente hard come in The great divide between us e More, in cui la chitarra di Dario Calandra può urlare a pieno regime così come la batteria di Massimo Malabotta, ad ambienti più propriamente progressivi come Western Torture e We shall break our cage in cui maggior spazio è lasciato all’ottimo Stefano Alessandrini (tastiera) e la fusione P1000933del sapiente basso di Giorgio Pierobon con il resto della band è perfetta. Completa l’opera un Walter Bosello (voce) in forma smagliante che trascina, diverte e convince. Un plauso a questi ragazzi che ci ricordano come divertimento e ottima musica possano ancora convivere perfettamente.
Con gli Ingranaggi della Valle il mood cambia ancora, virando verso il progressive nell’accezione più classica del termine. Usciti da un mese circa con il concept “In hoc signo”, questa band romana rappresenta una delle realtà più interessanti e promettenti dell’intero panorama italiano, progressive e non. Lo stile hawaiano dei componenti (Mattia Liberati alle tastiere, Flavio Gonnellini alla chitarra, Igor Leone alla voce, Shanti Colucci alla batteria, Marco Bruno al basso, Marco Gennarini al violino, Edoardo Arrigo al chitarra, synth bass, mellotron strings e voce) traduce lo stile scanzonato e divertito di una band tecnicamente formidabile: le palestre di questi giovanissimi ragazzi sono il jazz, la fusion e i ritmi etnici e ciò si evince facilmente dalla forte dose di improvvisazione che accompagna il live degli Ingranaggi. Cavalcata, Via Egnatia, Fuga da Amman, Kairuv’an sono alcuni dei brani che compongono l’ora abbondante di una esibizione ricca di virtuosismi, soli, improvvisazioni, cambi di tempo che ci catapultano indietro in una meravigliosa ma modernissima età dell’oro. Se “In hoc signo” fosse uscito negli anni 70, forse gli Arti e Mestieri avrebbero avuto vità più dura.
Tre band per tre modi differenti di vedere il progressive, un pubblico e una giuria soddisfatti e impressionati, un meraviglioso scambio di idee e culture: l’esperimento di questo festival può dirsi pienamente riuscito.
Un ringraziamento speciale ad Armando Bertozzi per averci ospitato.


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Stefano Capolongo

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