Credo che lâunico, vero, desidero per un amante della musica dal vivo (di un certo spessore), sia quello di godersi il live dellâartista designato con la certezza che questo esprima in un paio dâore la quintessenza della competenza musicale. E quando si parla di âcompetenzaâ, a scanso di ovvietĂ strabordanti, parliamo di strumentisti dâorigine controllata, con esperienza da vendere, capaci di trasformare una tappa qualsiasi di un tour qualsiasi, in un caleidoscopio di esecuzioni passionali, sentite ed allo stesso tempo tremendamente dignitose. Ma soprattutto la massima espressione della âcompletezzaâ del prodotto musicale deve palesarsi anche a coloro che non possono definirsi fan accaniti. Altrimenti il live è a porte chiuse e tante care cose agli amanti delle melodie trasversali.
Bene: prendete i due concetti espressi sopra, amalgamateli al punto giusto ed avrete il concerto del dio della chitarra Mark Knopfler allâIppodromo delle Capannelle (Rock in Roma) in occasione del Privateering Tour.Unâesibizione musicalmente panteistica, quasi due ore di ottima musica per appassionati, dal gusto melodico raffinato, con lâabito buono, con i guanti. E pensare che i generi espressi durante la serata hanno fatto le fusa a periferie dal sound grezzo come rock blues e folk americano da west-e-polvere. Tuttavia, gli otto componenti sul palco hanno saputo accerchiare lâascoltatore con un tornado di sinfonie intessute con perizia navigata (alcuni membri della band hanno mostrato fieramente i capelli bianchi), tanto da rendere impossibile qualsiasi tentativo di borghese immobilitĂ sul posto.
Il lungo parterre (almeno 4000 paganti) ha beneficiato del tour guidato dal timoniere britannico di lunga data Knopfler (64 anni il 12 di Agosto), attraverso un excursus tra i ben otto album da solista dellâex leader dei Dire Straits, maestro riconosciuto a livello mondiale, dello strumento dalle sei corde. Chi si aspettava una retrospettiva malinconica dei successi degli Straits è rimasto altrettanto deluso, ma instancabilmente non ci si può esimere dal ripetere: è stata una serata di musica con la M maiuscola, senza ghettizzazioni.
I presenti hanno visto gli otto membri della band avvicendarsi tra strumenti classici come violoncello, contrabbasso, violino, clarinetto o pianoforte e piĂš moderni basso, tastiera, chitarra (o mandolino) o fisarmonica, con le due uniche costanti la chitarra elettrica di Knopfler e la batteria del fido Ian Thomas. E con questo popò di tutto-tondo orchestrale, il viaggio ha acquisito i contorni dellâall inclusive. Dopo lâinizio in tromba con il classico What it Is (esecuzione magistrale) la crociera ha preso il largo verso ambienti apparentemente ostici, ma che con lâandare dei pezzi sarebbero divenuti sempre piĂš familiari. La platea ha gustato quindi fino in fondo il folk-blues ispirato di brani come Corned Beef City e Cleaning my Gun, per poi caracollare dolcemente verso la title track dellâultimo album solista dellââUomo tranquillo del Rockâ, Privateering, brano-manifesto di questo folk americano con innesti marpioni di campionari celtici.
Le sterzate piĂš significative sono arrivate dalla straordinaria Father and Son, introdotta da un preludio di cornamusa da pelle dâoca e dalla immancabile Romeo and Juliet, brano piĂš apprezzato fra i tre proposti dallâarsenale Dire Straits. Lâintroduzione dei membri della band (tra cui il co-produttore Guy Fletcher alla tastiera ndr) è avvenuta come intro alla panegirica Postcards from Paraguay, vertice alto della varietĂ di stili proposti dalla carovana Knopfleriana: se in precedenza abbiamo annoverato folk, celtica, blues, qui ci addentriamo nel profondo Sudamerica, per uscirne piacevolmente rinfrancati.
Impossibile non citare i virtuosismi al violino di Marbletown, degna improvvisazione di spartiti, in fin dei conti, piuttosto ripetitivi. Sul finire delle quasi due ore, i pezzi mancanti del trittico Dire Straits, Telegraph Road e So Far Away sono riusciti ad ammaliare anche i meno convinti (pochi a dirla tutta): la prima per lâarrangiamento dal minutaggio esteso e la carica trascinante (non una novitĂ della serata), lâaltra per il testo minimalista che si fĂ cantare neanche fossimo ad una partita di pallone.
Dopo lâencore Piper to the End, è il momento di tirare lo somme su queste quindici bomboniere regalateci dal maestro Mark. Spesso è motivo di discussione tra gli addetti ai lavori, quanto in ambiente musicale sia âsalutareâ guardare indietro ad epoche significative per il rock, quasi a voler bere dal Sacro Graal della conoscenza e crogiolarsi sino alla catarsi mistica. In questo caso, senza inserirsi incisivamente nel dibattito appena espresso, basti pensare che Knopfler propone, nel ventunesimo secolo, spettacoli capaci di esprimere al massimo sia il concetto di gruppo (inteso come orchestra), sia quello di lavoro solista (il processo compositivo gli appartiene in toto). Ed anche se molti spettatori al ritorno dal concerto, avranno ascoltato il classico Sultans of Swing a volume altissimo, le orecchie piĂš preparate avranno invece ringraziato Knopfler per lâennesima lezione impartita.
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