Quattro chiacchiere con Emanuele Bocci (di Flavio Centofante, autoscatti di Emanuele Bocci)

emanuele 4Questa non è un’intervista classica: è un’intervista fatta a 149,52 Km di distanza, quella in linea d’aria fra Roma e la provincia di Grosseto, dove abita Emanuele Bocci (ma non sveleremo la sua oasi). Dopo esserci incontrati molte volte ad eventi vari, ed essere rimasti in contatto, non abbiamo avuto più modo di incontrarci: ma abbiamo detto: la possiamo fare a distanza, ‘sta cosa! Del resto abbiamo bene in testa le espressioni l’uno dell’altro, come ridiamo, e soprattutto il modo in cui pronunciamo le parolacce. E’ stata dunque un’intervista a distanza, ma è come se fossimo stati ad un tavolo l’uno di fronte all’altro con un bicchiere di vino. Se da una parte internet, la rete delle reti contemporanea, crea false prospettive e perdita di spazio-tempo, dall’altra fa divertentissime magie. E’ avvenuta così, grazie a tanti battiti di dita, attraverso l’aria…

Allora, per dare una parvenza di serietà all’intervista, inizieremo con una domanda intellettuale: nella vita di Emanuele Bocci, quanti Emanuele Bocci ci sono stati? Hanno sempre voluto suonare tutti quanti?

Ahahah! Provo a pensarci…mmm… non saprei dirti esattamente quanti Emanueli ci sono stati, però posso dire con certezza che tutti quanti hanno sempre voluto suonare e da un certo punto in poi scrivere e cantare canzoni. La musica è l’attività che mi accompagna da più tempo, ho iniziato a 6 anni e non ho smesso più.

L’ultimo Emanuele, quello del nuovo disco, è diverso da quello immediatamente precedente? (con la scusa, ovviamente, dicci qualcosa del nuovo disco e delle atmosfere che lo permeano)

 L’Emanuele del nuovo disco è un maremmanaccio doc che dopo varie peregrinazioni con l’ auto, con l’ aereo e con la testa, torna a casa, si guarda intorno e racconta il mondo e le persone che ci stanno dentro e che gli stanno o gli sono state vicino. Resta la volontà e il piacere di raccontare storie e aneddoti che descrivano questo mio mondo e ne evochino l’emotività, ma anche che siano uno spunto per parlare di argomenti di più ampio respiro. Grazie al lavoro di Filippo Gatti, produttore artistico del disco, stiamo cercando di lavorare sull’essezialità dei suoni, mettendo in risalto la canzone nella sua asciuttezza di melodia e testo, dove la voce assuma una sua centralità. Il disco, come già il precedente, tocca più stili di riferimento: swing, pop, folk. Infine essendo un disco di matrice e più che altro di argomenti popolari, non poteva mancare il remake di un grande classico tradizionale della mia terra…

Il gusto del racconto, romanzato, amaro, o demenziale, ha fatto parte del tuo lavoro precedente. Ci sono racconti anche nel nuovo? Quanto è importante raccontare i tuoi pensieri e i tuoi ricordi? E quanto di tutto questo, in realtà, non è mai avvenuto ma l’hai solo sognato?

 Ops… in parte ho già risposto sopra. Aggiungo che raccontare è importante per me se con il racconto si riescono ad evocare le emozioni che stanno dentro al racconto. Raccontare è come mettersi intorno ad un fuoco con gli amici, una storia riesce a creare subito intimità, curiosità, spesso empatia. Generalmente i miei racconti prendono spunto da fatti veri, a volte un po’ romanzati, ma pur sempre fedeli alla realtà.

Dopo la domanda intellettuale dell’inizio, è giunto il momento di quella scontata ma importante: quanto la tua terra, le visuali che hai a casa tua, hanno influenzato la tua musica?

 A-ri-ops… mi sa che ho già risposto sopra e sopra ancora.emanuele 3

A-ri-aggiungo che “il mio habitat” mi ha influenzato per la tradizione di cantastorie che si porta dentro con la loro volontà e piacere di parlare della propria terra attraverso i racconti dei personaggi che l’hanno abitata e vissuta. In questo disco, molto più che nel precedente, il mondo prossimo che mi circonda viene descritto e narrato. Parlandone in termini strettamente musicali, l’influenza della musica tradizionale si percepisce solo in alcune scelte sonore e nell’uso di alcuni strumenti legati ad atmosfere folk… ad esempio la fisarmonica, oppure alcuni strumenti a fiato, o la predilezione per le sonorità acustiche. Questa provenienza folk tuttavia convive con l’inserimento di suoni, a volte rumori, che con il folk non hanno nulla a che vedere. Con Filippo abbiamo fatto un po’ di “esperimenti”, ma siamo solo a metà dell’opera quindi… mi perdonerai, ma non anticipo nulla!

Ho amato enormemente l’aneddoto che mi hai raccontato riguardo tuo nonno, durante la guerra, e del suo famoso sistema di comunicazione in “codice”. Ti andrebbe di raccontarcelo di nuovo in poche righe (che ovviamente non bastano a spiegare l’enormità della vita di un uomo, ma che renderebbero poetica la lettura a chiunque passerà da queste parti)?

 Mio nonno parlava poco della guerra, immagino perchè ne portasse dentro un ricordo molto drammatico, se non tragico… non è facile chiedere a una persona di ricordare un incubo, così della sua vita da soldato ho saputo poco da lui, qualche aneddoto, qualche episodio, mi ricordo che gli si rizzavano le orecchie e stramalediva i tedeschi se sentiva parlare in lingua tedesca.

Fu fatto prigioniero e deportato nel campo di concentramento di Matausen, mi raccontò che comunicava con i suoi commilitoni attraverso un codice fatto di note su pentagramma. Si salvò dalla prigionia perchè sapeva fare il calzolaio.

Una volta gli chiesi “Nonno, ma te in guerra hai mai ammazzato nessuno?” e lui rispose : “No, io non ho mai sparato, io in guerra suonavo!”

Infatti mio nonno, oltre a fare il calzolaio, era clarinettista e suonava nella banda dell’esercito.

Questo è quello di cui parla “Non ho mai sparato”, la canzone del nuovo disco a lui dedicata.

Pensi che il nuovo disco potrebbe essere l’inizio di una nuova ricerca personale del tutto diversa dagli anni precedenti?

 E’ un lavoro che si inserisce bene nel mio percorso artistico e proprio per questo è molto in continuità con le produzioni precedenti. Ci sono delle novità, nell’utilizzo di alcuni suoni e certi accostamenti, ma la mia matrice è sempre decisamente percettibile. Forse la vera novità è che il disco parla un po’ più di me e delle mie storie quindi laddove ricerca personale e ricerca di sè sono sovrapponibili… questo album può considerarsi l’inizio di “qualcosa” di diverso.

Trovo interessante (e infatti ne faccio una domanda) che tu, come mi hai rivelato, abbia un profondo legame col romanzo “La vita agra” di Bianciardi, del 1962. Cosa rappresenta per te, e cosa può insegnarci?

 A dir la verità il mio legame è con Bianciardi e tutta la sua opera, legame iniziato qualche anno fa, quando la Fondazione Luciano Bianciardi che ha sede nella mia città, mi chiese di ideare ed interpretare un reading musicale con passi tratti dai suoi scritti.

La Vita Agra è il suo romanzo più importante e più noto. E’ un libro “denso” di significati e, volendo, di insegnamenti. Bianciardi, come tutti i “grandi” della cultura è stato un precursore. A suo modo è riuscito ad anticipare con la sua lettura attenta e sagace della realtà, quelle deformazioni e quei paradossi che dagli anni sessanta ad oggi hanno segnato lo sfacelo di questa nostra società ormai misera e da prendere per i fondelli. Il passaggio a cui sono più legato è quello in cui Bianciardi descrive con un eccezionale lirismo il suo “neocristianesimo a sfondo disattivistico e copulatorio”. Inizia così…”Ora so che non basta sganasciare la dirigenza politico-social-divertentistica italiana. La rivoluzione deve cominciare da ben più lontano, deve cominciare in interiore homine…”

Scrivi prima la musica o prima i testi? Oppure, come spesso avviene, la creatura esce fuori tutta insieme?

 Dipende dalla canzone e dallo strumento che mi trovo tra le mani al momento dell’ “ispirazione”. In genere mi parte un’idea che si materializza in una strofa con un testo provvisorio. Inquadro bene l’argomento e continuo a buttar giù la parte musicale di tutta la canzone. Poi, come se fossero fotogrammi, distribuisco quel che voglio dire nelle varie strofe, ritornelli,ma anche nei bridge e negli special se ci sono… e butto giù un testo sempre provvisorio. Poi inizia il lavoro di lima sulle parole… ‘azzo!!! ho rivelato la metodologia di scrittura “Bocci” !

Quanto c’è nella tua musica delle seguenti cose? Usa una percentuale: a) politica,  b)esplorazione,  c)teatro,  d)voglia di essere il miglior cantautore italiano del nuovo millennio ,  e)sociale

a) 3%

b) 7%

c) 15%

d) sono il cantautore italiano del nuovo millennio (mi permetto di omettere “il migliore”)

e) 75%

Così come gli scrittori sentono il bisogno fisico di scrivere, e i pittori di usare i colori su una tela, così il musicista lo ha di suonare o tradurre in note le sue emozioni: quanto, nel tuo processo creativo e di emanuele 2composizione, è istintivo, e quanto frutto di uno studio approfondito?

Una volta lessi questa frase: “La mia arte è quanto di meno spontaneo ci sia in natura”. La frase portava la firma di Degas ed era scritta su una parete di una mostra a lui dedicata. Mi colpì molto e ci lessi dentro anche il mio approccio alla scrittura e alla composizione.

Dentro una canzone, un disco, un live c’è dell’istintivo, ma c’è anche parecchio mestiere, lavoro di lima, studio, prove e riprove, bozze buttate nel cestino, appunti ritirati fuori all’ultimo momento… insomma se ce l’avessi qui davanti gli direi “Ah Dega’… la penso come te”

Come può un musicista sensibilizzare le menti delle persone? Sempre che questo ti interessi (mi riferisco un po’ a tutto: socialità, metafisica, vita quotidiana, ecologia/cibo, speranza, bellezza). 

Immagino che con una canzone o uno spettacolo si possano toccare le sensibilità delle persone, scuoterle a livello emotivo, se questo accade l’obiettivo di un cantautore è centrato… ma più passa il tempo e più penso che tutto ciò duri poco più del tempo di una canzone o di uno spettacolo. Forse a volte ho e ho avuto la presunzione di sensibilizzare su grandi argomenti, ma, lo dico con un certo disincanto, non credo che una canzone abbia mai cambiato veramente e in profondità la testa di una persona.

E’ molto più probabile che una canzone con tematiche di interesse sociale, ad esempio, tocchi la sensibilità di una persona già sensibile all’argomento.

Visto che sei anche tu un fan a tua volta, dicci: qual è il tuo disco preferito italiano di sempre, e il tuo disco preferito straniero di sempre? Magari quello che ti ha fatto venir voglia di fare il musicista…

 Disco italiano “Il ballo di San Vito”.

Disco straniero “Desperado” degli Eagles … in questo disco ci sono le prime canzoni che ho imparato a suonare e cantare al pianoforte una ventina di anni fa

Ci consiglieresti i nomi di musicisti o gruppi che bazzicano le tue zone e che secondo te meritano maggiore attenzione a livello nazionale?

 Ti nomino alcuni amici cantautori, qualcuno ha già una discreta attenzione a livello nazionale, qualcuno un po’ meno, ma sicuramente tutti la meriterebbero di più… rigorosamente in ordine alfabetico: Simone Avincola, Erica Boschiero, Enrico Farnedi, Paolo Fiorucci, Luigi Mariano, Gabriele Ortenzi, Rebi Rivale, Daniele Sarno, Emilio Stella, Carlo Mercadante, Davide Zilli

Un vero artista è, secondo me, uno che ama fare auto-ironia: per questo ti chiediamo di lasciarci con degli autoscatti: allegri e tristi, e non mi chiedere perché abbiamo deciso di chiedertelo. Lo sfondo sceglilo te, la tua stanza, un prato, etc…Ma che almeno le foto abbiano carattere, e siano particolari! Altrimenti non pubblicheremo la tua intervista… Spargeremo le foto fra le righe dell’intervista (e così abbiamo fatto, n.d.r.) J

Grazie Emanuele, lasciaci con un pensiero né troppo difficile, né troppo banale!emanuele 1

 

Dopo Degas concludo citando Carlo Bocci con un breve aneddoto.

Un giorno dell’autunno passato vado a prendere Carlo all’asilo, al tempo aveva appena compiuto tre anni. Lungo la strada del ritorno vedo su un albero un falco, fermo la macchina e inizio a vociare con un certo entusiasmo: “Carlo, Carlo, guarda sull’albero, un falco, guarda che bello, guarda è là, un falco, bello, guarda Carlo!!!”. Nel frattempo il falco spicca il volo, Carlo con molta lentezza sporge la testina dal poggiatesta del suo seggiolino che gli parava la visuale, guarda fuori dal finestrino, sposta un po’ la testa per guardare meglio, poi alza l’indice della mano destra, mi si rivolge serissimo e fà: “Babbo, non era un uccello, era solo una piuma.” … e si rimette comodo con la schiena e la testa sul suo seggiolino, io riaccendo il motore e riparto, scosso da cotanta e genuina saggezza.

Della serie… non confondere una piuma con un uccello… da lì è diventato il mio guru.

Il nuovo disco di Emanuele Bocci, di prossima uscita, si intitolerà “Nel Silenzio”. Vi proponiamo un estratto dal titolo “In Silenzio”: 

CONTATTI

http://www.emanuelebocci.it/

info@emanuelebocci.it


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Stefano Capolongo

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