G.B.H @ INIT Club, Roma (testo e foto di Karol Banach)

1Alcuni gruppi durano il tempo di una stagione, azzeccano qualche pezzo che finisce in heavy rotation sulle radio o in tv, e poi magari provano improbabili cambiamenti di stile prima di scivolare inesorabilmente nell’oblio.  Non è sicuramente il questo il caso dei G.B.H. (chiamati inizialmente Charged G.B.H.) storico nome dello street punk/hardcore punk made in UK di passaggio all’INIT Club per la data romana del loro tour mondiale. Il collettivo inglese proveniente da Birmingham, uno dei nomi di spicco del genere assieme a gruppi quali gli Exploited o i Discharge, calca senza sosta palchi in giro per il mondo dai primi anni ’80. 11 album registrati tra il 1982 – anno del primo City baby attacked by rats – e il 2010 – anno dell’ultima fatica Perfume and piss pubblicato per la Hellcat, etichetta di Tim Armstrong dei Rancid. Proprio i Rancid sono un ottimo esempio di gruppo influenzato dallo stile del gruppo inglese.

Il pubblico dell’Init è equamente diviso tra aficionados che magari seguono il gruppo da tempi immemori e supporter2 più giovani, con creste punk e vestiti di ordinanza del caso. Niente gruppi di supporto, palco addobbato con i soli strumenti per l’esibizione senza troppi fronzoli, lo show parte subito in quinta con Unique, brano estratto dall’ultimo album. La voce di Colin Abrahall, il basso di Ross Lomas, la chitarra di Jock Blyth e la batteria di Scott Preece scatenano sin dalle prima note scene di pogo sotto il palco. L’esibizione si mantiene sempre su ritmi elevati, non ci sono soste o cali di livello. I due ragazzoni della security ai lati del palco all’inizio sono molto fiscali e non permettono di far interagire il pubblico con il gruppo, bloccando puntualmente ogni tentativo di salita sul palco con conseguente stage diving o eventuali danni agli strumenti. Anche Colin dal palco chiede più clemenza e più comprensione, in fin dei conti è un concerto punk, e nessuno ha voglia di rovinare strumenti o interferire con l’esibizione. Finalmente dalle note storiche di Sick Boy – brano tratto dal primo album – sembra arrivare un nulla osta, per la gioia dei più o meno giovani liberi di pogare nelle prime file. Prima delle note di Kids get down, c’è forse il momento più bello, tenero e simbolico della serata. Infatti Colin fa salire sul palco, bacia e abbraccia un papà venuto al concerto con il proprio figlioletto di pochi anni, con grosse cuffie color giallo per proteggerlo dai suoni provenienti dal palco.  Segue uno scambio di battute tra i due. Prima di scendere, il papà urla al microfono << Punk’s not dead !!! >>, a conferma di come certi suoni e certi gruppi avranno sempre un seguito.

3Iniziano dei momenti di pausa tra i brani, ottimi per far riposare un attimo la voce a Colin ma soprattutto per far riprendere un attimo fiato a Scott il batterista, vera e propria macchina da guerra che non ha calato di ritmo nemmeno per un attimo. Purtroppo questo è anche un segnale del fatto che lo show sta volgendo al termine. C’è però il tempo di sparare le ultime cartucce: durante il bis arrivano un paio di pezzi storici quali Maniac e Time bomb – estratti sempre dal primo lavoro – per concludere lo spettacolo nello stesso modo in cui è iniziato, ovvero ad un ritmo forsennato e a massima velocità, come da miglior tradizione della casa. Poco più di un’ora di classe pura, di suoni punk ai massimi livelli, fatti da un gruppo che a merito può vantarsi una lunga carriera. Lunga vita ai GBH e che la stagione del punk non passi mai.

 

Un ringraziamento speciale all’ INIT Club per averci ospitato durante questo evento


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Karol Banach

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