The Glowlers @ INIT Club, Roma (testo di Giulia Pierimarchi, foto di Stefano D’Offizi)

The Growlers06webCi sono i molleggiamenti di Brooks Nielsen, vocalist dei Growlers, ben coordinati ai movimenti dinoccolati del batterista Scott Montoya. Entrambi sorretti dalle ritmiche beat del basso saltellante di Antony Braun Perry.
Del primo c’è anche lo stile ironico e disinvolto e a tratti adagio, che come da disco, per la sua timbrica sobriamente patinata e granulosa ricorda (giusto per trovare un punto di riferimento nell’ambito indie) Hamilton Leithauser dei Walkmen.
Come nella produzione c’è l’approccio lo-fi verso il live-set strumentale. Ci sono i vibes eseguiti dalla Farfisa di Kyle Straka, e della sua chitarra vengono riportati anche i suoni pop jangle. Ci sono le contaminazioni, tante e differenti tra loro, come i vari generi amalgamati nel corso dei quattro album che hanno portato i Growlers a ripercorrere il surf revival attraverso sonorità più underground, proprie alla cultura indie-garage californiana.
E sebbene ci siano anche i riverberi psych pop di Matt Taylor, lead guitar della formazione di Costa Mesa, non c’è la scelta di esprimersi in momenti o idee d’invenzione artistica. Che nel live di mercoledì 13 all’Init Club, avrebbero dato forte personalità all’attività performativa del quintetto dalla proposta surf rock mutante.The Growlers07web
Tra un lido sonoro pop folk anni 60 come What it is e un altro con influenze più country come Nosebleed Sun attraversandone un altro più vagamente western Gay thoughts per giungere fino ai beat di Acid rain o dell’estratto dall’ultimo Hung at heart, Someday, l’impressione che si ha è quella di una band molto capace di coinvolgere e piacere ai suoi sostenitori del circuito stereotipato hipster – che in questa occassione li vuole presentarsi in maniera un po’ disadattata e scapestrata – e come nelle produzioni discografiche, si ha l’impressione che i cinque mostrino un’esecuzione tecnica molto efficiente per sostenersi sui passaggi tra le differenti pareti strumentali e a creare tra queste una riuscita congruenza sonora (ne sono un esempio le sequenze melodiche dei brani citati). Ma è fortemente evidente che se sulle tracklist la componente psichedelica – come l’uso degli effetti Echoplexes per le chitarre e degli organi Hammond e Farfisa – è così rilevante da poter determinare la varietà stilistica e compositiva del loro beach rock, questa durante la trasposizione live sembra sia destinata a rimanere una soluzione essenzialmente stilistica.
Un setlist quello di mercoledì, molto aderente, sìa nella forma sìa nell’elaborazione espressiva, alle loro pubblicazioni. Nessuna apertura allo sperimentalismo come farebbe invece presagire l’ascolto della loro discografìa. Nessuna versione più perscrutata dei loro pad acidi, delle loro tastiere fluttuanti e degli space echoes che nel loro susseguirsi hanno comunque richiesto l’adeguato approccio mentale. Tutto molto inerente e prevedibile, allo stilema cadenzanto dei Growlers.The Growlers10web
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Giulia Pierimarchi

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