James Chance&Les Contorsions @ INIT club Roma (di Simone Vinci, foto di Salvatore Marando)

6Certe cose capitano… Ad esempio capita di perdersi le chiavi di casa, capita di scordarsi di fare una cosa, “Machete capita” nei film di Rodriguez e può capitare di rendersi conto che stai per andare a vedere James Chance & Les Contorsions (prima erano THE Contorsions, ma poi sono diventati francesi ed hanno cambiato l’articolo per ripicca all’anglosassone).

James Chance, i Contorsions, Lydia Lunch, Teenage Jesus & The Jerks, i DNA, i Mars, erano la spina dorsale della scena No Wave newyorkese. Una scena che nacque nel 1977 spontaneamente, per staccarsi dall’idea conservatrice del Punk, nato negli States e non in Inghilterra, che altro non era che una minestra riscaldata ed accelerata della musica rock degli anni 50/primi 60. Il vuoto innovativo fu riempito dalla No Wave, e la maggior parte dei musicisti della scena No Wave erano artisti figurativi, attori o performer che non avevano di fatto mai suonato uno strumento in vita loro. La No Wave era il vero movimento di rottura col passato.

Nella fattispecie James Chance & Les Contorsions mischiano perfettamente tutto questo con il Jazz e il Funk, il risultato è una2 musica acida ed incontrollabile. Come lo erano i primi concerti alla fine degli anni 70, quando James Chance scendeva dal palco per toccare e provocare le ragazze del pubblico e puntualmente il concerto finiva con una rissa. Sono passati 40 anni, lui non tocca più le tette della prima fila, ma mantiene lo schizzo e l’energia di quegli anni, sale sul palco con i suoi amici francesi ed inizia da Off Black, poi Design to Kill, poi un’alternanza di pezzi dell’ultimo album, Incorregible!, e pezzi della storia newyorkese, come Dish it Out, che apriva il primo album della storia No Wave, No New York, una compilation prodotta da quel genio di Brian Eno nel 1978.

Quando presenta i vecchi pezzi appare un sorriso sul volto di James Chance, e parla di memories, non di canzoni. James Chance è il sessantenne che tutti vorremmo essere: un figo con i capelli impomatati, ben vestito, che balla, salta, urla, suona il sax e l’organo più acidi e dissonanti del mondo, suda e non si scompone nonostante la nevrosi nel dover sempre rimettere su i microfoni che cadono in terra o nella campana del sax. E’ un mito e il concerto è una esperienza unica. King Heroin diventa quasi intima, nei sui picchi acidi, molto meglio rispetto all’originale di James Brown. Si alterna agli strumenti e alla voce, seduto all’organo, che picchia e maltratta come se non ci fosse un domani, con uno sguardo tra il concentrato e lo spiritato. Poi si alza e balla come un forsennato, mentre spara testi e urla al microfono, poi corre dall’altro lato e si imbraca il sassofono e comincia a sparare ad occhi chiusi sulla gente quei picchi alti che sono come le sue impronte digitali.

5Per ogni canzone, tiene a precisare se sia un pezzo nuovo o un pezzo “memories”. Tra i nuovi Pull the Plug è il migliore, un pezzo di protesta che include rabbia e stanchezza, un funkettone bello come quelli di una volta. Tra le memories, arrivano dei picchi di follia acida, come il cacciavite nella chitarra di Jaded. Tutto è così veloce, da finire a mezzonotte esatta dopo le note di I can’t stand myself, altro pezzo inacidito di James Brown.

Fuggo appena finito, mentre il locale viene invaso da alcuni imbecilli swag. L’Init, è l’unica realtà a Roma capace di far suonare gente come James Chance & Les Contorsions. Grazie.


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Simone Vinci

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