A tu per tu con Michele Esposito, batterista dei Ministri (a cura di Corrado Salemi)

Confesso di essere stato un po’ emozionato nell’affrontare quest’intervista in quanto sono un  fan sfegatato dei “Ministri”. Il trio, piccolo miracolo italiano, è formato da: Federico Dragogna che suona la chitarra ed è il principale autore, Davide “Divi” Autelitano che infuoca  le masse, canta e percuote il basso e Michele Esposito “ministro” del groove e protagonista della nostra intervista. 

La band milanese si è imposta ormai come una delle realtà più importanti nella scena indipendente del Bel paese. Inoltre la loro fama sta travalicando i confini nazionali: è da poco terminato il loro tour europeo in giro per le più belle città del vecchio continente. 

Inizio la chiacchierata  con la premessa che non avrei fatto alcun riferimento alle loro famosissime giacche! 

Scambiati cordialissimi saluti partiamo con la prima domanda:

300x300– Sappiamo che il tuo rapporto con Federico (chitarra e seconda voce) e Divi (basso e voce) risale ai tempi delle scuole superiori, ma quale fu la motivazione che vi spinse a suonare insieme e a voler fare musica “vostra”?

Fede aveva dei brani da proporci. Abbiamo iniziato a vederci io e lui, poi ad un certo punto abbiamo beccato Divi e abbiam detto: “dai bella lì perché non vieni a suonare il basso con noi”. Proprio in quel periodo abbiamo iniziato a frequentarci molto spesso e instaurare la nostra amicizia che ancora tutt’oggi ci lega, anche e soprattutto fuori dall’ambito musicale.

– E’ difficile gestire i vostri rapporti interpersonali durante le lunghe tournée che affrontate?

Tra di noi esiste un rapporto molto “tranquillo” nel senso che affrontiamo insieme qualsiasi tipo di problema, senza remora alcuna, nel rispetto reciproco. Ormai dopo tutti questi anni ci “scanniamo” raramente, anzi per noi le tournée sono delle piacevolissime gite.

– E’ stato difficile riuscire a pubblicare il vostro primo album? Cos’è stato determinante per l’uscita  di “I soldi sono finiti” ?

Beh si è stato difficile nel senso che all’inizio è complicato riuscire a trovare i soldi o perché magari hai da fare altre cose che ti sembrano più importanti come l’università o il lavoro ( io mi sono laureato durante il tour di tempi bui). Io lavoravo in studio di registrazione e mi occupavo della sala prove e  così, quasi per caso, abbiamo trovato una persona che ha creduto in noi. Inizialmente abbiamo registrato sfruttando le ore libere dello studio. L’album ha avuto la sua importanza, ma il tour è stato fondamentale: ci ha permesso di arrivare ad un elevato numero di gente che vedevamo venire sempre più numerosa concerto dopo concerto.

– Voi siete (a mio parere) unici nel vostro modo di porvi, di scrivere e nel rapporto con il pubblico. Sicuramente diversi dalle varie rock band presenti in Italia. Qual’è secondo te l’elemento principale che vi differenzia?

Fondamentalmente abbiamo dei trascorsi musicali talmente diversi tra di noi che poi il mix che viene fuori, durante le prove, non è mai scontato. Uniamo le nostre esperienze, andiamo in sala prove senza niente di impostato, senza una posizione strategica, suoniamo, ci divertiamo e quello che viene fuori meglio lo mettiamo nei nostri dischi.

– Di certo da quel lontano 2006 il tuo modo di suonare sarà variato. Com’è cambiato il tuoMichele-Esposito-1 approccio allo strumento? E durante i live?

Si l’esperienza ti permette di avere con il tuo strumento una fisicità e una sicurezza diversa dagli inizi. Durante i tour l’unica cosa che potrebbe darti fastidio è la pressione, visto che comunque suoni davanti a molte persone, ma ormai il mio modo di suonare non ne risente anzi più gente c’è più mi sento gasato e più rendo, consapevole del fatto che sto facendo qualcosa di importante per cui la gente paga per sentirci.

Si, sono cambiato molto dietro la batteria, l’esperienza di oltre trecento concerti in cinque anni mi ha fatto maturare moltissimo. Ho proprio un altro tipo di consapevolezza: c’è differenza tra un giocatore di calcio che gioca in serie A per la prima volta e uno che ci gioca da dieci anni.

– E’ recente la tua partnership con la famosa casa produttrice  “Zildjian”. Di sicuro è un motivo di vanto per te.

Si ti do anche una chicca, ho appena firmato per la Gretsch, sono appena stato a Modena per recuperare la batteria e sono effettivamente diventato enderoser internazionale che è una cosa che mi fa abbastanza sorridere, visto che di internazionale abbiamo abbastanza poco (considerando soprattutto i nostri testi), anche leggere Michael Esposito tra gli endorser  nel sito ufficiale della “Zildjian”, è di sicuro un motivo di vanto ma, ripeto, mi fa anche abbastanza sorridere. Per me è un sogno che si realizza, da bambino desideravo avere questi piatti e questa batteria.

– Quindi il tuo set durante i live cambierà?

Sì, prima suonavo con una Ludwig, adesso suonerò con una Gretsch Brooklyn  in legno, quindi ovviamente il mio sound cambierà un minimo, ma le mie componenti rimarranno sempre le stesse. Poche cose che suonano bene.

– Io ho avuto la fortuna di assistere ad una delle date del vostro tour europeo (dove mi sono divertito tantissimo). Come ritieni quest’esperienza? Hai notato differenze nell’esibirti all’estero piuttosto che in Italia? E il pubblico?

Ho trovato una serietà incredibile, un modo di rapportarsi semplice e diretto, pochi atteggiamenti sfarzosi a favore di una forte concretezza. Repentinità e organizzazione ottimale per creare le condizioni migliori per il live. C’erano molti italiani sparsi nelle varie città del nostro tour europeo ma abbiamo avuto un ottimo riscontro anche nel pubblico “autoctono” ricevendo diversi attestati di stima. Siamo molto soddisfatti.

– E’ vero, a tuo parere, quel che si dice riguardo alla maggior  possibilità per un gruppo rock di far successo all’estero? Il vostro rapporto con l’Inglese?

La questione è la lingua: se tu pensi in inglese, ragioni in inglese o sei inglese è giusto e anche più semplice cercare fortuna all’estero ma se sei italiano e scrivi in italiano io credo che prima sia giusto provarci qui perché la tua cultura, il tuo modo d’essere sono molto diversi rispetto ai paesi esteri e quindi anche la concezione di ciò che tira o no cambia. Se riesci a sfondare in alcuni paesi come l’Inghilterra o simili riesci a “spaccare” tutto quanto se riesci in Italia puoi tirar a campare, anche bene, ma sei sempre comunque tirato per una serie di ragioni come ad esempio il mercato discografico che è abbastanza piccolo e limitato. Anche se non prenderei questo come un alibi o una verità assoluta. Noi siamo fedeli alla nostra lingua. Scrivere in inglese è una scusa per non ascoltare quello che hai da dire, perché magari qualcuno non ha niente da dire ma gli piace suonare e quindi l’Inglese diventa una buona “scusa”, senza naturalmente voler offendere nessuno. I testi per noi sono un traino.

Michele-Esposito-2– Nei tour passati avete spesso suonato in 4 durante i live. Com’è stato ritrovarsi a suonare in trio? Lo preferisci?

E’ stato molto bello suonare in trio, un gran ritorno alle origini davvero stimolante. Non saprei se preferisco suonare in tre o in quattro ma di sicuro il gruppo siamo noi tre, siamo noi che ci sentiamo legati l’un l’altro . Mi sono trovato molto bene perché eravamo più semplici ma più compatti, mi sono sentito molto più rock. In futuro chissà cosa accadrà!

– A proposito del futuro. Progetti ? 

In questo periodo stiamo lavorando su un sacco di cose: le nostre canzoni, riflessioni, ricerche, suoni, atmosfere. Insomma stiamo facendo il lavoro che di solito c’è dietro un disco nuovo, non so tra quanto saremo pronti ma stiamo lavorando.

– Cosa consiglieresti alle band emergenti italiane che vogliono fare brani inediti? 

Per chi vuole scrivere pezzi propri io consiglio in primis di essere molto sinceri con se stessi ed onesti, e non per fare quello cattivo, ma al mondo non si è tutti musicisti. Io non so fare l’idraulico, tutti abbiamo delle cose in cui riusciamo meglio. A mio parere bisogna prendersi sul serio, crederci, sbattersi, provarci fino in fondo e analizzare criticamente i risultati ottenuti. E’ importante essere molto autocritici: se ai tuoi concerti vengono solo i tuoi amici evidentemente c’è qualcosa che non funziona.  Nessuno nasce musicista ma è importante che gli “altri” si rendano conto di te e di quello che suoni, non si può restare per sempre dei “geni incompresi”.

– Vuoi consigliarci cinque brani di cui non puoi fare a meno? Tra questi  qual’è il tuo preferito e perchè?

 Sì, volentieri: Burning dei Whitest Boy Alive che in questo periodo sto ascoltando molto, poi Digital Bath dei Deftones che ho appena ascoltato, Orestes degli A Perfect Circle, Vortex Surfer  dei Motorpsycho. E il quinto mmm non saprei… una canzone di cui non posso fare a meno in questo periodo è  Do You Wanna Know dell’ultimo disco degli Arctic Monkeys che io adoro.

Così si  conclude una chiacchierata piacevolissima con uno degli esponenti di uno dei migliori gruppi presenti in Italia. Una persona molto alla mano, a cui io personalmente affiderei il ministero per la crescita della musica Italiana.


Commenti

Stefano Capolongo

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