Alessia D’Andrea si racconta (intervista a cura di Frenk Lavorino)

Dal rock alla dance, dall’acustica all’elettronica.  Dai successi pop-dance con Molella e altri dj di fama internazionale, alle collaborazioni pop-rock con Ian Anderson dei Jethro Tull, David Arch (Paul McCartney, Robbie Williams), Steafan Hannigan (Bjork, Depeche Mode), Stephan Zeh (Lionel Richie, Phil Collins) Florian Opahle (Jethro Tull, Greg Lake) e molti altri.
Ad un passo dal suo esordio negli States, un duetto in Sud America ed un disco in Nord Europa, a sorpresa, il 27 marzo è uscito  LUNA D’INVERNO – il suo primo album italiano – realizzato tra Italia, Germania, Svezia e Stati Uniti.
Difficile etichettare questa artista, musicista, cantautrice. Per questo motivo noi di Relics abbiamo deciso di scambiare quattro chiacchiere con Alessia D’Andrea.

– Ciao Alessia. Il tuo ultimo disco “Luna d’ inverno” è il tuo primo lavoro  cantato e composto in italiano. Parlaci di come hai vissuto questo importante cambio/ampliamento di direzione.

Come ho già detto in altre occasioni, penso che cimentarmi nella realizzazione di un album in italiano fosse per me una sorta di “passaggio obbligato”. Ad un certo punto, guardando alle produzioni discografiche che avevo già pubblicato, mi è parsa inaccettabile, per me, l’idea di non aver ancora inciso un disco intero nella mia lingua madre… e così, insieme alla mia etichetta discografica – Renilin – ci siamo messi subito a lavoro.

alessia-d-andrea-press-680x480– “Luna d’ inverno”  è il frutto di un lungo lavoro effettuato  in ben quattro nazioni.  E’ stata una produzione complessa?

Diciamo che oggi con la tecnologia e grazie ad internet è molto più facile scambiarsi i file da una parte all’altra del mondo, e così è stato possibile ultimare le produzioni comunicando con studi di registrazione in diversi Paesi. In tutta onestà non è stata una produzione più complessa del solito, siamo soliti lavorare ormai da anni in questo modo e devo dire che il risultato finale, per me, è sempre interessante. Quando hai la possibilità di contaminare la tua musica con il contributo di altri professionisti di diverse nazionalità quello che fai si arricchisce.

 – Mi ha molto colpito la presenza di tematiche e situazioni decisamente forti come quelle descritte in “Non portarmi via” (relative alle vicende del terribile  tsunami del 2004).  Non mi è sembrato un brano che voglia  solo raccontare quella triste storia, ma più una canzone sulla forza e l’ imprevidibilità del destino. Tu credi nel destino Alessia?

Hai centrato il senso del brano. E’ una bella domanda quella che mi fai: in passato credevo molto di più nella capacità che l’uomo ha di poter guidare e creare il suo destino attraverso le proprie azioni ma ultimamente sto rivedendo questa teoria. A giudicare da alcune situazioni ed eventi sto prendendo in considerazione il fatto che possa esistere un destino già scritto per ognuno di noi.

 – Cambi di genere, cambi di sound, cambio di linguaggio. Sbaglio o sei una persona a cui piace mettersi continuamente in gioco? 

Non sbagli affatto. Non amo gli artisti sempre “uguali”. Ho sempre pensato che per un artista sia quasi un dovere quello di reinventarsi e soprattutto di non adagiarsi sui propri successi o insuccessi, tentando di raggiungere nuove sfide e tendere a nuovi risultati.

 – Ma il concetto di arte e di evoluzione sono due figure intimamente connesse secondo te?

Assolutamente sì. Essere artisti, per me, ha sempre avuto un grande significato. Lo scopo non è solo l’entertainment, in potenza un artista potrebbe anche essere in grado di cambiare parte del mondo influenzando la visione e la percezione delle cose di chi lo ascolta, legge i suoi libri o contempla i suoi quadri. Dunque l’evoluzione è sicuramente un processo al quale l’artista, a mio avviso, dovrebbe tendere per essere in grado di scoprire nuove cose di sé e del mondo da comunicare agli altri.

 – Direi che avere un etichetta indipendente al tuo fianco ha aiutato questo tuo spirito versatile. Cosa ne pensi?

Ne sono convinta. La libertà, che si ha con un’etichetta indipendente, di poter comunicare se stessi è molto più imagestimolante. Nonostante questo spesso voglia dire impiegare un po’ di tempo in più per raggiungere un “canale”, per aprire delle porte. Io amo gli artisti che si formano attraverso processi anche lunghi e “dolorosi”. La fama immediata è qualcosa da rifuggire; oggi, ad esempio attraverso i talent show, ci fanno credere che la popolarità sia facile da raggiungere ma è solo illusione di notorietà. E’ soltanto attraverso un percorso ben preciso e che ha i suoi tempi di metabolizzazione, la cosiddetta gavetta, che si può essere degli artisti “sinceri”.

 – Anche “Caccia alla volpe” non è proprio quello che potremmo definire un testo dolce  e tranquillo. Dicci di più.

E’ il brano più “pazzo” del disco. E’ un parlato in chiave dubstep. Racconta la storia di una volpe che si vendica dei suoi cacciatori: uno spunto per riflettere sulla natura dell’uomo che spesso si diverte giocando con la vita degli altri esseri che abitano questa terra.

– Diversi importanti premi vinti (tra i tanti  “Premio Mia Martini” ed il “Premio Musicultura”), la collaborazione con Ian Anderson nel 2004, la firma con la storica Ministry of Sound, numerosi concerti all’ estero… insomma una bio davvero di tutto rispetto! Mi chiedo: c’è stato un particolare momento in cui hai capito, dal riscontro che stavi ottenendo, che era davvero la musica la tua strada?

Credo, in cuor mio, di averlo sempre saputo… e credo anche sia una cosa piuttosto comune in molti artisti. Lo sapevo da piccola mentre strimpellavo il vecchio pianoforte nel salotto di casa, lo sapevo da adolescente quando mi chiudevo nella mia camera a comporre canzoni, l’ho continuato a capire partecipando a concorsi e collaborando con grandi artisti di calibro mondiale, cosa di cui sono grata ed onorata. La cosa affascinante è che, però, sei sempre in bilico tra il continuare a vivere da artista o no… questa tensione è sfiancante ma anche stimolante: la cosa che mi ha insegnato di più questa strada è quella di non dare niente per scontato.

 – Tornando al tuo ultimo disco, ho trovato “Blu Occhi” un brano da un tono nettamente differente rispetto al resto del materiale; sembra di scorgere anche un po’ del  lato più ironico di Alessia. Ti va di parlarcene?

Vero. Come ti dicevo prima, la musica mi dà la possibilità di scoprire alcuni aspetti di me ed io accetto volentieri la sfida di mettermi in gioco. Non ho paura di farlo. E così è stato anche con “Blu occhi”, mi sono divertita a mostrare la parte più leggera ed ironica di me, perché questo brano di Maurizio Lauzi me lo ha permesso.

copertina luna d'inverno-2-large – Se dovessi accostare la tua personalità ad uno dei tuo brani, quale ti sembra la canzone che meglio descrive chi è Alessia D’Andrea. A proposito chi è Alessia D’ Andrea?

Caspita! Questa è la domanda più difficile dell’intervista. Ogni brano ha un po’ del mio DNA dal momento che l’ho scritto e/o interpretato. E riguardo a chi sono io… sto ancora cercando di capirlo.

 – Parlaci un po’ dei dischi, gli artisti ed i posti che hanno aiutato a delineare la tua musica.

Io ascolto tanta musica, dal prog all’elettronica, dall’acustica al pop, al cantautorato, all’R’n’B e non sono neanche bravissima ad etichettare i generi musicali. Mi piace molto la frase di Duke Ellington che dice: “Ci sono solo due tipi di musica: quella buona e tutto il resto”.
Artisti che mi hanno ispirato sono sicuramente Tori Amos, Fiona Apple, Ani di Franco, Neil Young, Jeff Buckley e ancora molti altri.

 – Quando hai cominciato a scrivere musica, avresti mai pensato che un giorno avresti collaborato con Dj Molella? A proposito  raccontaci di come ti sei trovata a lavorare con lui.

Sinceramente no. L’esperienza di lavorare con lui è stata molto divertente:  Maurizio è un bravissimo dj producer, uno di quelli che hanno fatto conoscere la italo-dance nel mondo.
La nostra collaborazione è nata perché lui ha ascoltato un mio brano rock e ne ha fatto un remix… che poi ha venduto in oltre 15 Paesi del mondo. Da allora abbiamo continuato a lavorare insieme non solo per me ma anche per altri artisti.

 – Eccoci arrivati alla fine della corsa; ti faccio un’ultima domanda: parliamo di musica contemporanea: perchè “la musica non gira più” Alessia?

E’ un discorso lungo. So che stai citando il titolo di un brano del mio album, che ho scritto un po’ per polemizzare su quanto sta accadendo nella discografia. Molte cose, ultimamente, sono cambiate nel mondo della musica: basti pensare alla diffusione digitale, al calo delle vendite dei dischi, alla difficoltà di proporre progetti che siano un po’ più in là del commerciale, alla situazione moribonda delle nostre case discografiche. Mi piacerebbe tanto potesse accadere presto una “rivoluzione culturale” che possa permettere anche a noi artisti di spingerci un po’ oltre, proporre forme-canzone e generi diversi. E’ da troppo tempo che tutto questo non succede più.

– Grazie !

Grazie a te e a tutti  i lettori di Relics-Controsuoni. Seguitemi su www.alessiadandrea.com


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Stefano Capolongo

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