A poche ore dall’inizio del loro set acustico al Contestaccio di Roma, anticipato dai Musicphobia, mi sono intromessa nel mondo dei PAVIC, band hard rock (e non solo) presente sulla scena romana già da diversi anni. Ecco cosa ci siamo raccontati…
-Ciao ragazzi e bentornati! So che siete tornati recentemente da un mini tour nell’Europa dell’Est. Vi va di dirci com’è stata l’accoglienza e che tipo di realtà avete conosciuto nei locali dove vi siete esibiti?
Joe: Siamo stati accolti benissimo, e la realtà dei locali è completamente differente dalla nostra italiana. Appena arrivati la prima cosa che è successa, per me un miracolo, è che siamo stati pagati e ci hanno offerto da bere! La realtà quotidiana è un po’ più povera, anche se relativamente, ma a livello di emozioni il pubblico è stato assolutamente fantastico.
-Prima di proseguire non posso fare a meno di chiedervi qualcosa sulla vostra esperienza a Rock in Idro dello scorso giugno, sapere di suonare sullo stesso palco degli Iron Maiden è qualcosa che forse neanche da bambini si riesce veramente a sognare per quanto sembra grandioso. A parte la grande adrenalina, cosa e chi vi ha colpito maggiormente quel giorno? E per contro, qualcosa vi ha deluso?
Joe: Per quanto riguarda i pro hanno un’ organizzazione mostruosa, mastodontica, con tutto ciò che poi questo comporta: tempi strettissimi, impossibile sgarrare di qualche minuto anzi sono loro che spesso possono toglierti per motivi di scaletta minuti che sono preziosi. Realtà come gli Alter Bridge o i Maiden non hanno ovviamente bisogno di tempo, ma per un gruppo come il nostro ogni minuto in più è oro. Le persone che abbiamo incontrato sono state meravigliose e li noti anche un’ altra differenza rispetto alla media italiana: mentre all’estero i grandi musicisti sono persone alla mano, mangiano e ridono con te, l’italiano tende mediamente a tirarsela un pochino di più e quindi soprattutto da questo punto di vista c’è tanto da imparare.
Marko: Abbiamo potuto goderci il concerto degli Alter Bridge direttamente sul palco insieme ai Black Stone Cherry, sembravamo bambini in una sala giochi!
Aleks: Infatti la grande esperienza è stata salire su quel palco e suonare di fronte a tutta quella gente, però poi lil momento ancora più bella è stato condividere con quelle stesse band che hanno suonato con noi il backstage, dove c’è la parte di vita un po’ più reale e a misura d’uomo.
-Torniamo a voi ora. Tre album all’attivo e tante collaborazioni con musicisti importanti. A livello compositivo, chi è la fonte creativa tra di voi e come avviene il resto del processo compositivo?
Joe: Il processo compositivo non ha una formula standard, a volte qualcuno di noi propone un pezzo scritto per conto proprio oppure ci vediamo per buttare giù una serie di proposte. In quest’ultimo disco Is Was the answer? abbiamo lavorato lavorato spesso insieme io e Marko su idee che erano venute fuori forse anche un po’ per la nota positiva del mio ingresso “fresco” nella band. E’ stato un brainstorming continuo che ha dato degli ottimi frutti, però obiettivamente non c’è una formula definitiva.
-Alcuni membri della band infatti si sono alternati negli anni mentre Marko, Aleks e Lorenzo sono sempre rimasti gli elementi fissi. Sicuramente in un gruppo formato da 5 persone (questa sera in occasione del set acustico erano in formazione ridotta) mantenere la coesione non deve essere facile, i momenti di distacco secondo voi in qualche modo penalizzano le energie creative in corso, oppure sono importanti per portare nuova linfa?
Marko: Nel nostro caso sono passate diverse persone ma questo non ha ostacolato il lavoro della band, anzi ogni rottura che poteva sembrare negativa alla fine ha portato nuove idee, ogni persona ha portato nuove influenze, sia dal punto di vista compositivo, sia personale come musicista, anche perchè ogni disco rappresenta quel momento preciso nella nostra vita a livello temporale.
Aleks: Abbiamo sperimentato tanto con i dischi, non ci siamo fermati a fare solamente hard rock o metal per questioni di moda, tutte le persone hanno dato il proprio apporto fuori da schemi troppo definiti.
-Con Is War the Answer? emerge chiaramente una vostra necessità di rivolgervi a temi sempre più vicini al sociale e una certa stanchezza nei confronti del panorama guerrafondaio, a livello sia verbale che armato, che le news raccontano incessantemente. Qual’e la notizia che vorreste leggere sui giornali che potrebbe farvi rispondere alla vostra domanda?
Joe: La domanda resta aperta per un semplice motivo, perché non vuole essere la nostra maniera di dire qual’è la verità ma vuole essere uno stimolo nei confronti delle persone a trovare una soluzione che possa andare in una direzione comune. Chiaramente quello che vorremmo vedere rivelata è una sorta di evoluzione di questo nuovo millennio, cioè un uomo che non abbia bisogno di sbattere in faccia al prossimo il proprio potere con la forza, ma che riesca ad evolvere attraverso la parola, che mi sembra sia essere un mezzo molto più degno per confrontarsi.
-La scelta di cantare in inglese ha dato più opportunità ai Pavic come band?
Joe: fondamentalmente l’italiano come lingua non ha nulla da invidiare rispetto ad altre realtà europee ed extra europee, però per poter interagire con quelle realtà bisogna parlare una lingua comune e non basta la musica, le parole sono il 50% di quello che poi viene fuori. Musica e parole sono un connubio inseparabile, dunque l’inglese è il modo migliore di portare fuori dal nostro paese la nostra visione della musica, non viviamo solo in uno stivale, in questo tempo poi di globalizzazione…!
-Oggi avete presentato un set acustico, è un evento sporadico o in futuro avete intenzione di proporre i vostri brani in questa chiave diversa come evoluzione parallela del vostro sound?
Marko: Questo non è il primo, e penso neanche l’ultimo, anzi abbiamo intenzione di allargare e sviluppare questa situazione acustica perché tutti noi ci ritroviamo anche in quest’atmosfera. Magari potremmo fare anche un’uscita discografica totalmente in acustico, con pezzi già fatti o nuovi pensati ad hoc, chi lo sa!
-A volte, con piglio malinconico,sento molte persone dire che tutto quello che c’era da scrivere è stato scritto, tutto quello da dire detto, ma io non sono d’accordo, spero anche voi! Quali album o gruppi attuali vi hanno fatto dire “Wow”?
Joe: Quanti dischi vuoi, dall’ultimo degli Stone Sour a Blackbird degli Alter Bridge o anche l’ultimo dei Black Stone Cherry. Ci sono eccome realtà che ti fanno dire tutto tranne che il rock sia morto, perché poi basta andare ai festival e li vedi straripare di gente.
Marko: Sicuramente per “rock morto” si intende un certo tipo di industria che non è più agli stessi livelli di una volta, però per come la vedo io oggi ci sono molte altre opportunità che che 10, 20 o anche 30 anni fa non c’erano, quindi secondo me tutto sommato è un periodo positivo per la musica.
Aleks: C’è grande vitalità soprattuto nell’underground, perché ormai parlando di major andiamo a toccare dei discorsi relativi a grossi nomi che esistono da tanti anni. C’è invece un grande impulso a prescindere dal discorso che il rock sia stato tutto scritto o meno, che non ci siano idee o progetti nuovi, quello che fa la differenza è la credibilità del musicista o della band, quando si è credibili sul disco, e soprattutto sul palco, vuol dire che la propria battaglia è vinta.
-Oggi autoprodursi è abbastanza facile, ma riuscire a tirare fuori effettivamente un buon prodotto e farsi conoscere è tutto un altro discorso. Quali sono state le vostre mosse e cosa secondo voi è essenziale nella realizzazione di un buon prodotto, soprattuto onesto?
Marko: L’autoproduzione ha vantaggi e svantaggi, bisogna capire cosa si può fare da soli e cosa no, sicuramente è importante avere qualcuno che ti guidi e metta le mani su una fase finale del prodotto. Il musicista che ha composto, suonato, registrato è molto coinvolto emotivamente per mesi e quindi non ha più neanche la lucidità di capire cosa vada bene e cosa no, quindi quello di un produttore o una persona esterna e distaccata è un contributo sicuramente positivo. Nel caso nostro ci siamo appoggiati a persone che ci hanno aiutato per missaggio e mastering, con una piccola dose di direzione artistica, anche se la maggior parte delle fasi l’abbiamo gestita noi. In futuro continueremo a fare così, coinvolgendo ancora di più le persone esterne dove possibile.
-E nel vostro futuro più immediato cosa c’è?
Joe: Abbiamo iniziato a scrivere pezzi nuovi, anche in acustico. Per i prossimi concerti stiamo cercando di distribuire bene il nostro tempo suonando un po’ in Italia e un po’ all’estero. Abbiamo la prossima data a Torino il 5 ottobre al Rocking Universe Metal Fest, poi Latina l’8 novembre e di nuovo Roma il 21 novembre al Jailbreak. A seguire ancora all’estero fra Francia, Spagna e Belgio.
Beh che dire… hanno da fare per un bel po’ questi Pavic, in bocca al lupo!