Amici, furgonati e amplificati. Intervista ai Fast Animals and Slow Kids (di Valentina Cipriani)

Il mese scorso i Fast Animals and Slow Kids hanno suonato al The Cage Theatre di Livorno. Aimone ha accettato di incontrarmi prima del soundcheck e ci siamo fatti una bella chiacchierata. Abbiamo parlato di Alaska, del rapporto tra i membri della band, del loro approccio alla musica, di speranze, aneddoti divertenti e progetti per il futuro. Ecco cosa ci siamo detti.

DSC_4126xÈ da poco uscito il vostro ultimo album Alaska e ha già riscosso un grande successo da parte sia del pubblico che della critica. Quali sono le linee di continuità e di discontinuità rispetto ai dischi precedenti?
Di sicuro c’è stato un cambiamento da un punto di vista della complessità dell’arrangiamento e della registrazione. Dopo Hybris abbiamo portato ancora avanti l’idea delle timbriche differenti e dell’apertura un po’ epica. C’è ancora più tracotanza. Abbiamo messo archi, pianoforti, Wurlitzer, suoni particolari, molte linee di chitarra. Abbiamo lavorato molto sull’arrangiamento, tanto che alla fine del disco abbiamo deciso di fare lo stesso mastering a dei db un pochino più bassi così da poter mantenere tutte le stratificazioni sonore che avevamo sviluppato durante la registrazione.
Come continuità forse l’approccio alla scrittura. Ormai è quasi una regola il fatto che ogni linea di ogni canzone (la batteria, il basso, la chitarra, le linee vocali, i testi,  tutto quanto) deve convincere tutti e quattro. Appena una cosa non convince uno dei quattro viene cassata, via dalle palle. I testi li scrivo io, ma anche su quelli decidiamo insieme. Se un concetto non rappresenta tutti e quattro non viene portato avanti, anche a livello concettuale.

DSC_4132xInfatti una cosa che volevo chiederti riguarda proprio questo. Avete detto una cosa molto bella: “funzioniamo solo come entità unica e nessuno è minimamente trascurabile nel processo di composizione”. Come si svolge questo processo?
Partiamo sempre dalla musica, non è mai capitato che partissimo dal testo in sé. Alaska è stato un po’ diverso. Su Hybris partivamo dalla musica, finivamo la canzone interamente e poi da quello io ci ricantavo qualcosa sopra durante le prove. In Alaska invece siamo partiti da una parte dalla musica e dall’altra dai testi senza una minima metrica, quindi da dei concetti. Alla fine abbiamo riunito le due cose adattando quei testi e quei pensieri ad una struttura metrica funzionale per una canzone. Però tendenzialmente la composizione si sviluppa sempre a partire da dei riff. In Alaska erano dei provini registrati alla cazzissima su audio ACT o robe tipo garage band con due chitarre che si intersecavano. Poi da quelli sviluppavamo l’arrangiamento di tutta la musica e del ritornello in sala prove. Quindi molto spesso le composizioni partono da dei riffettini di chitarra ideali.

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La registrazione di Alaska è avvenuta in un casolare sul Lago di Montepulciano. Ti va di raccontare un aneddoto di quei giorni?
Una volta abbiamo detto a degli amici di venire da noi per una cenetta e alla fine sono venute 21 persone. Non avevamo neanche le pentole per tutti. C’era un forno a legna gigantesco mai usato, quindi siamo andati a raccogliere legna e cose cadute dagli alberi e alla fine siamo riusciti a fare la pizza per 21 persone. Poi lì vicino, a Castiglione del Lago, c’è un locale molto bello che si chiama Darsena in cui ogni settimana suonavano dei musicisti e molti erano amici. Noi eravamo a 5-6 km da lì, quindi tutti i sabati e domeniche venivano su amici musicisti per chiacchierare e gli facevamo sentire le canzoni. Quindi di momenti belli ce ne sono stati milioni. Te ne racconto un altro perché mi diverto troppo a ripensarci. Un giorno hanno regalato al batterista Game of Thrones, un gioco nerdissimo, e abbiamo deciso di doverci giocare a tutti i costi. Era complicatissimo e per capire le regole ci abbiamo messo una vita, ma alla fine ci siamo riusciti e abbiamo fatto le 4 di mattina, perdendo tutta la mattinata di registrazione.

DSC_1466 copiaAvete detto che la luce che si intravede dalla finestra nella copertina di Alaska è un simbolo di speranza. In cosa consiste per voi questa speranza?
Quella finestrella si trova nella casa in cui registravamo, è scura in quel modo perché si trova dentro ad un camino. Attualmente nel nostro piccolo caso questa visione in positivo è rappresentata dalla musica stessa. Non tanto la speranza di vivere con la musica, bensì la musica nel presente, adesso. Per la prima volta abbiamo un pubblico, andiamo in giro per l’Italia riempiendo locali, e questo è il sogno di una vita. Quindi la speranza e la fiducia nel futuro stanno proprio nel godersi questi momenti, perché ce li ricorderemo per i prossimi 30 anni e sicuramente ci cambieranno la vita e la prospettiva.

Qual è il vostro background? Che cosa facevate prima e cosa avreste voluto fare nella vita?
Facevamo le stesse cose di adesso. In realtà non è cambiato un cazzo di niente.

DSC_4102Volevate fare i musicisti nella vita? Come lavoro intendo.
Non lo so. Ci abbiamo sempre creduto un botto nella musica, però non ci siamo mai fatti false speranze. La nostra idea era quella di chiuderci in sala prove e fare la musica che piace a noi. Cerchiamo di dare il meglio possibile e facciamo vedere che possiamo migliorare e crescere musicalmente, che ci piace suonare. È questo che ci dà più piacere in assoluto ed è la cosa che vorremmo fare, però non abbiamo mai pensato “io sarò stragrande”. Abbiamo solo fatto al meglio delle nostre possibilità quello che ci piace di più vivendo il presente. Stiamo ancora studiando, c’è chi lavora, non è che sia cambiato così tanto, però adesso possiamo andare in giro per locali e sentire persone che cantano con noi le canzoni, cioè dai, vuoi mettere? Il presente adesso è questo, quindi mega bello.

Ti giro una domanda che avete fatto agli Own Boo per Rockit: Dove e in che momento ascolteresti Alaska?
Non te lo so dire perché dipende da come sei te mentalmente. Per come me lo immaginavo quando lo abbiamo fatto, magari lo ascolterei in una serata in cui fuori è molto freddo, nevica o piove, no meglio se nevica, un freddo come quello di Natale, quasi bello. Tu però sei dentro casa al caldo e te lo metti in sottofondo, non deve essere troppo in testa. Ti bevi una birra molto in serenità e devi essere solo, devi ascoltare.

DSC_1248 copiaQuali rinunce ha comportato il successo?
Successo ancora bisogna vedere. In generale la musica prevede delle rinunce. Lo scorso anno abbiamo fatto 150 date, il che vuol dire 210 giorni lontano da casa, e quest’anno più o meno sarà uguale. Diventa molto difficile da gestire un qualsiasi rapporto quotidiano, che siano amici o la tua ragazza (siamo tutti e quattro fidanzati). La rinuncia principale sono alcune quotidianità, come la pizzata con gli amici del venerdì sera. Noi nel weekend non siamo mai a casa, poi non è che durante la settimana fai qualcosa, alla fine aspetti di ripartire. Una vita last minute, però dai, in quell’ora e venti sei ripagato di 13 anni di musica.

Il complimento più bello e l’offesa più divertente che avete ricevuto.
Questa è fighissima. È capitato un paio di volte non che ci dicessero “bravi”, però che facessero dei bei gesti nei nostri confronti. Alcune persone ci hanno detto “questo vino lo facciamo noi, ve lo vogliamo fare assaggiare perché fate una musica che ci piace e spero che a voi piaccia il nostro vino perché lo facciamo col cuore”. Mettere a pari livello quello che uno fa personalmente con quello che facciamo noi significa aver capito al 100% quanta voglia ci sia dietro la nostra musica. Un altro bel gesto è stato quello di un ragazzo che ha scritto un libro uscito con edizioni importanti e mi ha scritto che ci ascolta, gli piacciamo e ci ha mandato una copia del libro dedicandocela. Questo ci ha fatto capire che ci tiene a quello che suoniamo e ci ripaga. Poi c’è spesso chi ci dice “io il disco l’ho scaricato, però lo voglio comprare perché ve lo meritate, voglio darvi una mano, voglio essere con la band”. Secondo me queste sono modalità fighissime di supporto diretto, significa che sei empatico con la band e capisci quanto ci stiamo investendo.
Di offese in realtà non è che ce ne arrivino così tante. Nel senso che sono sempre offese scherzose tipo “siete una band di merda”. Anche perché non facciamo così tanto per farci offendere, almeno penso. Una volta hanno detto che il cantante è un fighetto, però credo che non ci abbiamo mai parlato con me perché, lo giuro, non sono minimamente una fighetta. Aspetta, un’offesa l’abbiamo ricevuta. Abbiamo fatto una pubblicità su Spotify in cui alla fine diciamo “dai dacci due spicci” e uno ha scritto “macché due spicci, io vi darei una spinta dalle scale così vi spezzate la schiena e la spina dorsale”. Una violenza assurda, però fa troppo ridere, perché è scaturita da una pubblicità a cazzo che ci era venuta male e gliel’abbiamo mandata lo stesso. Quella è semplicemente incazzatura esistenziale, non è che se la fosse presa davvero con noi, perché avrebbe dovuto spezzarci la schiena per una pubblicità?

DSC_0978 copiaTre aggettivi per descrivere i FASK.
Vado con quello banalone: amici. Ci sono anche band che si odiano, però non ho mai capito come facciano a suonare, devono passare insieme tutta la vita. Ogni band ha il suo equilibrio. Anche noi ci scanniamo ogni tanto, ma il principio di base è l’amicizia, che comprende non solo noi quattro, ma tutta la crew che ormai è una famiglia vera. Poi furgonati. E volumi alti, però non mi vengono gli aggettivi, quindi amplificati.

Avevate il progetto di fare un EP di cover punk. È ancora in programma?
Questa è una delle solite cose che spariamo, tipo “adesso compriamo dei cessi usati e li coloriamo di rosa”. Poi ci rendiamo conto che siamo indietro come la coda del gatto per le cose più importanti, quindi alla fine non abbiamo tempo per fare niente. Adesso ce ne abbiamo tante di idee, come quella di progettare un piccolo tour acustico, poche date, magari con dei violini, tutto orchestrato per bene.

I FASK nei teatri.
Sarebbe una bomba. Però alla fine finirà in un nulla di fatto perché siamo dei minchioni e soprattutto perché siamo sempre in giro. Non riusciamo a gestire niente in più del semplice suonare, e già questo implica il migliorarsi continuamente perché c’è sempre una stronzata che facciamo, quindi bisogna stare sul pezzo e provare tanto. Abbiamo abbandonato l’idea delle cover punk perché non eravamo contenti di quello che stavamo producendo alle prove per il tour, quindi prima di tutto dobbiamo suonare al meglio, poi se arriviamo ad essere più tranquilli proviamo a fare altre robe.


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Valentina Cipriani

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