Los Angeles, California, siamo alla metà degli anni ’80, per le strade il Rock ha subito un’impennata paurosa; il Punk è tramontato da qualche anno, lasciando solo un’impronta ringhiante ed imbrattata di sangue sulla quale nuove strane capigliature incrociano chitarre più o meno straziate. Sono gli anni del “nuovo sogno Americano”, quando due ragazzi non ancora del tutto uomini afferrano le loro cose e salgono su un pullman diretto a Los Angeles, lasciandosi alle spalle una piccola cittadina di provincia. La musica sta cambiando, si respira per le strade e si sente sulla pelle, così come anni prima accadeva a band storiche che hanno lasciato il segno, ci si riversa nelle strade del Sunset Strip, alla ricerca di un po’ di svago facile. Rimbalzare dal Rainbow al Whisky a Go-Go per giungere infine al Roxy, queste sono le tappe principali di una Los Angeles disagiata, capace di nascondere fino alla fine i propri gioielli, per farli poi esplodere qualche anno dopo e gettarne i brandelli in ogni direzione fin quando non ne rimangono ombre striscianti. Il caldo torrido di un 23 agosto 1986 fa da cornice, nel centro del quadro, sul palco del Whisky a Go-Go di fronte ad un gran numero di affezionati che già fanno a pugni per guadagnare la prima fila; i primi Guns N’Roses esibiscono tutta la loro verve in una performance che passerà alla storia. Il potenziale dei Gunners è maturo e pronto ad esplodere, la loro setlist conta già brani come Welcome to the Jungle, Mr. Brownstone, Sweet child O’Mine e Ain’t Going down (brano che inspiegabilmente resterà inedito, mai incluso in alcun disco, ma di cui si trovano delle registrazioni per lo più live che ancora oggi risultano ricercatissime sebbene di dubbia provenienza). Il loro show non è solo graffiante, energico, e grandioso Rock N’Roll, è un insieme di cose che girano e si incastrano perfettamente tra loro; la figura di Axl Rose che esaspera il ruolo del frontman, scimmiottando talvolta mostri sacri del rock che lo hanno preceduto, quella di Slash (che non sembra avere un viso sotto un enorme cespuglio di capelli) che suona la chitarra con uno stile rude ma decisamente personale. Siamo lontani dalle milioni di copie vendute dal solo Appetite for Destruction (non ancora uscito), eppure questa sarà l’ultima apparizione dei Guns in un club di media importanza. Axl Rose, Slash, Izzy Stradlin, Duff McKagan e Steven Adler erano ancora come tutti avrebbero voluto vederli per sempre; pieni di energie, forse sfogate nei loro eccessi oltre che nei propri strumenti. “Avevamo un contratto che ci legava al Rainbow dove dovevamo suonare tutti i Lunedì sera, poi il sabato potevi attraversare la strada e trovarci al Roxy” racconta Duff “…ci alternavamo con band come Ratz, Poison con cui non correva buon sangue…” (rei di aver scartato Slash ad un provino poiché troppo poco “avvenente” e di aver un cantante che somigliava ad Axl n.d.r.) “…noi vivevamo la strada per quello che era, non avevamo tempo di stare a guardare chi per primo aveva cotonato i capelli, oggi dico solo che non avremmo potuto giocare meglio le nostre carte”.
Negli anni, l’impatto musicale dei Guns è stata la loro fortuna e la loro rovina allo stesso tempo, subito in cima, altrettanto velocemente in discesa… in questi giorni si parla di una possibile reunion, ma è un tema fin troppo sfruttato dalle riviste di settore, già un paio di mesi dopo lo scioglimento della band, Kerrang ne titolava il ritorno a breve. Di fame non ne hanno più, ed esattamente come accadde prima della loro ascesa in quell’estate del 86, la musica è di nuovo cambiata…
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