Relics incontra Il Muro del Canto (di Luca Scarfidi, foto di Stefano D’Offizi e Serena De Angelis)

Il Muro del Canto_13Abbiamo incontrato Il Muro del Canto per fare quattro chiacchiere; la band è attiva ormai da diversi anni ed ultimamente, proprio con l’attesissima uscita della loro ultima fatica “Fiore de Niente”, ha decisamente aumentato i giri sfiorando il Sold Out ad ogni esibizione. Ecco un riassunto del nostro incontro…
…per Relics, il nostro Luca Scarfidi, alle domande risponde Daniele Coccia

Relics: Ciao ragazzi, rompiamo il ghiaccio con il vostro ritorno a Roma. Il 4 Marzo avete inaugurato il vostro “Fiore de Niente” Tour all’Atlantico Live. Raccontateci le vostre sensazioni, com’è stato tornare ad esibirsi in terra natia?  

Daniele: La sensazione è stata forte. Abbiamo preparato il concerto e la release dell’album per mesi interi. Per noi è stato una grandissima emozione tornare ad esibirci, ci mancava il palco e il nostro pubblico. L’Atlantico è un posto enorme ed era pieno di gente entusiasta. Tutto è andato molto meglio di come potevamo immaginare. 


Relics: Continuiamo a parlare di Roma. La vostra musica è indissolubilmente legata a questa magnifica città, ma lavoriamo di fantasia per un momento: immaginatevi nativi di un’altra città; quale sarebbe stato il vostro rapporto con la musica? Più nel dettaglio, pensate che la vostra scrittura sia cosi vicina al vivere quotidiano per inclinazione personale o sia frutto del vostro vissuto nella Capitale?
 

Daniele: Indipendentemente da Roma penso che l’utilizzo del proprio dialetto, sia un modo per esprimere al 100% quello che si è o che si vuole esprimere. La nostra scrittura è vicina al nostro vissuto personale e a quello della nostra città. L’ambiente in cui si vive come le proprie esperienze sono indissolubilmente unite nella nostra scrittura. 

IL Muro del Canto_08_DSC_0350 copiaRelics: Domanda maliziosa. Sono molti gli artisti che cantano a Roma, di Roma, e voi avete un modo di rapportarvi a questa città estremamente contorto, passionale e di pancia. Pensate che qualcuno, fra i vostri strettissimi colleghi più o meno illustri, racconti male questa città? Magari in maniera troppo edulcorata o, al contrario, troppo caricaturizzata. Per estensione: come vi rapportare al folk-cantautorato romano?

Daniele: La musica rappresenta quello che si è in modo spietato. I nostri dischi sono documenti di quello che siamo anche intimamente. Non ci guardiamo molto intorno, suoniamo quello che rappresenta noi sei e abbiamo un filo diretto con il nostro pubblico. Se qualcuno fa qualcosa meglio di noi, abbiamo solo da imparare, se lo fa in modo che non ci piace ci indica quello che dobbiamo evitare, semplice.

IL Muro del Canto_01_SDA_2308 copiaRelics:  Si dai eccoci, siamo arrivati al vostro ultimo lavoro in studio -Fiore de Niente-. Prima le domande banali: perchè questo titolo (anche se di per sè è già molto evocativo)? E cosa pensate ci sia di più (o di meno, o semplicemente di diverso) rispetto ai predecessori?

Daniele: La mancanza di punti di riferimento di questa nostra epoca è paragonabile al niente proprio perchè umanamente non sappiamo definirla. Il fiore invece nella sua finitezza è uno dei simboli della bellezza. Questi due parole legate alla tradizionalità dello stornello romano che iniziava sempre con un fiore, creano un ambivalenza di epoche e significati che ci piaceva molto. 
Fiore de Niente ha la profondità de “L’Ammazzasette” e la forza di “Ancora Ridi” . E’ un disco che come gli altri due ci è uscito dal cuore e il nostro cuore oggi ha la profondità e la forza di tutte e due le esperienze. Aspettiamo di vedere quale sarà il suo percorso. 

Relics: Ultima domanda, forse meno banale: avete di fronte un tour che vi porterà in molte città italiane. Per un’artista, credo, l’aspirazione più alta sia quella di essere capito, vissuto nel profondo. Quindi vi chiedo: “Fiore de Niente” è un disco solo per romani? Oppure la vostra musica può smuovere tutti? E ancora, perchè, per esempio, un milanese o un barese dovrebbero ascoltare Il muro del Canto? Fateci un saluto! 

Daniele: Quando da ragazzotto ascoltavo i 99 Posse e mi piacevano moltissimo proprio perché cantavano in napoletano, ero molto attratto proprio dai colori e dalle sfumature culturalmente diverse dalle mie. Penso che ci si debba soffermare sugli aspetti universali dei contenuti e della musica più che sul linguaggio e sono convinto del fatto che le peculiarità culturali siano un valore aggiunto in un periodo di globalizzazione e di omologazione.
 
Grazie dell’intervista e degli ottimi spunti di riflessione.

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Stefano D'Offizi

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